domenica 31 maggio 2009

A Gaza per i bambini, CodePink invita il Presidente Obama a visitare la Striscia

120 cittadini Statunitense entrano a Gaza con lo scopo di portare aiuto e solidarieta' ai bambini di Gaza, traumatizzati da lunghi anni di occupazione, assedio, e guerra. Invitano il Presidente Obama a visitare la striscia durante il suo viaggio in Egitto, il 4 giugno.





Ieri, il 30 maggio una delegazione di oltre 70 persone è entrata
nella Striscia di Gaza portando giocattoli, materiale scolastico, medicinali e quanto utile per costruire tre parchi giochi.
Questa delegazione si aggiunge a un gruppo proveniente da di New York e ad altri quaranta studenti già presenti nella Striscia, portando la presenza statunitense nell'area ad oltre 120 persone.

Oltre a portare la solidarietà alla popolazione, gli attivisti statunitensi hanno invitato il Presidene degli Stati Uniti Obama a visitare la Striscia durante il suo prossimo viaggio in Egitto per vedere con i propri occhi le condizioni in cui vive la gente a causa dell'assedio.

"Riteniamo che se il Presidente Obama fosse deteminato a fare sul serio quando dice di voler invertire la passata tendenza degli Stati Uniti a favorire Israele, allora devevedere di persona Gaza", ha dichiarato Medea Benjamin, co-fondatrice del gruppo CodePink per la pace e promotrice della visita della delegazione nella Striscia. "Siamo sicuri che, se potesse vedere e sentire parlare di persona delle tante sofferenze, metterebbe la necessaria pressione sui governi di Israele e Egitto, perché le frontiere siano immediatamente aperte".

"Se il Presidente Obama può, all'ultimo minuto, aggiungere una visita in Arabia Saudita per una cena privata con il re, allora può certamente andare a Gaza", ha dichiarato la Colonnella Ann Wright, co-leader della delegazione, colonnello in congedo e dimissionaria nel 2003 dal Dipartimento di Stato per protesta contro la guerra in Iraq.

Per convincerlo, l'invito gli sarà rivolto attraverso una petizione internazionale e le firme raccolte tramite internet gli verranno consegnate presso l'ambasciata statunitense del Cairo il 4 giugno, giorno in cui Obama farà il suo discorso al mondo islamico.

Clicca
Qui per firmare la petizione CODEPINK chiedendo Obama di compiere questo importante passo verso la pace nella regione.

CodePink ha organizzato varie delegazioni nella Striscia di Gaza per testimoniare, in prima persona, la devastazione causatavi dall'attacco israeliano e dall'assedio che continua a impedire che vi arrivino cibo e cure mediche sufficienti e materiali per la ricostruzione quasi 6 mesi dopo l'invasione israeliana.

giovedì 28 maggio 2009

A Udine: riconoscimenti tributati a Rawa

Il 25 aprile 2009, il premio “Honor et Dignitas” è stato conferito a RAWA al Centro di Accoglienza Balducci

RAWA,
l'Associazione rivoluzionaria delle donne dell'Afghanistan, è attiva da 25 anni. E' stata fondata a Kabul nel 1977 da un gruppo di donne intellettuali sotto la guida di Meena, una insegnante e poetessa che fu assassinata nel 1987 dagli agenti afghani dell'allora KGB in connivenza con i fondamentalisti di Gulbuddin Hekmatyar.

RAWA sostiene una posizione politica in difesa della laicità e della democrazia e contro ogni forma di fondamentalismo. RAWA svolge anche un lavoro sociale sia in Afghanistan che tra i profughi in Pakistan. Ha aperto scuole, orfanatrofi, corsi di alfabetizzazione per le donne adulte, gruppi di sensibilizzazione sui temi della salute, dei diritti, della democrazia.

In una popolazione femminile sofferente per gravi problemi dep
ressivi - le statistiche parlano di percentuali che rasentano il 98%- le donne di RAWA hanno cercato di mantenere viva la consapevolezza dei diritti e la speranza di un cambiamento. E nella desertificazione della società civile devastata dalla guerra, dal fanatismo, dall'esilio, hanno preservato semi di cultura e di civiltà che rappresentano la sola prospettiva di futuro.

