domenica 17 aprile 2011

Restiamo Umani












Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi,

altri che lottano un anno e sono più bravi,


ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi,


però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli imprescindibili.

(Bertolt Brecht)



















Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza, a trentasei anni, poche ore dopo il suo sequestro, ce lo chiedeva tutti i giorni alla fine dei suoi scritti:
restiamo umani.

Vittorio ogni giorno per anni ci ha raccontato, con parole e immagini, indipendenti e imparziali, la vita vera e la lotta per la sopravvivenza di due milioni di persone rinchiuse a Gaza, assediate, bombardate, affamate, umiliate.

Vittorio aveva scelto di stare all’inferno per aiutare chi dall’inferno non poteva andarsene a rompere il silenzio indifferente sulla Striscia di Gaza, diventata un buco nero nella cronaca e nella politica, una gigantesca macchia oscura nell’etica e nella morale collettiva, impastata di indifferenza e di complicità con l’orrore.
Vittorio è morto ammazzato. La sua morte oggi strappa il velo sulla Striscia e parla. Che possa parlare davvero a tutti, Vittorio, anche ora che non c’è più. Che semini ancora l’insopportabilità dell’ingiustizia.

Vittorio viveva a Gaza da anni. Aveva scelto di stare lì, con i suoi occhi testimoni e il suo corpo solidale, perché aveva visto il furto di terra, di acqua, la demolizione di case, la distruzione di coltivazioni e di barche di pescatori (era stato anche ferito mentre li accompagnava a pescare cercando di proteggerli con il suo corpo dagli attacchi armati dell’esercito israeliano, proprio come Rachel Corrie, uccisa a Rafha perché aveva interposto il suo corpo tra un bulldozer e una casa).

Vittorio aveva visto i malati di cancro rimandati indietro “per questioni di sicurezza” al valico di Eretz tra Gaza e Israele, aveva visto palestinesi trattati con disprezzo, picchiati, umiliati. Aveva visto la disperazione dei pescatori a cui veniva impedito di pescare e aveva visto la disperazione dei contadini abbracciati a un albero di olivo mentre un bulldozer glielo porta via. Aveva visto donne partorire dietro un masso per l’impossibilità di raggiungere un ospedale. Aveva visto la paura e il terrore negli occhi dei bambini e delle bambine e i loro corpi spezzati. Aveva visto morire neonati prematuri perché in ospedale è mancata l’elettricità per trenta minuti. Aveva conosciuto bambini e bambine che non hanno avuto altro che dolore da quando sono nati. Aveva sentito il freddo che penetra nelle ossa nelle notti gelide di Gaza senza riscaldamento, e senza luce: Aveva assistito a Gaza durante Piombo fuso (dicembre 2008 – gennaio 2009) alla distruzione di migliaia di case e all’uccisione più di tremila persone tra cui centinaia di bambini che certo non tiravano razzi.

“Restiamo umani”, ci ha sempre ripetuto Vittorio. A qualunque latitudine, facciamo parte della stessa comunità. Ogni uomo, ogni donna, ogni piccolo di questo pianeta, ovunque nasca e viva, ha diritto alla vita e alla dignità. Gli stessi diritti che rivendichiamo per noi appartengono anche a tutti gli altri e le altre, senza eccezione alcuna.

Abbracciamo i familiari, i volontari dell’International Solidarity Movement, i suoi amici e le sue amiche, i giovani di Gaza che si sono mobilitati per salvagli la vita.

Restiamo umani, anche quando intorno a noi l’umanità pare si perda.



Restiamo umani per lui, Vittorio Arrigoni, giusto, appassionato, umano.


Sono certa che il più grande contributo che possiamo offrire ora alla memoria di Vittorio, sia di continuare a lavorare a sostegno della popolazione di Gaza e della Palestina nella loro lotta per la libertà, la giustizia ed i diritti umani .

Mairead Maguire (premio nobel per la pace)



giovedì 14 aprile 2011

Siamo Tutte Aquilane




Lo sguardo delle donne.

L’Aquila: tutti l’hanno guardata, ma chi l’ha vista veramente?

Il comitato Donne terre-mutate lancia un incontro nazionale a L’Aquila.

Per portare le donne di tutta Italia a vedere L’Aquila come è.

A sentirne gli odori, a toccare le spaccature e a stringere mani.




le donne terre-mutate ci chiamano a l’Aquila il 7 e 8 maggio

www.laquiladonne.com

sabato 9 aprile 2011

Un arabo, un ebreo, un essere umano - Ricordiamo Juliano Mer Khamis









Juliano Mer Khamis, attore e regista israeliano, era figlio di Arna, ebrea israeliana, fondatrice di una scuola di teatro nel campo profughi palestinese di Jenin, e di un palestinese di Haifa, Saliba Khamis.








Nel 2006 aveva aperto nel campo profughi di Jenin il “Freedom Theatre” una scuola di teatro per bambine e bambini palestinesi, uno spazio di espressione e libertà dove essi potessero “darsi un nuovo orizzonte di senso, conservare i loro valori di liberazione e non cadere nelle trappole dell’occupazione e diventare uno specchio del loro nemico. Ma per questo bisogna costruire un’identità molto forte nelle persone, che non ceda a sentimenti di vendetta, fatta di valori universali, cultura, consapevolezza e conoscenza: se qualcuno uccide tua figlia, e tu hai la forza di non uccidere sua figlia, hai la forza di resistere e mantenere i tuoi valori, allora sarai in grado di batterli perché sei più forte come essere umano”.

