sabato 8 marzo 2014

La Giornata internazionale della donna, solidarietà con le donne turche




Noi, donne che viviamo in Turchia, manifestiamo da 11 anni, ad ogni 8 marzo, in piazza la sera per gridare la nostra rabbia contro il patriarcato, la violenza maschile, il sessismo, l'eteronormatività, il capitalismo, il militarismo e la guerra. 

Dall'ultimo 8 marzo abbiamo vissuto un anno con una crescente violenza contro le donne. Ogni giorno ci tocca leggere di un altro femicidio sui giornali. Ogni giorno tre donne vengono ammazzate in Turchia. Gli assassini e i violentatori non vengono puniti. Lo Stato non cerca di fermare la violenza contro le donne, Invece cerca di bloccare i divorzi.


L'AKP (il Partito Giustizia e Sviluppo) che è governo, potere legislativo e giuridico allo stesso tempo, ci ha tolto il diritto all'aborto. Ci cacciano via dalle porte degli ospedali pubblici quando abbiamo bisogno di aiuto. L'accesso ai metodi contracettivi è stato fortement limitato. 


Il governo fa ogni tipo di legge per controllare il corpo delle donne. Nello stesso tempo sta preparando misure che ci condannano al lavoro precario e insicuro. I consultori e i rifugi per le donne maltrattate esistono solo in un numero simbolico e insufficiente. Il governo ha tolto il Ministero della Donna per sostiutirlo con quello della Famiglia e della Politica sociale. Questo nuovo Ministero ha convertito i centri donna in posti di promozione della famiglia tradizionale nella quale costringere le donne a tornare.

Noi donne che eravamo nelle piazze durante la resistenza di Ghezi, abbiamo combattuto le politiche sessiste dello Stato. Abbiamo affrontato direttamente la violenza e le molestie sessuali della polizia mentre resistevamo.

Però non è stata la prima volta. Nel 2005 in Beyazit le donne hanno affrontato la violenza della polizia durante le celebrazioni dell'8 marzo. Lo Stato turco è stato condannato per queste violenza dalla Corte Europea dei Diritti Umani.

Taksim, dove noi donne di Istanbul continuiamo a resistere e ad esistere, malgrado la violenza della polizia e malgrado tutti i divieti, dicendo "La piazza e la notte sono nostre!", è ora sotto l'assedio della polizia. In questa piazza dove abbiamo alzato il nostro grido in favore della libertà delle donne per 11 anni, siamo ora confrontate con la minaccia della violenza poliziesca, le molestie e i lacrimogeni, per il prossimo 8 marzo.
L'oppressione sta crescendo ma noi continuiamo a resistere e a rivoltarci contro il patriarcato! Così come negli ultimi 11 anni saremo in Taksim questo 8 marzo per la nostra marcia serale.

Il governo dell'AKP, che sta attaccando le nostre vite su tutti i fronti, sta pure tentando di toglierci le piazze dove camminiamo. Ma sfidando tutti i divieti ci troveremo in Taksim per far sentire le nostre voci. 


Facciamo appello alle donne di tutto il mondo perché si uniscano a noi a gridare contro la possibile violenza poliziesca, in difesa della nostra libertà e in solidarietà, anche se non potrete essere materialmente presente in Taksim. Supereremo le barricate della polizia in Taksim insieme! 

Che venga il padre, che venga il marito, che venga la polizia, che venga il manganello! 
Ci ostiniamo nella rivolta! Ci ostiniamo nella libertà! 

Collettivo Femminista di Istanbul

 

domenica 2 marzo 2014

Colombia: La verità delle donne vittime di guerra

 




La Verità delle Donne Vittime di conflitto armato in Colombia è qui per rimanere e guidare il programma di cambiamento in Colombia, dove le enormi sofferenze e la grande capacità delle donne vanno prese in considerazione per la trasformazione sociale di cui il Paese ha bisogno 
(Ruta Pacífica ).

 



La guerra in Colombia ha un volto femminile: perché il 72% della popolazione sfollata dal conflitto armato sono donne e bambini e perché nenna guerra, le donne restano vivi, - vedove, orfani, senza casa.

Allo stesso modo, gli atti di creatività, la volontà di arrischiarsi e la capacità di costruire relazioni  fanno parte degli aspetti con cui le donne rispondono alle avversità, che sono emersi durante l'indagine nella verità delle donne vittime del conflitto armato in Colombia, tour attraverso i fatti, resilienza e strategie di affrontamento raccolti in mille interviste dalla Ruta Pacifica de las Mujeres Colombianas in nove regioni della Colombia: Antioquia, Chocó, Valle, Cauca, Putumayo, Santander, Cundinamarca, Bolívar e Risaralda.

Questa ricerca ha permesso la voce delle donne vittime di essere ascoltata. Ha fatto emergere il non detto, il rimosso, i dimenticati. Un'indagine che, secondo Carmiña Navia Velasco, può essere paragonato al lavoro condotto nel 1962 da Germán Guzmán Campos, Orlando Fals Borda, e Eduardo Umana Luna, sulla violenza dalla metà del XIX secolo in Colombia, il cui risultato impressionante è stato raccolto in due volumi: "Da quel momento non è stato fatto nulla di tanta dimensione". 








