sabato 16 giugno 2012

Quando la libertà si impossessa dell’anima di una persona, neanche gli dei possono toccarla

Discorso di Nurit Peled nel 45° anniversario dell'occupazione militare israeliana. 

Questa sera dedico le mie parole a tre prigionieri in sciopero della fame. Mahmoud Sarsak, che è in sciopero della fame da 83 giorni, un eccellente calciatore di Gaza, è stato arrestato tre anni fa nell’ambito della Legge contro i Combattenti Illegali che consente di chiudere in prigione a vita senza processo e senza accusa. Akram Rikhawi, che è chiuso in carcere dal 2004 ed è in sciopero della fame dal 12 aprile per protesta per non essere stato liberato malgrado il suo fragile stato di salute. E Samer al-Barq, che ha ricominciato il suo sciopero della fame dopo averlo interrotto in seguito all’accordo firmato, perché come molti che erano stati rilasciati, ha ricevuto un nuovo ordine di detenzione amministrativa. 

Quei prigionieri sono ancora vivi perché “quando la libertà si impossessa dell’anima di una persona, neanche gli dei possono toccarla” (Jean-Paul Sartre). Né il dio del potere sionista e neanche l’angelo della morte israeliano. Quei prigionieri e migliaia di altri come loro, fra cui più di trenta membri del Parlamento fra cui il Presidente del Parlamento, Dr. Aziz Dweik, sono detenuti in modo illegale o senza un processo, in condizioni umilianti da anni, senza visite o senza speranza. Sono i combattenti per la libertà di questo paese che ci ricordano ripetutamente che tutti viviamo sotto occupazione e che solo la loro liberazione ci riporterà la nostra stessa libertà. 

 I cittadini arabi di Israele vivono sotto occupazione da circa 65 anni e i cittadini ebrei stanno vivendo in uno stato di assedio che si sono autoimposti. Siamo tutti sudditi di un regime colonialista che include l’appropriazione delle terre e dell’acqua, la pulizia etnica, la distruzione del paesaggio e dello spirito umano. Una lingua e una cultura di cui non hanno bisogno se non per esprimere il loro essere stati conquistati, è stata imposta agli arabi la cui lingua e cultura è stata deliberatamente e istituzionalmente rimossa dalle vite degli Ebrei in modo tale che noi non possiamo insegnare ai nostri figli né ricordare ai loro figli che “ci può essere anche una storia d’amore fra un poeta arabo e questa terra” (Mahmoud Darwish). 

Così sin dalla sua costituzione Israele ha perpetuato alla maniera dei regimi oppressivi, una società alienata e una cultura distaccata da questo luogo, da chi vi risiede, dai suoi aromi e i suoi sapori. Anche gli alberi e i fiori dei nostri giardini sono alienati, estranei e non hanno appartenenza. Questa alienazione testimonia continuamente che nel giorno della sua fondazione Israele ha imblasonato nella sua bandiera il simbolo dell’apartheid e del razzismo, e tolto il simbolo della libertà e della fratellanza che assicura la democrazia. 

Quest’anno il regime di apartheid dello Stato degli ebrei ha dato prova della sua totale lealtà al razzismo e ai suoi principi. Venticinque decreti razzisti sono stati presentati e più di dieci leggi razziste sono passate quest’anno, e quasi nessun cittadino ebreo è sceso in strada. Più di trecento persone imprigionate senza processo hanno lanciato uno sciopero della fame fino alla morte per più due mesi e quasi nessun cittadino ebreo è sceso in strada. Migliaia di bambini non vanno a scuola a Gerusalemme Est perché il Ministro dell’Educazione ebreo non assegna le classi o perché la Legge Razzista fa di loro cittadini senza collocazione e quasi nessun cittadino ebreo è sceso in strada. 

