venerdì 30 agosto 2013

Ancora una volta la menzogna della guerra "umanitaria"

Gaza: Jihad Misharawi con il corpo del suo di  figlio di 11 mesi
 Non riesco a cancellare dalla mia mente l'immagine di un uomo che tiene il suo bambino morto, gemendo mentre tutto intorno è caos ..... una sofferenza umana che non possiamo mai ignorare o dimenticare
 

Così John Kerry, il Segretario di Stato degli Stati Uniti parla dell'attacco di gas nervino in Siria. 

Se potessimo credere che la sua comprensione ed empatia estenderebbero alle madri e ai padri di bambini vittime in Iraq, in Afghanistan, a Gaza, ai genitori di bambini nati a Fallujah con terribili difetti genetici, vittime di armi chimiche usate nella distruzione di quella città. Se questo potrebbe significare una vera comprensione del costo della guerra. Ma, no, l'agonia delle famiglie di Ghouta deve essere utilizzata per giustificare la creazione di altre sofferenze.

Non sappiamo chi ha lanciato l'attacco di gas nervino a Ghouta. Ma sappiamo bene che l'affermazione che i governi di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia non hanno fatto nulla mentre la situazione in Siria è peggiorata è una menzogna. Al contrario, hanno svolto un ruolo attivo nella escalation della violenza. Invece di tentare di promuovere una soluzione diplomatica, all'inizio della crisi, hanno minato le iniziative di pace e hanno reclutato gruppi armati (tra cui jihadisti) per combattere una guerra per procura. Ancora una volta ci viene detto che il bombardamento è necessario per salvare la popolazione civile da una situazione per cui i governi occidentali sono almeno in parte responsabile.

Non ci sono risposte facili, ma ci associamo a questa riflessione dal movimento nonviolento

 

Questo non è un appello. Non è una petizione. Non raccogliamo firme, né cerchiamo consensi.
Vogliamo solo offrire qualche spunto di riflessione per il dibattito che si sta sviluppando al seguito dei “venti di guerra” che provengono dallo scenario internazionale che oggi ci consegna una sponda del Mediterraneo in fiamme, dalla Siria alla Libia, dall'Egitto al Libano (oltre naturalmente alla Palestina).

Sull'altra sponda del Mediterraneo si affacciano i paesi occidentali, compresa l'Italia, impotenti sul piano politico, ma molto attivi sul piano del commercio delle armi, che vanno ad alimentare i massacri. In fondo al Mediterraneo ci sono migliaia di profughi in fuga dalle guerre.

Noi possiamo fare poco o niente sul piano immediatamente efficace per impedire il massacro. Nessuna sacrosanta richiesta ai potenti di fermare la guerra ha restituito la pace ai popoli. Non è accaduto a Belgrado, né a Bagdad, né a Kabul e nemmeno a Tripoli. Non accadrà a Damasco.
Nè è nostro compito scegliere le parti per le quali parteggiare - tra dittatori di lungo corso, militari golpisti e fondamentalisti jihadisti - laddove la verità è sempre la prima vittima delle guerre e le responsabilità tra oppressori e oppressi non sono separabili con l'accetta.


Quel che possiamo e dobbiamo fare nell'immediato è stare dalla parte delle vittime, accogliere e portare soccorso, alleviare le sofferenze, salvare singole vite. E' già molto, ma non basta. Come non basta condannare l'intervento armato e i suoi mandanti. E' necessario, ma non basta.

La Siria è piombata in una guerra "civile" (si fa per dire) a causa di una ventennale dittatura (accettata, tollerata, sostenuta dalle grandi potenze) che non ha acconsentito ad alcuna riforma, ma ha fatto precipitare il paese in una escalation di violenza. A sua volta, l'opposizione pacifica al regime è stata presto messa ai margini da una preponderante contrapposta violenza armata, anche di matrice fondamentalista jihadista (accettata, tollerata, sostenuta da altre potenze). Gli Stati Uniti con l'Arabia da una parte, la Russia con l'Iran dall'altra, l'Europa, la cosiddetta "comunità internazionale", sono stati a guardare la mattanza, con efferatezze da entrambe le parti, che ha prodotto finora quasi 100mila morti, sopratutto – come in tutte le guerre – tra i civili inermi: nessun tentativo di mediazione internazionale tra le parti, nessun intervento massiccio di intermediazione civile, nessuna presenza di osservatori internazionali, nessuna richiesta di cessate il fuoco da parte degli alleati di una parte e dell'altra, nessuna interruzione del flusso di armi ad entrambe le parti in guerra.