Era il maggio 2001, quando Mariam Rawi e Zoya Gathol, invitate dalle Donne in Nero, incontrarono per la prima volta le cittadine e i cittadini di Udine. L’assemblea era attenta alla loro testimonianza, partecipe e grata per l’esempio di coraggio e semplicità che le giovani donne di Rawa offrivano nel denunciare l’arroganza e il
potere liberticida dei Taleban; era ammirata per l’esempio di resistenza nonviolenta, per la tenacia con cui si ostinavano a gettare i semi per un futuro di libertà, nella loro terra martoriata.

Sappiamo che le afgane e gli afgani guardano alla Resistenza italiana come realtà compiuta di una possibilità che nel loro Paese è drammaticamente remota, un luogo simbolico cui attingere forza, poiché alimenta un necessario percorso di speranza. Ed è per questo che la proposta di partecipare al corteo del 25 aprile con le Donne in Nero ha destato la loro immmediata adesione.


In una giornata straordinariamente soleggiata, a coronamento della cerimonia della consegna del premio che da lì a poche ore avrebbero ricevuto al Centro di Accoglienza Balducci, hanno quindi sfilato insieme a noi DiN di Udine e di altre città, e donne del Cisda, convenute per la premiazione.
Abbiamo sfilato con la consapevolezza di partecipare a un evento che trascendeva i limiti temporali delle nostre vite e i limiti spaziali delle distanze geografiche. In un grande abbraccio di riconoscenza ci siamo unite a chi ha lottato durante la Resistenza perché non sopportava l’ingiustizia, perchè potesse essere realizzato un mondo fondato sul rispetto dei diritti di tutte e tutti, sulla pace.

Ed è allora forse anche per questo che le donne afgane cercavano fra i volti consumati dalle rughe e fra le bandiere, un viso di donna che potesse concretizzare almeno i
n parte tale abbraccio. Volevano comunicare a una donna partigiana l’importanza dell’esserci a quella manifestazione, e l’hanno trovato in chi, dopo averle incoraggiate a proseguire il loro percorso, in primo luogo quello della liberazione dall’oppressione maschile, si è tolta il fazzoletto dell’Anpi per darlo a Sahar, che lo ha annodato sulla testolina della figlioletta di quattro mesi. Un gesto di consegna, di un passaggio, che ci ha profondamente commosse.

La consegna del premio si è tenuta presso il Centro di
Accoglienza Balducci di Zugliano. Un lunghissimo e sentito applauso ha accompagnato poi Mariam, quando dal pubblico si è mossa per prendere posto al tavolo delle relatrici e dei relatori. La sua testimonianza ci ha parlato di un Afganistan ancor più violento e alla deriva di quanto già non fosse alla vigilia dell’intervento armato occidentale.

Nel 2001 tre furono gli obiettivi che venivano propagandati per giustificare la guerra in Afganistan: portare libertà e diritti alle donne, la democrazia e vincere il terrorismo. Ma la situazione attualmente è gravissima, molto più grave di quanto la stampa internazionale non riporti, poiché la strategia statunitense adottata per estirpare il potere dei talebani si è tradotta in uno scendere a patti con criminali di guerra e fondamentalisti, che sono confluiti in partiti come l’Alleanza del Nord e che attualmente compongono – come sostiene Human Rights Watch – l’85% del Parlamento afgano.

Strategie come quelle di intavolare trattative con i talebani cosiddetti “moderati” - oppure con criminali come Gulbuddin Hekmatyar – non possono avviare e non hanno avviato un percorso di pacificazione ma hanno condotto a una nuova recrudescenza del conflitto. E i paesi europei – Italia compresa – si sono adeguati alla politica statunitense.

Le conseguenza dell’assetto di potere in Afganistan rendono drammatica la condizione della donna: “Violenze e stupri su minorenni e donne molto anziane, stupri di gruppo, matrimoni forzati, anche di giovanissime” sono all’ordine del giorno e Rawa ne è testimone indiretta.

La percentuale di donne che si suicidano appiccandosi il fuoco è aumentata vertiginosamente, così come frequenti risultano gli attacchi con acidi a studentesse e insegnanti”.

Tuttavia, l’atto più grave e che non ha termini di paragone con nessun altro paese, secondo Mariam, è la recente legge varata dal parlamento afgano che nega il diritto di movimento e di autodeterminazione delle donne. La realtà, afferma, è che

siamo tornate al periodo dei talebani e gli Usa non stanno facendo nulla di fronte alla lesione di elementari e fondamentali diritti come quelli di uscire e studiare. Era necessaria una guerra per liberare le donne dal burqa, sostenevano, ma a distanza di otto anni, nessuna donna circola senza burqa o chador per il terrore di essere aggredita dai fondamentalisti di diversa estrazione”.