Le cifre che ci fanno sentire - pensare:



  • Otto donne su dieci intervistate (82,6%) hanno segnalato di essere state vittime di una qualche forma di tortura, trattamento crudele, inumano o degradante.
  • Più della metà delle donne (54,4%) hanno hanno segnalato di aver ricevuto minacce di morte, stalking o di essere state costrette ad assistere alla tortura di altre persone 
  • Una donna su tre ha subito molestie, la sorveglianza e il monitoraggio (32.33%). 13,2% delle donne intervistate hanno detto di aver subito violenze sessuali e torture. 
  • Una su otto vittime ha segnalato violazioni della libertà personale (12.74%), tali, di essere state arbitrariamente arrestate (5,46%), confinamento (3,64%), di essere state prese in ostaggio (1,93%) o vittime di reclutamento forzato (1,61%). Queste forme di violazione della libertà personale sono collegate alla regione in quanto sia più forte nelle zone di Chocó e Santander, e all'origine etnica; le donne identificate come afrodiscendenti e meticce. 
  • Le diverse violazioni hanno colpito di più donne identificate come indigene, meticce o afrodiscendenti.
  • Prendendo la somma di tutti le possibili violazioni, ogni donna ha subito una media di 4.13 violazioni. In modo significativo, coloro che avevano parenti scomparsi, uccisi o che sono state sfollate, hanno subito più violazioni dei diritti umani.
Vogliamo condividere questa realtà affinché dopo 60 anni di conflitto, la pace non sia un desiderio ben intenzionato e ingenuo, ma una esigenza sociale, morale e politica, e questo si raggiungerà solo se tutte e tutti ci impegnano. 

 Matha Elena Giraldo, Ruta Pacifica Valle de Cauca 



 rapporto completo (spagnolo)
 http://www.rutapacifica.org.co/descargas/comisionverdad/memoriaparavida.pdf

sabato 1 marzo 2014

Da Lampedusa, una Carta della dignità








Nessun essere umano, in nessun caso, può essere privato della libertà personale, e quindi confinato o detenuto, per il fatto di esercitare la libertà di muoversi dal luogo di nascita e/o di cittadinanza, o la libertà di vivere e di restare nel luogo in cui ha scelto di stabilirsi.

 








Posta al centro del Mediterraneo, l’isola di Lampedusa è da anni la meta di decine di migliaia di persone che passando il mare cercano prospettive di sopravvivenza e di una vita degna. Troppe però sono quelle ormai sparite sui fondali, forse 20.000, forse di più, negli ultimi decenni. Nei naufragi del 3 e dell'11 ottobre 2013 più di 600 donne, uomini e bambini scomparvero in quel cimitero marino, uccise dalle politiche dei governi per il controllo delle migrazioni.

In quei giorni tragici la popolazione di Lampedusa – con la sindaca Giusi Nicolini – ha saputo dare prova di una solidarietà straordinaria: ha soccorso i sopravvissuti, ne ha condiviso e confortato il dolore, soprattutto ha riconosciuto in loro degli esseri umani simili a sé e li ha accolti e rispettati.

Lampedusa ha rifiutato negli anni il ruolo di controllo e di confine da cui respingere migranti e profughe/i e ha scelto invece di essere luogo di condivisione. Così molteplici gruppi, associazioni e persone si sono ritrovate proprio su quell'isola della solidarietà e il 1 febbraio 2014 hanno approvato la “Carta di Lampedusa”.

Quali i principi affermati dalla Carta? Ne citiamo alcuni:

“La Carta di Lampedusa si fonda sul riconoscimento che tutte e tutti in quanto esseri umani abitiamo la terra come spazio condiviso e che tale appartenenza comune debba essere rispettata. Le differenze devono essere considerate una ricchezza e una fonte di nuove possibilità e mai strumentalizzate per costruire delle barriere”.
“La Carta di Lampedusa afferma la libertà di movimento di tutte e tutti” e la analizza come libertà di spostarsi, libertà di scelta, libertà di restare, “libertà di costruzione e realizzazione del proprio progetto di vita in caso di necessità di movimento”, libertà personale, libertà di resistenza e dovere di disobbedire a ordini ingiusti.

E' perciò fondamentale la “smilitarizzazione dei confini”. Infatti “La Carta di Lampedusa afferma la necessità dell’immediata abolizione di tutte le operazioni legate alla militarizzazione dei territori e alla gestione dei dispositivi di controllo dei confini, sia militari che civili, incluso l’addestramento militare ai respingimenti” in territorio internazionale.

“La Carta di Lampedusa afferma quindi la necessità della completa riconversione delle risorse sino ad oggi investite e stanziate in tal campo per assicurare percorsi di arrivo garantito delle persone che migrano”.

E poi: 

“La Carta di Lampedusa afferma l’immediata necessità di svincolare definitivamente il diritto di ingresso, di soggiorno e di permanenza sui territori degli stati membri [dell’Unione Europea] al possesso di un rapporto di lavoro”; la libertà di scelta va invece garantita.

Ribadisce il diritto al rispetto e alla non-discriminazione fuori da ogni pregiudizio e razzismo.

In una parola, la Carta di Lampedusa vuole e può essere alla base di nuove forme di cittadinanza, che ci riguardano tutte e tutti e che sta a noi costruire, sulle macerie delle guerre nazionaliste e delle guerre economiche. Nel 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite si apriva con le parole “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Dignità e diritti che debbono trovare >riconoscimento ovunque e per tutta la vita.

Il testo completo: http://www.meltingpot.org/La-Carta-di-Lampedusa-18912.html#.Uwr4cfl5PzM



Nessun Essere Umano E' Illegale