Questa per Juliano era la vera lotta contro l’occupazione israeliana perché “ciò che l’occupazione sta facendo è distruggere la società”. Ma era anche la lotta contro ogni fondamentalismo, per “costruire sulla base non della tradizione e della religione, ma della libertà, di strutture democratiche, di un alto livello di educazione e della libera opinione, della cultura…. Combattere la tradizione è combattere l’occupazione”.

Questo impegno per la libertà a partire dalle bambine e dai bambini dava molto fastidio a chi non condivideva il suo sogno di essere “il collegamento, una porta, una finestra”.


Il 4 aprile Juliano è stato ucciso da un uomo armato con il volto coperto che l’ha atteso all’ingresso del campo profughi e lo ha freddato con diversi colpi di arma da fuoco.


Teniamo vivo il suo ricordo, il suo sogno di libertà

venerdì 1 aprile 2011

La Guerra non e' mai la soluzione


L’operazione “Odissea all’alba” in Libia è cominciata con il solito pretesto: difendere la popolazione civile - questa volta agli attacchi delle forze del colonnello Gheddafi, fino a un mese fa solido alleato di chi oggi lo bombarda.

Abbiamo visto i risultati degli interventi militari e le menzogne raccontate sull’Iraq e l’Afghanistan Laden: migliaia di civili uccisi e, dopo tanti anni, la pace e la giustizia ancora lontane.

Lo ripetono le organizzazioni democratiche afghane: “Con il costo di un giorno di guerra, avremmo potuto costruire tutte le scuole e tutti gli ospedali di cui abbiamo bisogno ed uscire dal sottosviluppo”.

Quest'intervento è anche contro l’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra, e in cui si specifica che viene ripudiata non solo la guerra di aggressione (offesa alla libertà degli altri popoli), ma anche la guerra usata per risolvere le controversie internazionali: anche se avessimo ragione in una controversia la nostra legge fondamentale ci vieta di far valere la ragione con le armi e invece ci suggerisce di avviare e attuare tutti gli strumenti di confronto diplomatico e giuridico.

Donne in Rete per la pace a Vicenza davanti alla Gendarmeria europea


E abbiamo molte domande


  • Perché solo ora la comunità internazionale si accorge che Gheddafi è a capo di un regime autoritario e liberticida?
  • Perché il governo italiano ha firmato un Trattato economico - militare con lo stato libico, e non lo ha disdetto con il necessario voto parlamentare?
  • Perché l'Italia ha venduto le armi alla Libia?
  • Perché il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha votato un documento che consente a chiunque di andare a bombardare la Libia, anziché inviare forze di interposizione a difesa della popolazione civile e osservatori incaricati di verificare la tregua comunicata il 18 marzo?
  • Perché, a difesa degli insorti, l’ONU schiera paesi ex coloniali con grossi interessi economici in Libia e non paesi veramente “terzi” ed estranei al conflitto?
  • Perché la sorte degli oppositori libici provoca l’indignazione internazionale e l’intervento della NATO, mentre questo non succede per altri paesi (Palestina, Bahrein, Sudan)?
  • Perché l’Arabia Saudita si è schierata a fianco degli insorti libici, ma reprime ogni tentativo di democratizzazione nel proprio paese ed ha inviato soldati sauditi a reprimere le proteste in Bahrein (45 morti negli scorsi giorni)?
  • Perché la solidarietà e il rispetto dei diritti umani non valgono per le migliaia di persone che sono approdate sulle nostre coste in fuga da miseria, conflitti e dittature?

Non siamo indifferenti alle sorti della popolazione libica come non eravamo indifferenti alle sorti dei migranti confinati nei lager di Gheddafi, in forza del Trattato con Tripoli sui respingimenti, votato a suo tempo anche dall’opposizione, e ieri riconfermato dal parlamento, ma siamo consapevoli che gli interventi militari sono fallimentari per l’esperienza del Kosovo (ora grande base militare USA), della Somalia, dell’Iraq, e soprattutto dell’Afghanistan dove nessuno degli obiettivi dichiarati è stato raggiunto soprattutto sul piano umanitario.

Consideriamo l’interventismo umanitario un inganno assoluto, non solo perché per definizione siamo contro ogni guerra ma perché le esperienze passate e presenti lo dimostrano.

Si lasciano, al contempo in condizioni inumane i migranti approdati a Lampedusa abbandonati, insieme alla popolazione locale, dalle autorità che dovrebbero occuparsene con una politica dell’accoglienza, nel rispetto di quei diritti umani che sanno “difendere” solo con le armi.

Rifiutiamo la risposta militare come una soluzione del conflitto.
Ci opponiamo all’utilizzo delle basi militari italiane per questo intervento.
Chiediamo un blocco reale ed efficace della fornitura di armi alle parti in guerra.
Chiediamo la cessazione dei bombardamenti.




La guerra non si può umanizzare, si può solo abolire
Albert Einstein