Altri sono ancora i punti su cui Mariam si interroga: come si può in nome della lotta al terrorismo bombardare città e villaggi, uccidendo civili inermi? Inoltre, con un parlamento così corrotto e in mano a fondamentalisti criminali di guerra, in quali tasche finiscono gli aiuti economici provenienti dalla comunità internazionale?

Per la popolazione è evidente, inoltre, che la conseguenza del rafforzamento della presenza occidentale in Afganistan comporta solo la costruzione di ennesime basi militari.

Il Parlamento afgano, sostenuto dagli Occidentali, di democratico non ha nulla e chi lo contesta con gli strumenti della democrazia viene perseguitato. È il caso dei giornalisti indipendenti come Sayed Kambaksh che, condannato a morte, ha visto commutata la pena in 20 anni di detenzione. Ma come lui molti altri sono incarcerati o sono stati addirittura uccisi. Il Parlamento afgano, sostenuto dagli Occidentali, di democratico non ha nulla se una delle condizioni poste per far passare la legge sulla ricostruzione è stata l’impunità totale per i crimini di guerra commessi da coloro i quali attualmente siedono in Parlamento.

Si è chiesta inoltre Mariam che democrazia abbiano mai portato gli Occidentali in Afganistan, se vengono minacciate le voci di “associazioni come Rawa, mentre i signori della guerra sono liberi di fare e disfare quello che vogliono”.

giovedì 21 maggio 2009

Sostegno per la Riapertura del Centro Antiviolenza per le Donne Dell''Aquila

Il Centro antiviolenza per le donne della provincia dell’Aquila è un progetto iniziato circa due anni fa dal gruppo donnEmanifestE, composto da moltissime realtà di donne del territorio, associazioni, gruppi, movimenti, tra cui anche le Donne in Nero dell’Aquila

Il Centro per diventare operativo, si è appoggiato presso i locali del Consultorio AIED, che partecipa al progetto, così come l’associazione Biblioteca delle donne, anch’essa ospitata negli stessi locali situati nel centro storico dell’Aquila.


Il Centro antiviolenza conta su circa venti donne del gruppo donnEmanifestE, che hanno garantito alle donne che si sono rivolte al Centro: consulenza gratuita legale, psicologica e medica, avvalendosi della collaborazione di psicologhe, di ginecologhe e di un'avvocata, con la copertura iniziale di un primo finanziamento da parte della provincia dell’Aquila.

Al Centro, in due anni di attività si sono rivolte moltissime donne italiane e migranti, vittime di violenza maschile, soprattutto domestica.

Dopo il terremoto la sede non è più agibile e tutte le donne del Centro vivono oggi la condizione di sfollate.

Nonostante questa difficilissima e dolorosa condizione, è convincimento di tutte le donnEmanifestE, l’urgenza di riaprire un luogo fisico per ridare visibilità al Centro antiviolenza, per riannodare i fili delle relazioni con le donne e per ricostruire un luogo di accoglienza e di scambio di vissuti per le donne, soprattutto in un momento come questo, nella morsa di una emergenza di vita, che spinge a chiudere in se stessi i nuclei familiari e rafforza i rapporti di potere tra uomini e donne al loro interno.
A fronte dell’incertezza dei tempi della ricostruzione, dell’entità dei fondi e della loro destinazione, la necessità prioritaria per il Centro è di ricostruire da subito un luogo, anche provvisorio e precario, ma riconoscibile per le donne, per poter riprendere la propria pratica e non perdere l'esperienza maturata finora.

La condizione di grande difficoltà di tutte le donne che hanno dato vita al progetto del centro antiviolenza, ci impedisce di far fronte da sole alla ripresa dell’attività del Centro, e per questo avremmo bisogno di un sostegno concreto attraverso una campagna di solidarietà per il Centro antiviolenza dell’Aquila.

Per inviare contributi:
c/c IBAN IT88S0501812100000000126343
tratto su Banca Popolare Etica
intestato a: Associazione Biblioteca delle Donne Melusine
Via delle Tre Spighe n°1, 67100 L'Aquila
Codice fiscale: 93005400663
Causale: emergenza terremoto Centro Antiviolenza.


