martedì 24 settembre 2013

Processo di Pace?

 
Si dice che attualmente vi è  un processo di pace tra Israele e Palestina. Sono in corso trattative tra il governo israeliano e l'Autorità palestinese. 


La maggior parte di quelli che hanno seguito la serie di "processi di pace", a partire da Oslo, sono scettici, perché mentre i colloqui vanno avanti, un altro processo continua senza sosta- il processo d'espansione degli insediamenti, d'espropriazione dei palestinesi. Il processo di colonizzazione e di pulizia etnica.
 

Alle 04:30 del Lunedi il 16 settembre, l'esercito israeliano è arrivato senza preavviso, nel villaggio di Khirbet Makhoul nella Valle del Giordano settentrionale con i bulldozer militari. In breve tempo tutti gli edifici sono stati distrutti. 

Tentativi da parte della Croce Rossa di portare aiuti umanitari sono stati impediti con l'uso di granate stordenti. Il personale consolare di alcuni paesi dell'Unione Europea sono stati rimossi dalla zona in violazione della loro immunità diplomatica. Abitanti del villaggio rimangono senza riparo o mezzi di sussistenza, esposta al sole cocente e alla notte fredda. 

 

La distruzione del villaggio di Khirbet Makhool è solo l'ultima di una lunga serie di demolizioni nella Valle del Giordano, area sotto il controllo civile e militare israeliano, quasi completamente dichiarata "zona militare chiusa". Una politica implementata da tempo, che si accompagna al divieto per i residenti palestinesi di costruire qualsiasi tipo di struttura permanente: obiettivo finale è l'espansione delle colonie agricole israeliane e l'assunzione del totale controllo delle risorse naturali.

Secondo un rapporto di Human Rights Watch, nei primi otto mesi del 2013 sono già state distrutte 420 strutture e 716 persone sono state cacciate dalle loro terre e dalle loro comunità in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Dal 2009, data di insediamento del governo Netanyahu, secondo dati OCHA, le forze israeliane hanno costretto 3.799 palestinesi a lasciare le proprie case; nello stesso periodo, quasi 4.600 unità abitative per coloni sono state costruite negli insediamenti di Gerusalemme Est e Cisgiordania.

Mercoledì il 25 settembre, la Coalizione delle Donne per la Pace visiterà Khirbet Makhoul per protestare contro le demolizioni e l'abbandono dei residenti della zona. Inviamo loro il nostro affetto e la nostra solidarietà.

Nel frattempo, il governo israeliano e il segretario di Stato degli Stati Uniti stanno facendo pressione sull'Unione Europea a sospendere la decisione di porre restrizioni in materia di cooperazione con Israele, in modo che gli insediamenti e organizzazioni che traggono profitto da o che sostengono la colonizzazione della Cisgiordania non beneficiano di fondi europei . 


Per molti anni l'Unione europea non ha agito in base alle condizioni dei suoi trattati con Israele e pur condannando gli insediamenti illegali, non hanno fatto nulla per condizionare le relazioni commerciali con Israele sulla applicazione delle proprie norme. Molte volte in passato abbiamo scritto ai rappresentanti dell'UE chiedendo l'applicazione di queste norme. Ci hanno sempre risposto che"l'impegno" con Israele avrebbe migliorato la situazione - e sempre gli insediamenti si sono ampliati, e più palestinesi hanno perso la loro terra.

Ora, quando finalmente l'UE ha adottato norme per imporre il rispetto per il diritto internazionale, Israele e gli Stati Uniti affermano che le nuove restrizioni mineranno il processo di pace. A noi pare che siano la colonizzazione continua e gli altri abusi a distruggere la speranza di pace. 


Il Coordinamento Europeo dei Comitati e delle Associazioni per la Palestina ha lanciato una campagna per contrastarei tentativi di impedirel'applicazione delle nuove norme. Qualcosa che possiamo fare è di inviare lettere ministro degli esteri (ministero.affariesteri@cert.esteri.it) e ai parlamentari e senatori italiani (http://www.camera.it/leg17/28 )



Clicca qui per una copia della lettera

sabato 21 settembre 2013

Risoluzione del XVI Incontro Internazionale delle Donne in Nero Montevideo



Risoluzione del XVI Incontro Internazionale delle Donne in Nero Montevideo, Uruguay, 19/8/2013- 24/8/2013 

Delegazioni di Argentina, Armenia, Belgio, Cile, Colombia, Congo, Guatemala, India, Israele, Italia, Palestina, Serbia, Spagna, Uruguay.