La separazione delle famiglie, l’espulsione dei residenti, la confisca delle terre, i bambini rapiti dai loro letti e crudelmente interrogati, le famiglie strappate dalle loro case e gettate in strada, i contadini torturati da bulli con la kippa con la protezione dell’esercito e su ordine del governo e praticamente nessun cittadino ebraico scende in strada a protestare. 

Questo è il massimo successo conseguito dal movimento sionista. Lo stato di Israele che è stato ufficialmente definito come uno stato dell’apartheid,si distingue per quello che è sempre stato il più tipico metodo di successo del razzismo: la classificazione degli esseri umani. La lingua ebraica che continua a diventare sempre più brutta sotto gli auspici dell’esercito dell’Occupazione e della burocrazia dell’Occupazione, è piena di classificazioni: ci sono persone che sono un cancro nel cuore della nazione e ci sono persone che sono un pericolo per la sicurezza, ci sono persone che sono una peste o un incubo demografico e ci sono persone che sono un rischio per la salute, tutte queste persone sono classificate e divise in categorie in modo tale che anche il più ignorante e rozzo ministro di Israele riesce ad imparare questa classificazione a memoria. 

Siamo tutti soggetti di classificazioni. Siamo tutti controllati dalle leggi razziste di questo luogo e volontariamente collocati in ghetti. Il ghetto sionista ha imparato a non vedere e non sentire nulla oltre i muri che lo circondano: i muri reali fatti di cemento e i muri immaginari datti di obbedienza, odio e terribile paura. Noi non osiamo protestare contro le leggi razziste, non osiamo affrontare i segni del razzismo, non osiamo difendere i bambini torturati, non osiamo buttare giù i muri di Gaza, non osiamo andare a Hebron e Deheisheh, a Jenin e Ramallah per chiedere dei vicini. Questa è la grande vittoria dell’Occupazione. 

Sotto la copertura dell’Occupazione noi continuiamo a scegliere di nasconderci sotto il commando di criminali di ogni specie, di criminali di guerra, di ignoranti e di cafoni. Così ci autopuniamo per la inutilità e l’appassimento del nostro spirito. Anno dopo anno portiamo i nostri figli ai cancelli delle scuole, lasciamo che si formino in un sistema educativo che brucia i libri di storia e cittadinanza e autorizza libri che incitano all’assassinio di bambini. Li abbandoniamo al lavaggio del cervello e alle bugie sulla guerra di liberazione che abbiamo vinto e del Jerusalem Day che sta a significare le nostre conquiste e la parata per la Samaria che è nostra, lasciamo che siano portati a Hebron, la città dei nostri Patriarchi, e alla Città di David. 

Gli insegnanti di questo sistema non fanno una piega quando sono chiamati ad avvelenare le menti dei loro alunni con storie mendaci sui nostri diritti storici sulle terre dei vicini, sull’eroismo e la vittoria quando in realtà si è trattato di pulizia etnica ispirata e pianificata dalle istituzioni del razzismo. 

Lo scopo ultimo dell’educazione israeliana è preparare i bambini a diventare soldati obbedienti della Forza di Occupazione Israeliana. Pieghiamo la testa quando l’organizzazione terroristica più istituzionalizzata al mondo ci sottrae i nostri figli e li iscrive nei suoi ranghi e insegna loro come classificare la gente, come classificare i bambini, come classificare il dolore come classificare i morti. Tutto questo allo scopo di indurire i loro cuori e smorzare i loro sensi in modo tale che possano maltrattare, distruggere e uccidere con la coscienza pulita. 

Siamo così occupati che anche quando l’essere umano si cambia in sangue continuiamo a classificare senza capire che tutti noi, i morti e i vivi, siamo vittime della corruzione dell’Occupazione. Sentiamo il dolore dei genitori di un unico prigioniero ebreo e non ci lasciamo penetrare dal dolore dei genitori dei bambini palestinesi rapiti, genitori che non hanno il permesso per anni di visitare i loro bambini incarcerati perché il prezzo richiesto loro per poter visitare i loro figli è la collaborazione con l’oppressore. 