Per info: Simona Giannangeli 335/8305681, Valentina Valleriani 328/2424103.

martedì 19 maggio 2009

Inammissibile e Immorale l'acquisizione dei F35


Sappiate che riteniamo inammissibile e immorale che il Governo si impegni ad investire decine di miliardi di euro per l'acquisizione di cacciabombardieri. Per questo ci impegniamo a far sì che questo grido di indignazione giunga in ogni luogo d'Italia, nella speranza che il suddetto «Programma pluriennale» venga fermato.


La decisione delle commissioni di difesa di Camera e Senato, il 7 e 8 aprile, a favore del «Programma pluriennale relativo all'acquisizione del sistema d'arma Joint Strike Fighter JSF» e' solo l'esempio piu' recente e osceno della politica di riarmo in cui il governo italiano e' impegnato insieme ai suoi alleati. L'oscenita' della decisione e' reso piu' visibile perche' avvenuta in coincidenza con il terramoto nell'Abruzzo. Mancano i soldi per ricostruire case e infrastruttura, ma per compare velivoli di guerra - nessun problema!



I cacciabombardieri JSF (meglio conosciuti come F-35) sono aerei d'attacco capaci di portare, se serve, anche ordigni atomici e che costituiranno la nuova linea tattica di Aeronautica e Marina nella prima metà di questo secolo. Sono sicuramente i perfetti strumenti operativi di una sorta di gendarmeria mondiale in via di perfezionamento: una volta costruiti non faranno certo la ruggine in qualche hangar italiano o olandese, bensì saranno presto adoperati per uccidere e distruggere in svariate guerre, sia attuali sia future.

Gli F-35 ci costeranno un sacco di soldi:

  • circa 600 milioni di euro per costruire e attivare la fabbrica di Cameri
  • circa 13 miliardi di euro (a rate, fino al 2026) per l'acquisto dei 131 aerei

Ed e' stato già speso o impegnato quasi un miliardo di euro.

Nessuno può ignorare che, con una spesa di questa entità, si potrebbe intervenire per migliorare le condizioni di vita di tutti: per esempio ampliando e migliorando la qualità della spesa sociale, tutelando davvero territori e città , investendo in fonti energetiche rinnovabili e ridistribuendo reddito.

Secondo il governo, il super-bombardiere F-35 creerà posti di lavoro, genererà un forte sviluppo tecnologico dell'industria italiana e determinerà un incremento del Pil. Insomma, il riarmo come via d'uscita dalla crisi economica, come con la Grande Crisi degli anni '30 e con la Grande Depressione di fine '800. Peccato che in entrambi i casi questa strada abbia condotto a guerre mondiali.

Di certo, l’impiego dei nuovi bombardieri nelle missioni “di pace” produrrà distruzione, morte e sofferenza.

Invitiamo tutte e tutti a firmare la petizione della Campagna di Indignazione Nazionale (clicca l'immagine sotto):



ed a participare nelle iniziative per allargare la protesta contro la politica di riarmo:

22 Maggio, Roma, Piazza Navona
dalle ore 11.00 alle 19.30 avrà luogo un presidio di denuncia verso il Parlamento e di comunicazione contro il riarmo, le armi nucleari, i cacciabombardieri F-35, con video, mostre e documentazione sulle basi militari in Italia.

2 Giugno, Novara, Manifestazione nazionale
ore 15.00 Piazza Garibaldi davanti alla stazione.
Contro la militarizzazione dei territori, contro le fabbriche della morte, contro tutte le guerre, per la riconversione dei siti militari ad uso civile, per un diverso modello economico. Organizzata da Coordinamento contro gli F35.
http://www.nof35.org/

sabato 16 maggio 2009

Dopo 61 anni, la Nakba continua

Il 15 maggio 2009 si celebro' un anniversario vergognoso: 61 anni dal Nakba palestinese; 61 anni che Israele nega il diritto - internazionalmente riconosciuto - dei profughi palestinesi a tornare nelle loro terre; 61 anni che le nazioni del mondo approvano le spese per i profughi palestinesi come fossero vittime di un disastro naturale, invece di prendere una posizione efficace contro la politica che ha prodotto e prolongato questa tragedia.