  • Siamo un movimento internazionale di attiviste femministe che si confrontano con diverse situazioni di oppressione. 

  • Rifiutiamo i conflitti armati e le guerre che hanno luogo nel mondo ad opera degli eserciti dei nostri paesi.

  • Rifiutiamo anche le cosiddette guerre “umanitarie” e le guerre preventive, la violenza in situazione di post-conflitto in cui si continua la guerra con strumenti diversi. Il perpetuarsi del potere dei dittatori e dei criminali attraverso artifici legali, l'immunità per gli attori armati e l'impunità per i criminali di guerra. 

  • Rifiutiamo anche le guerre sociali generate dall'economia neoliberista che stanno danneggiando il mondo intero soprattutto la gente povera. 

  • Ci opponiamo al commercio delle armi la cui produzione è una delle cause della proliferazione delle guerre. Proponiamo che le industrie belliche trasformino la loro produzione spostandola su prodotti non letali 
  • Rifiutiamo anche la continuità della violenza contro le donne in casa, nelle strade, nei luoghi di lavoro. 


Tutte queste forme di violenza sono generate dal patriarcato che si nutre e si sostenta attraverso le guerre, la violenza e l'ingiustizia e che non ha mai rinunciato a soluzioni belliciste.

In tutte queste situazioni si usa una violenza strutturale e sistematica contro le donne, il controllo sociale viene assicurato attraverso il controllo dei corpi delle donne.
Il nostro movimento femminista e antimilitarista utilizza forme di lotta nonviolente e fa le seguenti proposte:

  1. Azione globale delle Donne in nero per l'abolizione dell'immunità per i membri delle “missioni di pace” delle Nazioni Unite, i caschi blu.

    E' comprovato che in molte zone di guerra i caschi blu siano stati coinvolti in reati di tipo sessuale contro la popolazione civile come in Congo, Bosnia, Haiti, ecc. A partire dalla ultima settimana di ottobre iniziare le campagne di mobilitazione.
  2. Abolire l'impunità per i perpetratori di crimini di guerra compiuti durante interventi militari, guerre umanitarie, dittature e guerre sociali contro i poveri, per impedire che tornino al potere come sta succedendo in molti luoghi.

    Per questo esigiamo che il sistema giuridico si attivi contro l'impunità. Quindi ci congratuliamo con il Tribunale del Guatemala per la condanna per genocidio del dittatore Efrain Rios Montt, stabilendo un precedente unico nel mondo

    Per questo lavoriamo e continueremo a lavorare con modelli di giustizia che partono da una visione femminista come i tribunali e le corti delle donne, le commissioni di verità, giustizia e riparazione, ecc

    Proponiamo di collocare l'inizio di questa azione contro l'impunità il 24 di maggio 2014, giornata internazionale per la pace e il disarmo.
  3. I nostri gruppi di Donne in Nero faranno vigil per ricordare la Nakba palestinese del 1948. Appoggiamo e ci impegniamo con il movimento BDS “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro lo stato di Israele e la sua economia di guerra e la sua politica di occupazione. 
Riaffermiamo la nostra autonomia e la libertà di decidere sulle nostre vite e i nostri corpi e territori in termini di diritti sessuali e e riproduttivi.

Continueremo ad appoggiare le iniziative di pace che i diversi gruppi di Donne in Nero e affini organizzano in conformità con i propri contesti sociopolitici e rispettando l'autonomia di ciascun gruppo che fa parte della rete.

Montevideo 24 agosto 2013

Da Montevideo




Relato dell'incontro internazionale delle Donne in Nero a Montevideo, Uruguay, da Patricia Tough, donna in nero di Bologna

 

Care tutte,

 Questo incontro è stato molto movimentato, incalzante e un po' confuso anche per i continui spostamenti da un luogo all'altro per le varie attività organizzate e una certa mancanza di organizzazione in particolare nella distribuzione degli incarichi da parte delle organizzatrici il tutto in una atmosfera di grande condivisione, affetto e allegria.