Ignoriamo le sofferenze dei bambini di Gaza che vivono sui confini della morte, vittime di malnutrizione e mancanza di cure mediche, senza elettricità, senza il diritto a studiare e al sostentamento , senza una possibilità e senza speranza. .

Come tutti oggi sanno la Guerra del 1967 non è stata una guerra senza scelta. E’ stata una fuga dal recinto da parte di giovani generali, puledri dal sangue caldo germogliati e cresciuti nel ghetto sionista che avevano imparato a sognare la conquista. Si sono addestrati e addestrati fino a non poterne più e allora hanno approfittato di un momento di stupidità da parte dei vicini per superare qualunque ostacolo, per mollare le restrizioni e conquistare, espandersi e distruggere gioiosamente, con i sensi intossicati, con una sensazione di onnipotente supremazia ma senza nessun piano per il future, senza alcun pensiero per il giorno successivo e per i milioni di esseri umani divenuti sudditi in una notte. 

Per giustificare la devastazione e la distruzione, i creatori ufficiali di mitologie vennero mobilitati per apporre un versetto biblico ad ogni uccisione profana e una intera nazione è stata travolta nel flusso di saccheggio e sfruttamento , superandosi ogni anno perché il genio ebraico dal momento in cui è stato arruolato nel compito della rovina e della devastazione, distruzione e uccisione, non ha mai smesso di tirare ottenere sempre nuovi brevetti. 

Oggi che l’occupazione sta cominciando a mostrare i propri effetti sulla qualità della vita della nazione dominante, si sollevano e chiedono giustizia sociale. Ma la giustizia sociale subisce anch’essa una classificazione. La giustizia sociale vale per i residenti di questo ghetto non di quello. I residenti di quel ghetto rovineranno la nostra giustizia sociale se li includiamo fra le nostre richieste, se diamo loro un forum, se lasceremo che le loro voci siano udite mentre chiedono quello che spetta loro. Poiché quel ghetto è là per ragioni di sicurezza, i suoi residenti non sono vittime di ingiustizia e razzismo ma sono un problema di sicurezza, ciascuno e tutti loro. E quando vengono uccisi non è per razzismo ma per considerazioni politiche e noi non siamo coinvolti in politica. Perciò quel movimento per la giustizia sociale, il fallimento del quale era scritto sul muro fin dal suo incipit, rappresenta il prodotto più spettacolare del sistema educativo israeliano. 

Guai a noi ora che i criminali dell’Occupazione sono i nostri figli, guai a noi ora che abbiamo ceduto al razzismo, ora che abbiamo permesso a i criminali dell’apartheid di occupare i nostri spiriti e di distaccarci da qualunque cosa sia umana, da qualunque cosa sia giusta, da qualunque cosa sia pace e tranquillità, buon vicinato, amore per l’umanità, clemenza e compassione, allo scopo di raggiungere i loro obiettivi fondamentali. 

Gli spiriti del prigionieri in sciopero della fame nelle loro celle anguste stanno respirando libertà e il nostro spirito è oppresso e a scadenza. Viviamo in un ghetto che non ha città né un luogo natale, la lingua del quale non è la lingua locale, un ghetto che non ha uno spazio su cui aprirsi eccetto le bypass road che passano oltre qualunque cosa che sia viva. E’ giunto il momento in cui dobbiamo unirci ai nostri vicini in tutto il Medio Oriente, per cantare le lodi della vera ribellione, per dichiarare l’apertura dei confini e la rottura delle barriere, per abbattere le porte delle prigioni, per restituire gli olivi e le vigne ai legittimi possessori, per restituire i Figli della Palestina ai loro confini e alla loro terra e per tentare di recuperare quanto è stato perso e schiacciato sotto gli stivali chiodati di grassi bulli. 