A questo punto un intervento armato esterno, con i bombardamenti dall'alto dei cieli, non solo è completamente privo di senso rispetto alla situazione specifica, non solo – come tutte le guerre – aggiunge crimine a crimine nei confronti della martoriata popolazione civile, non solo è senza alcuna legittimità internazionale, ma è anche – nonostante il dispiegamento di potenti e terrificanti armamenti – un grave segno di impotenza della comunità internazionale.

Del resto, tutti gli interventi militari internazionali in zone di conflitto (spesso avviate con pretesti risultati, a posteriori, costruiti a tavolino) non hanno portato ad alcuna stabilizzazione democratica e pacifica in nessuno scenario - dall'Iraq al Kosovo, dalla Somalia alla Libia, all'Afghanistan – ma hanno ulteriormente disastrato popolazioni e territori, aprendo ulteriori focolai di guerra, odio e terrorismo. Chi è responsabile di una guerra assassina in Afghanistan, con stragi di civili, non può farsi paladino dei diritti umani, nascondersi dietro il paravento di un intervento umanitario per punire l'uso di gas contro altri civili.

L'opzione militare in Siria sarebbe destabilizzante per l'intera area, anche se l'obiettivo dichiarato è di un intervento limitato e mirato. Le guerre si sa come iniziano ma non si sa come finiscono.

L'unica vera stabilizzazione al rialzo è sempre quella per i profitti delle multinazionali delle armi, unici soggetti che da tutte le guerra ne escono comunque trionfanti e pronti a ricominciare.
Non a caso, esattamente un anno fa, il 31 agosto 2012, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, dichiarava che la spesa militare globale annua, mai così alta nella storia dell'umanità, divisa per i giorni dell'anno, è "di 4,6 miliardi di dollari al giorno, somma che, da sola, è quasi il doppio del bilancio delle Nazioni Unite per un anno intero". Il meccanismo è, dunque, sempre lo stesso: si impedisce alle Nazioni Unite di agire per la pace con tutti i mezzi diplomatici e operativi possibili e necessari, privandole di quelle risorse che, invece, vanno a gonfiare le spese globali per gli armamenti. Per cui la guerra continua planetaria, che si sposta da uno scenario conflittuale all'altro, è sempre di più una profezia che si autoavvera. 

Registriamo positivamente che in quest'ultima occasione il governo italiano abbia voluto finalmente prendere una posizione autonoma, diversa dagli alleati della Nato, rivendicando il ruolo delle Nazioni Unite e riconoscendo al Parlamento la sovranità delle scelte di politica estera. Ci vuole anche altro, come l'immediata sospensione della produzione e commercio di armi con i paesi belligeranti (comprese le cosiddette armi leggere), ma sappiamo riconoscere i segnali in controtendenza.




A questo punto torna la domanda: ma noi cosa possiamo fare? 

Oltre ad esprimere la nostra irremovibile contrarietà a questa nuova escalation internazionale della guerra siriana, foriera di imprevedibili effetti a catena su tutto lo scenario mediorientale, non ci dobbiamo stancare di operare e di chiamare tutti alla necessaria opera per la pace e la nonviolenza. 


Il nostro compito è operare bene e con convinzione, là dove siamo e possiamo, per il disarmo e la riduzione delle spese militari globali e nazionali, per il sostegno alle campagne contro il commercio italiano delle armi usate in tutte le guerre vicine e lontane, per la promozione dei Corpi civili di pace come forze di intervento preventivo nei conflitti, per la difesa civile non armata e nonviolenta attraverso la formazione di giovani volontari civili, per sviluppare politiche culturali ed educative fondate sulla nonviolenza, per incalzare i nostri governi ad operarsi per la riforma e il rilancio delle Nazioni Unite che possano operare davvero con una legale e democratica polizia internazionale, come superamento degli eserciti, per il rispetto del diritto e la difesa degli aggrediti.