 Le plenarie e i workshop si sono susseguiti e tutte le pause sono state riempite da incontri in café, ristoranti e case (quella di Ana Valdès, perlopiù) in cui la discussione continuava per cui non c'è stato un momento di tregua se non negli ultimi due giorni dopo la chiusura dell'incontro che però abbiamo usato in parte per riscrivere il documento finale dopo le modifiche apportate in plenaria il giorno precedente e in parte con le Mujeres de negro Uruguay e le Women in black inglesi e statunitensi, la belga, e poi Taghrid e Jerstin, rispettivamente palestinese e israeliana che hanno voluto come noi trascorrerli conoscendo la città e partecipando a iniziative organizzate a margine dell'incontro.

 
E' apparsa immediatamente chiara la diversità dei temi posti al centro del loro impegno da parte delle Mujeres de negro dell'Uruguay cioè finora prevalentemente la violenza domestica, il diritto all'aborto, il femminicidio che del resto erano i temi su cui le donne di quel paese sentivano maggiormente bisogno di attivarsi.

 

In questo senso le Mujeres de negro hanno lavorato molto bene e creato un'attenzione da parte delle istituzioni locali e del governo. Sono state capaci anche di promuovere manifestazioni molto partecipate di donne che hanno accettato di usare il simbolico delle Donne in nero (il nero e il silenzio) in modo “disciplinato” cioè non come accade alle volte nelle nostre uscite dove fatichiamo ad avere una uniformità su questi aspetti. Hanno posto il tema del destino degli orfani/e del femminicidio ottenendo una legge in proposito che garantisce aiuto socioeconomico a questi bambini così colpiti nei primi anni di vita.

 Ana Valdès, tornata a vivere in Uruguay dopo un lungo esilio in Svezia, ha portato nel gruppo i temi del militarismo, della memoria di quanto accaduto nella dittatura, della necessità di verità, giustizia e riparazione anche se con una certa difficoltà a trovare una consonanza. Le/i torturate/i incontrano per la strada i loro aguzzini e “sono loro”, le vittime, a dover abbassare lo sguardo” come dice Ana. L'uscita dalla dittatura è stata infatti patteggiata nel 1985 fra militari e tupamaros con un accordo che ha portato alla “ley de caducidad” che ha voluto dire “impunità” cioè una pietra tombale su quanto accaduto.



 Su nostra richiesta Ana, rimasta prigioniera della dittatura per 4 anni, ha organizzato un incontro con altre due exprigioniere, Anahit, di origine armena, rimasta in carcere per 11 anni e Elena per 4. Abbiamo pensato di fare loro una intervista in cui abbiamo chiesto della loro esperienza, come era nato il loro impegno politico, come avevano vissuto la reclusione, l'essere in balia totale dei torturatori ma anche la solidarietà, la capacità di continuare a discutere e a progettare il futuro anche se in cattività e continuo controllo da parte dei militari, anche lo stupore di fronte alle condanne loro comminate, alla estrema violenza della dittatura dentro e fuori dalle carceri, la gioventù e l'entusiasmo per un progetto di cambiamento che attraversava tutta America Latina e poi la delusione per l'esclusione dalle decisioni, il bisogno di verità e giustizia negato. In ogni caso il tema delle dittature è entrato in maniera prepotente nell'incontro e nei temi delle DIN con la presenza di Argentina, Cile, Guatemala, Uruguay.