Solo allora, se gli autentici figli di questo paese ci permetteranno di imparare come vivere qui, anche noi saremo capaci di liberarci dell’Occupazione e di essere liberi dalla paura, perché come disse Menachem Begin: “L’essenza della libertà è libertà dalla paura, perché la paura non è una padrona meno terribile solo perché viene nascosta”. Fra di noi la paura è palese; fra di noi la paura è la forza motivante che sta dietro qualunque azione. La paura del rifiuto di servire nell’esercito di occupazione, la paura del sostegno a un boicottaggio giustificato dei prodotti degli insediamenti, la paura di visitare i vicini. 

I bambini degli asili che sono arrivati qui alcuni mesi fadall’Etiopia sanno già chi odiare e chi temere. Sono attaccati dal terrore e dalla paura degli “Arabi” che non hanno mai visto di persona. Sono sicuri che sono stati gli Arabi a bruciare il tempio, ad uccidere gli ebrei in Germania, a detenerli a Gondar, sono sicuri che stanno appostati in tutti gli angoli in attesa di loro. 

Dobbiamo liberare i nostri figli dai muri della paura e insegnare loro le basi della libertà e della responsabilità e spiegare a loro e a noi stessi che una persona che obbedisce alle restrizioni che gli impediscono di andare dovunque voglia, si tratti anche di Hebron, Jenin o Ramallah- non è una persona libera ma una persona sconfitta. Una persona che inventa leggi che restringono la possibilità dei vicini di avere un’educazione e guadagnarsi da vivere, è una persona repressa, una persona in stato di assedio. Quell’assedio può essere tolto solo da una resistenza come quella che vediamo a Bil’in e Ni’lin, Babi Salah, Maasara e attraverso una coraggiosa disobbedienza civile, con un chiaro NO, come i nostri vicini stanno facendo. 

Concluderò con alcuni versi scritti da Almog Behar per Mahmoud Darwish: 

A mio fratello Mahmoud Darwish: chi ha reso la nostra storia conflittuale 
E mi ha collocato fra le alte torri 
Che stanno a guardia delle pesanti porte di Gaza
Osservando le finestre delle case attraverso I fucili? 
Chi ha eretto fra noi muri di cemento e ferro e occhi di telecamera? 
E ci ha diviso in conquistatori e conquistati? 
Quando saremo fratelli? 


martedì 12 giugno 2012

La Partita della Vita di Mahmoud Sarsak

Ci associamo al comunicato della Rete Romana per la Solidarita con la Palestina sulla situazione di Mahmoud Sarsak, calciatore palestinese detenuto in Israele senza capi d'accusa o processo da 3 anni e in sciopero della fame da 85 giorni.



Negli Europei di calcio 2012 c’è una partita che non verrà trasmessa: è quella di un giovane calciatore che lotta per la dignità, la libertà e la vita.


 Il suo nome è Mahmoud Sarsak, ha 25 anni, viene da Gaza, è una delle promesse della Nazionale Palestinese e secondo l’ultimo bollettino medico sta morendo.


Il 22 giugno 2009 è stato arrestato dalle autorità israeliane al valico di Erez, senza alcun capo d’accusa, mentre cercava di raggiungere la West Bank per giocare una partita con i suoi compagni di squadra. Da 3 anni si trova nel carcere israeliano di Ramleh senza sapere perché, in base alla “Legge contro i combattenti illegali”, che permette a Israele di detenere chiunque sia sospettato di opporsi all’occupazione dei Territori Palestinesi.


Il motivo e la durata dell’arresto sono tuttora sconosciuti. Contro questa ingiustizia Mahmoud Sarsak è in sciopero della fame da 85 giorni (oggi 86°) per rivendicare il diritto alla dignità, e a realizzare il suo sogno di giocare a pallone. Ogni giorno segna un gol nella sua cella, lottando per la libertà.