A colui che scava nella ferita di milioni la sua strada
A colui che sul carro armato schiaccia le rose del giardino
A colui che di notte sfonda le finestre delle case
A colui che incendia l’orto, l’ospedale e il museo
e poi canta sull’incendio.
A colui che scrive con il suo passo il lamento di madri
orfane di figli,
vigne spezzate.
A colui che condanna a morte la rondine della gioia
A colui che dall’aereo spazza via
i sogni della giovinezza
A colui che frantuma l‘arcobaleno,
stanotte i bambini dalle radici tronche,
stanotte i bambini di Rafah proclamano:
noi non abbiamo tessuto coperte da una treccia di capelli
noi non abbiamo sputato sul viso della vittima
(dopo averle estratto i denti d’oro)
Perché ci strappi la dolcezza
e ci dai bombe?
E perché rendi orfani i figli degli arabi?

da Bambini di Rafah, Samih Al-Qasim






Il recente massacro di Gaza ha riportato alla luce il lungo, sanguinoso conflitto israelo-palestinese e la tragedia del popolo palestinese costretto a vivere in una condizione di assoluta precarietà, di continua minaccia e di costante insicurezza a causa della pesante occupazione israeliana.

I media hanno mostrato le macerie della distruzione portata a Gaza dall’operazione militare "Piombo fuso": un paesaggio desolato, sconvolto dalle bombe che cadevano dal cielo, seguendo la bianca scia del fosforo, un luogo sfigurato dove la vita si fermava con l’avanzare dei carri armati; un cumulo di detriti e di cenere tra cui correvano donne, bambini, uomini sconvolti dalla paura, bruciando come torce; molte persone immobili, a terra, coi corpi feriti e mutilati, a fianco di fratelli, madri, padri, figli, mariti, mogli, morti.

Ma le parole dell’informazione sembravano voler smorzare la crudezza delle immagini, precisando che Israele stava reagendo agli attacchi di Hamas, stava cioè difendendo la sua popolazione dal lancio continuo di missili Kassam sulle sue città al confine con Gaza. Ancora una volta la smisurata forza distruttiva di Israele passava in secondo piano e l’attacco militare risuonava come espressione del suo diritto a difendersi.

Non si dice che Israele, tra il 1948 e il 1967, si è preso più del 78% della terra e continua a occupare la parte restante con nuovi insediamenti e l’ampliamento delle colonie esistenti.

Non si dice che lo stato di Israele nasce e sviluppa la sua politica di egemonia all’interno di una triplice negazione:

  • la negazione dell’esistenza di una comunità araba sulla terra della Palestina storica; il Sionismo infatti perseguiva l’obiettivo di dare una patria agli ebrei della diaspora nella Terra Promessa ai loro padri, partendo da questa premessa: "una terra senza popolo per un popolo senza terra".
  • la negazione dell’identità culturale del popolo palestinese: i palestinesi non sono riconosciuti come un popolo con una sua cultura e una sua storia, ma trattati genericamente come arabi e quindi destinati a vivere nei paesi arabi.
  • la negazione dell’umanità dei palestinesi: per molti israeliani, i palestinesi non sarebbero esseri umani, ma belve sanguinarie, terroristi, che non hanno alcun rispetto per la vita, nemmeno per la loro, visto che trasformano i loro corpi in bombe; perfino le donne palestinesi non sarebbero madri normali perché non soffrirebbero per la morte dei loro figli, li lasciano andare a morire e poi piangono i loro martiri.

Non si dice la verita' quando si parla del conflitto in Israele e Palestina senza denunciare l'occupazione isrealiana come ostacolo fondamentale alla pace.

Le Donne in Nero di Milano hanno preparato un dossier per sostenere un lavoro di contra-informazione per combattere il silenzio e la disonesta' dei media. Copie stampate sono disponibile da marinella.sanvito@fastweb.it. Costano 10 Euro piu' spese di spedizione.

giovedì 14 maggio 2009

La pace mette radici a Vicenza




Il 10 maggio, 530 le persone hanno firmato, davanti al notaio, l'acquisto collettivo del terreno che ospita il Presidio Permanente No Dal Molin dove, secondo i progettisti della base statunitense, dovrebbe essere realizzato l'ingresso nord dell'installazione militare.