 L'Uruguay è un paese laico, la legge sul divorzio è del 1907 e non c'è religione di stato, non si insegna religione nelle scuole e queste sono pubbliche e obbligatorie per tutte/i oltre che gratuite fino all'università, il secolarismo diffuso si sente chiaramente nell'atmosfera che si respira in questo paese dove però una legge sul diritto all'aborto è stata ottenuta solo da poco tempo ed è caratterizzata da regolamenti che mostrano una mancata rinuncia al controllo sul corpo delle donne (e quindi sulla natalità e ai fini del controllo sociale) a dimostrazione che il patriarcato anche nel secolarismo limita, se può, le libertà femminili ma le donne non si perdono d'animo e hanno intenzione di far cambiare la legge. La gioventù è istruita c'è molto interesse per teatro, opera, musica classica, la legge permette i matrimoni omosessuali, la legalizzazione delle droghe leggere sotto controllo dello stato, il tutto molto recente. Nel centro di Montevideo, come a Bologna esiste la Zona della diversità sessuale con un edificio affidato alle organizzazioni gay e lesbiche, transgender e in generale lgbt.


 Le donne partecipano attivamente alla politica, Montevideo ha una sindaca che ha proclamato Montevideo “città della pace” per tutta la durata del nostro incontro (6 gg.) e ha voluto che l'inaugurazione assumesse un carattere ufficiale, Durante questo evento abbastanza partecipato, Stasa ha preteso e ottenuto che venisse tolta la bandiera serba che ingenuamente era stata messa, insieme a quelle riferite alle altre delegazioni presenti (certo questo ha messo in luce una mancanza di consapevolezza del nostro sentire sulle questioni che riguardano nazioni/nazionalismo però hanno capito subito di aver fatto un errore). Il governo ha definito il nostro incontro di “interesse nazionale”.

Montevideo è una città politicizzata, in vari luoghi della città si propagandano in vari modi le ultime leggi sui diritti civili anche con proiezioni sulle pareti dei palazzi, Insomma questo incontro è stato immerso nella realtà locale, in modo un po' inusitato e anche questo sta a testimoniare modalità e approcci diversi fra le varie realtà in cui sono presenti nel mondo le donne in nero, si capiva anche che in determinati ambienti c'era interesse rispetto alla nostra realtà di donne in nero.

 Da quello che abbiamo capito ci sono state diverse realtà che hanno chiesto di incontrarci, ad esempio abbiamo incontrato una delle 19 Comuna Mujer, luoghi gestiti da donne, dipendenti e volontarie, che offrono accoglienza e consulenza legale e psicologica alle donne che vivono nel dipartimento cui afferisce ogni Comuna (un “consultorio” per più quartieri). Il servizio è molto interessante e prevede anche attività di formazione e empowerment, hanno anche ricevuto la visita di Rigoberta Menchù cosa di cui sono molto orgogliose. Per quanto riguarda i casi di violenza in famiglia per cui la donna sia costretta ad allontanarsi dalla casa, il servizio/rifugio viene fornito direttamente dal governo attraverso “hogares” temporanei e segreti. 

Abbiamo avuto la presenza di un gruppo di attiviste cilene di cui forse vi avevo già accennato, erano otto (una è arrivata da solo in macchina attraversando la Cordigliera delle Ande e hanno trovato molto stimolante la nostra proposta, più avanzata rispetto ai soli temi pur importantissimi della violenza sulle donne (femminicidio) dell'autonomia del corpo delle donne (depenalizzazione aborto -attuato con metodo farmacologico quindi a casa-; in Cile c'è la legge più restrittiva in tal senso), e in generale dei diritti sessuali e riproduttivi.

 Loro sembrano molto interessate a sviluppare anche i nostri temi a partire dalla lotta contro la guerra come prodotto del patriarcato, e la violenza sistematica sulle donne nella guerra oltre che contro il militarismo che in particolare in Cile è un tema importante da da porre nell'agenda femminista. Ci hanno ringraziato per il valore che abbiamo dato loro e per aver aperto loro un nuovo orizzonte di impegno.

 C'era una ragazza che rappresentava le donne in nero Armenia che ha portato video

sulle mobilitazioni che fanno nel loro paese, molto simboliche ma anche molto giovani non mancano infatti performance con musica e ballo.

Vorrei descrivervi anche le giornate dell'incontro per ora vi dico come si è svolta la prima giornata cioè il 19/8/2003 Jenny Escobar che alcune di noi conoscono ha introdotto l'incontro invitando i vari gruppi a presentarsi illustrando i temi prevalenti del loro impegno e le pratiche politiche.