Prima che sia troppo tardi, mercoledì 13 giugno alle ore 11,00 è indetto a Roma un sit-in davanti alla Federazione Italiana Gioco Calcio (via Giuseppe Allegri, 14).


Rivolgiamo un appello a tutti i calciatori: lo sport unisce, non divide e non condanna a morte. Chiediamo di sostenere la lotta di Mahmoud e di fare pressione per il suo immediato rilascio. 
 

Giornata del Bracciale Bianco con le Donne in Nero di Belgrado

La campagna «Giornata del bracciale bianco» ha lo scopo di dare voce alle vittime delle atrocità di massa in tutto il mondo nella loro lotta per la verità, la dignità e la memoria.


Si possono trovare altre informazioni su questa campagna su: stopgenocidedenial.org o sulla pagina Facebook http://www.facebook.com/StopGenocideDenial.


Oggi, il 12 giugno 2012 l'associazione delle famiglie delle persone scomparse dal comune di Prijedor presenta il libro Gli Innocenti.In più di 400 pagine, il libro elenca i nomi e i dati personali di 3173 persone uccise e scomparse a Prijedor dal 1992. al 1995. 
 
Le donne in nero di Belgrado e della rete Serba lavorano perché non vengano dimenticate le vittime dei crimini commessi nei conflitti della ex-Jugoslavia. Hanno chiesto ai gruppi delle donne in nero della rete internazionale di unirsi alla campagna che stavano organizzando con le donne di Prijedor in Bosnia Erzegovina per il 31 maggio, per ricordare il 20° anniversario di tutti i crimini di guerra a Prijedor. La vigil è stata proibita dalle autorità municipali alle donne di Prijedor.


Noi raccogliamo oggi la loro richiesta e diffondiamo le informazioni che ci hanno dato.


Il 31 maggio 1992, le autorità serbo-bosniache a Prijedor, una città del nord-ovest della Bosnia Erzegovina decretarono che tutti i non-Serbi dovevano contrassegnare le loro case con una bandiera o un drappo bianco e portare un bracciale bianco quando uscivano di casa. Era il primo giorno della campagna di sterminio che portò a uccisioni, campi di concentramento, stupri di massa e infine alla partenza di oltre il 94% dei Bosniaci musulmani e dei Bosniaci croati dal territorio della municipalità di Prijedor.

Era la prima volta - da quando un decreto nazista del 1939 che ordinava agli ebrei polacchi di portare un bracciale bianco con la stella di David blu - che dei membri di un gruppo etnico o religioso venivano marchiati così per lo sterminio.

Dei membri della Missione di sorveglianza della Commissione europea hanno testimoniato che, mentre visitavano un villaggio misto serbo/musulmano nell’agosto 1992, avevano visto che le case musulmane erano contrassegnate da una bandiera bianca per distinguerle dalle case serbe. La campagna di persecuzione dei non-Serbi che ne seguì, è stata giudicata dalla Corte penale internazionale per l’ex-Jugoslavia come rientrante in un actus reus di genocidio.

Migliaia di persone sono state uccise, detenute, torturate, deportate o violentate e la comunità conosciuta come Prijedor è cambiata per sempre.

La Bosnia Erzegovina è oggi un paese che funziona sulla base di un accordo di pace firmato nel 1995 che ha lasciato Prijedor in mano ai Serbo-bosniaci. Le vittime della campagna genocida eseguita a Prijedor non hanno ricevuto alcun riconoscimento per le loro sofferenze da parte delle autorità municipali. Il sindaco e il governo locale rifiutano di riconoscere pubblicamente i crimini commessi a Prijedor malgrado le numerose sentenze di tribunali internazionali e locali. Dei memoriali che onorino le vittime di questi crimini sono stati proibiti e l’accesso ai luoghi delle loro sofferenze rifiutato.

Che il 31 maggio sia il giorno delle voci delle innumerevoli vittime colpite per la loro razza, etnia o idea politica.