"Mettiamo radici al Dal Molin" è il nome della campagna con la quale tanti cittadini che si oppongono alla base militare hanno sottoscritto una quota di 100 euro per l'acquisto dell'area. Il movimento No Dal Molin dà stabilità alla propria opposizione e, soprattutto, mette un granello di sabbia nei meccanismi della militarizzazione: il terreno acquistato, infatti, dovrebbe essere espropriato per realizzare l'ingresso della base.



E' stata davvero una giornata di festa al Presidio con lunghe file di gente paziente che hanno aspettato ore per arrivare davanti al notaio, però aveva l'occasione di incontrare amici e conoscenti, ascoltare musica o letture o azioni teatrali o fare anche passeggiate guidate nei dintorni, ristorarsi al bar a prezzi modici.


Alle tante persone che facevano la fila davanti al notaio e'stato distribuito l'appello per l'iniziativa promossa il prossimo 4 luglio, quando i vicentini invitano ancora una volta tutte e tutti a Vicenza "per liberare il Dal Molin dalla base di guerra". Alla vigilia del G8 e dell'arrivo in Italia di Obama, dunque, la città berica sarà di nuovo al centro dell'attenzione di quanti si battono contro la guerra e i suoi strumenti.


"Nel giorno in cui gli statunitensi festeggiano la loro indipendenza dall'impero britannico noi vogliamo renderci indipendenti dalle servitù militari".

martedì 12 maggio 2009

Non Cresceremo i nostri figli per uccidere il figlio di un'altra madre

" Noi donne di un paese proviamo troppa tenerezza per le donne di un qualsiasi altro paese, per permettere che i nostri figli siano addestrati a ferire i loro. Dal seno di una terra devastata una voce si unisce alla nostra. Dice: "Disarmo! Disarmo!"
Julia Ward Howe, proclamazione del giorno della madre, 1870


il 10 maggio 2009, il giorno della madre, Code Pink, il gruppo statunitense di donne pacifiste ha organizzata una vigil di 24 ore davanti alla casa bianca per festeggiare le madri, ma anche per ricordare le madri di zone di conflitti che pagano il prezzo della guerra con i loro corpi, i loro cari, le loro case, ed il loro futuro.



Inoltre, hanno invitato donne di tutto il mondo di participare, facendo la dichiarazione "Non crescero´i miei figli per uccidere i l figlio di un'altra madre". Molte donne, fra cui le donne in nero in Italia, hanno accolto l'invito mandando foto per testimoniare il loro rifiuto della logica della guerra.




In teoria, la promessa dovrebbe essere facile da mantenere - secondo la costituzione l'italia ripudia la guerra. Ma nonostante la costituzione il nostro paese e' coinvolto - direttamente o indirettamente nella maggior parte dei conflitti armati. Il territorio italiano viene utilizzato per lanciare guerre. Nelle istituzioni di ricerca, si collabora con Israele - un paese credibilmente accusato di crimini di guerra - per sviluppare nuove tecnologie militari.

Le armi, l’Italia vende a tutti, paesi belligeranti compresi - Turchia, India, Pakistan, Georgia, Israele, Kenia, Somalia, Sudan, Sri Lanka, Congo sono tutti clienti.

Nel 2008 il volume d’affari è cresciuto del 222% rispetto all’anno precedente. Secondo la Presidenza del Consiglio nel suo ultimo rapporto sulle esportazioni, importazioni e transito dei materiali d’armamento: "Tale comparto rappresenta un patrimonio tecnologico, produttivo e occupazionale non trascurabile per l’economia del Paese."

Noi richiediamo la liberazione del territorio dalle basi di guerra, la liberazione delle nostre universita' dalla ricerca militare.

Richiediamo un'economia che promuove la vita, la salute, la gioia, la speranza invece della disperazione, la distruzione e la morte.

lunedì 4 maggio 2009

Marisela Ortiz Rivera: La lotta contro il femmicidio

Ogni settimana a Ciudad Juarez almeno una donna sparisce e di lei non se ne sa più nulla, a meno che i rapitori non decidano di far apparire il suo corpo senza vita e con chiari segni di brutali torture, violenze carnali, asportazioni di parti del corpo e bruciature. È un dolore terribile per questa società, possibile che non ci sia niente che riesca a smuovere coloro che possono fare qualcosa per evitare e fermare questo orrore?

La disperazione e la paura delle famiglie che sanno quando le loro figlie escono di casa ma non quando né se ritornano, e i più di 300 omicidi e le circa 600 sparizioni sembrano non rappresentare un motivo valido per far mettere un freno a questi fatti.