Contro la guerra e per la pace c'è sempre qualcosa da fare. Con la nonviolenza, tutti i giorni.

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domenica 25 agosto 2013

Crimini di Guerra vanno puniti. Basta con l'impunita






Qualsiasi ricorso alla guerra, a qualsiasi tipo di guerra è un ricorso a mezzi che sono intrinsecamente criminali. La guerra inevitabilmente è un corso di omicidi, aggressioni, privazioni della libertà, e distruzione di proprietà.

 
Robert H. Jackson, Procuratore Capo Statunitense al Processo di Norimberga



Nel marzo del 2013, dieci anni dopo l'invasione dell'Iraq, accuse sono state depositate presso il tribunale distrettuale della California del Nord contro George W. Bush, Richard Cheney, Paul Wolfowitz, Donald Rumsfeld, Condoleezza Rice e Colin Powell per aver pianificato e condotto la guerra in Iraq in violazione del diritto internazionale

La denunciante è Sundus Shaker Saleh, una donna irachena profuga che è stata costretta ad abbandonare l'Iraq e ora vive nella Giordania. Sostiene che la guerra in Iraq è stata una guerra premeditata contro il popolo iracheno, la progettazione del qualei è stata iniziata nel 1998. La guerra non è stata condotta per legittima difesa, e in base al diritto internazionale, costituisce un crimine di aggressione. Questo è un crimine in cui non solo il governo degli Stati Uniti è stato coinvolto, ma anche i governi dei loro alleati, tra cui l'Italia. 

Lo scopo è semplice: ottenere giustizia per gli iracheni, e dimostrare che nessuno, nemmeno il presidente degli Stati Uniti, è al di sopra della legge. 

Il documento presentato dal avvocato di Sundus Shaker Saleh ricorda che, "Più di 60 anni fa, i a Norimberga, i giudici hanno condannato capi nazisti per reati di cospirazione e di scatenare guerre di aggressione. Hanno trovato i nazisti colpevoli di pianificare e condurre guerre che non avevano alcun fondamento in diritto e che hanno ucciso milioni di innocenti."

Saleh "è stata una vittima civile innocente della guerra in Iraq. Cerca la giustizia secondo i principi di Norimberga e sotto le leggi degli Stati Uniti per i danni che lei e altri come lei hanno sofferto a causa del piano premeditato degli imputati per invadere l'Iraq". 

Il documento legale crea una classe di "vittime civili irachene," notando che "è probabile che centinaia di migliaia o addirittura milioni di iracheni potrebbero essere stati oggetto di danni a seguito delle azioni degli imputati." 

Il 20 agosto, funzionari del Dipartimento di Giustizia hanno depositato documenti al tribunale, in risposta alla causa legale di Saleh, sostenendo che Bush, Cheney e gli altri dovrebbero essere concessi l'immunità sulla base del fatto che essi "hanno agito nell'ambito del loro ufficio federale al momento degli incidenti" descritti nella denuncia. In altre parole, nel vero spirito degli imputati nazisti a Norimberga, erano semplicemente 'facendo il loro lavoro'. 

Durante il tempo tra la presentazione del reclamo e la risposta del governo, il processo è stato in corso di Bradley (ora Chelsea) Manning. La sua colpa - di aver esposto la brutalità delle guerre in Afghanistan e in Iraq ai cittadini nel cui nome le guerre sono state combattute. 

In una lettera aperta al presidente Obama, Manning ha scritto: 

"Abbiamo coscientemente eletto a svalutare la vita umana sia in Iraq e in Afghanistan. Ogni volta che abbiamo ucciso civili innocenti, invece di accettare la responsabilità per la nostra condotta, abbiamo deciso di nasconderci dietro il velo della sicurezza nazionale e informazioni classificate, al fine di evitare qualsiasi responsabilità pubblica."


Il 21 agosto, un tribunale militare ha condannato Manning a 35 anni di carcere. Il messaggio non potrebbe essere più chiaro. Se il governo degli Stati Uniti e dei suoi alleati continuano sulla loro strada ci saranno più guerre di aggressione (la Siria sarà la prossima?) E ogni tentativo di chiedere conto pubblico sarà represso. 


Non c'è una bandiera abbastanza grande per coprire la vergogna di uccidere persone innocenti.

Howard Zinn