Mia figlia
sequestrata, torturata, morsa, colpita, pestata
bruciata, ammanettata, stuprata, strangolata

senza pieta'
senza cuore
senza anima


per cuore-pietra
per anima-vuota
per mano-diabolica

Mia figlia
scartata come una cosa usa e getta, non riusabile
trattata come rifiuto
come spazzatura.


Mia figlia
sprezzata, diffamata, disgraziata, calumniata
nella sua virtudine
vilemente falsamente

vigliaccamente

Quelli al potere
senza cuore per sentire
senza orecchio per udire
senza occhi per vedere
senza anima per cercare

GIUSTIZIA!!!

Per mia figlia

Eugenia Muñoz

Marisela Ortiz Rivera, insegnante e psicologa è una delle fondatrici dell'associazione Nuestras Hijas de Regreso a Casa, organizzazione costituita da familiari e amici vicini alle giovani assassinate e desaparecidas. Le attiviste de Nuestras Hijas de Regreso a Casa si impegnano a far si che l'opinione pubblica sostenga la denuncia del fenomeno del "femminicidio". Marisela si batte da anni contro l'omertà della gente e la corruzione delle istituzioni. Subendo intimidazioni e attentati. La vita di Marisela è cambiata da quando la sua alunna migliore, Alejandra viene rapita nel febbraio 2001 e mai più ritrovata. Con la madre della ragazza ha avuto la forza di fare a Ciudad Juarez quello che nessuno aveva mai osato: parlare. Ha fondato Nuestras Hijas de regreso a casa ("Che le nostre figlie tornino a casa"), un'associazione di donne unite dal dolore, dalla disperazione, dalla sete di giustizia verso crimini rimasti quasi sempre senza un colpevole.


L'anno scorso, Marisela e' stata a Padova dove le Donne in Nero e le donne del Centro Pandora l'hanno intervistata:

Dove trova una donna il coraggio per affrontare quello che tu stai passando, minacce, tentativi di ucciderti, mobbing, e continui, nonostante tutto vai avanti. Come si fa a convivere con la paura?

Non è una decisione che ho preso da un momento all’altro, credo sia un processo lungo, è un apprendistato che viene da tutte le esperienze che mi sono capitate durante tutti questi anni. Penso che la forza la devi avere quando hai esempi come questi di fronte a te: un gruppo di madri che hanno perso in maniera così tragica le proprie figlie, che vivono senza dormire e pensano sempre alle sofferenze che hanno passato le loro figlie e che nonostante questo dolore lottano per andare avanti, per stare con i propri figli, per cercare la giustizia e per cercare di evitare che altre madri soffrano questo terribile dolore. Allora, quando hai davanti a te questi esempi, non puoi far altro che seguirli. Per me è un grande impegno, l’ammirazione e il rispetto che ho per queste donne mi fanno andare avanti e d’altra parte ho una famiglia che mi ha sempre appoggiato. Certo all’inizio è stato difficile, come ho detto è un processo che non si crea dalla mattina alla sera.

la paura è sempre esistita, non c’è paura che si possa superare così semplicemente. Il fatto di sapere che tutti i giorni puoi perdere la vita per mano di gente che non ha scrupoli è terribile. Credo che non supererò mai la paura, ma tuttavia ho imparato cosa fare con questa paura. Perché prima era una paura che avrebbe potuto paralizzarmi, una paura che mi avrebbe potuto far tirare indietro per dedicarmi ad altro: la mia vita, i miei figli, la mia famiglia, ma ora ho deciso di continuare anche con la paura e mi sono detta che anche con la paura possiamo andare avanti.
La paura non deve farmi nascondere sotto il letto, la paura non deve farmi tenere le braccia incrociate, devo affrontare la situazione per rendermi più coraggiosa e perché la gente che mi minaccia non veda mai la mia debolezza.

Un fascicolo con l'intervista completa insieme a;
  • Micaela da Donne di sabbia di Humberto Robles
  • Juarez da I monologhi della vagina di Eve Ensler
  • Breve scheda su Marisela Ortiz
  • Piccola bibliografia

Costa 3 Euro ed e' da richiedere a

Centro Culturale Pandora
Donne in Nero
Via Tripoli 3
35100 PADOVA
e-mail orvivia@gmail.com

http://centropandora.splinder.com
http://retedidonne.wordpress.com/