Tutti i gruppi hanno portato il loro contributo che è stato sempre permeato anche dalla voglia di condividere, dell'importanza della rete e della forza che può dare a tutte noi, dell'importanza di incontrarci, di abbracciarci, parlarci, darci valore. In pomeriggio siamo andate all'inaugurazione ufficiale di cui ho già parlato in parte. Ha avuto luogo nel municipio dove siamo intervenute come delegazioni presenti per testimoniare lo sviluppo della nostra rete a partire dal primo gruppo in Israele poi Italia, Serbia, Spagna, Colombia. 


mercoledì 11 settembre 2013

Attiviste femministe e antimilitariste ieri e oggi contro la guerra!



Activistas feministas y antimilitaristas, ayer y hoy contra la guerra!
Feminist and antimilitarist activists yesterday and today, against war!
Attiviste femministe e antimilitariste ieri e oggi contro la guerra!
Les activistes féministes et antimilitaristes hier et aujourd'hui contre la guerre!
 حركة النساء الناشطات لمكافحة النزعة العسكرية في الماضي و الحاضر ضد الحرب

No a la intervención militar en Siria!
No to military intervention in Syria!
No all'intervento militare in Siria! 
Aucune intervention militaire en Syrie!
لا للتدخل العسكري في سوريا

Mujeres de Negro - Red Internacional
Women in Black -  International Network
Donne in Nero - Rete Internazionale
Femmes en Noir   - Resaux International
 الشبكة العالمية لنساء الحداد

martedì 10 settembre 2013

Donne vincitrici del premio Nobel per la pace: Risoluzione nonviolenta della Crisi Siriana

 


L'Iniziativa delle Donne Vincitrici del Premio Nobel per la pace la risoluzione non violenta della crisi circa l'uso di armi chimiche in Siria:
 


 Nessun intervento militare!

 



L'uso di armi chimiche in Siria è un crimine che non può essere ignorato, ma il bombardamento della Siria non è la risposta. L'intervento militare in Siria porterà solo più morte e distruzione, alimentando ulteriormente l'instabilità della situazione nella regione.
Accogliamo con favore il voto del Parlamento del Regno Unito contro il coinvolgimento britannico in eventuali attacchi contro la Siria, e invitiamo gli Stati membri a fare un passo indietro dal baratro dell'ennesimo attacco a un paese del Medio Oriente. Tale mossa può risultare solo in più odio, più violenza e più rappresaglia.

Chiediamo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di accettare la sua responsabilità di agire in risposta all'uso di armi chimiche in Siria, ad agire sulla base di preoccupazione per il popolo siriano, invece di manovre politiche dei suoi membri sulla base dei propri interessi.

Chiediamo al Consiglio di sicurezza inoltre di garantire la risoluzione non violenta di questa crisi dentro crisi in corso della guerra civile in Siria. Chiediamo al Consiglio di sicurezza di deferire la questione all'Ufficio del Procuratore presso la Corte penale internazionale (CPI).

Facciamo appello anche alla Comunità internazionale di convocare con urgenza la conferenza di pace sulla Siria, nota come 'Ginevra 2, e di garantire la participazione delle donne.

L'uso di armi chimiche è un crimine di guerra che dovrebbe essere affrontato dal sistema giuridico internazionale creato proprio per tali eventi. Più bombe, più violenza, più guerra solo servono per minare la CPI e indebolire ulteriormente il diritto internazionale umanitario.

Chiediamo giustizia attraverso la Corte non attraverso missili.

Mairead Maguire, Premio Nobel 1976 — Irlanda
Rigoberta Menchú Tum, Premio Nobel 1992 — Guatemala
Jody Williams, Premio Nobel 1997 — USA
Shirin Ebadi, Premio Nobel 2003 — Iran
Leymah Gbowee, Premio Nobel 2011 — Liberia
Tawakkol Karman, Premio Nobel 2011 – Yemen

martedì 3 settembre 2013

Basta Guerra in Nome di un Popolo che non la Vuole




 Chi si chiede davvero dove sia il bene, ripensi a tutte le guerre degli ultimi anni: c’è stata una sola situazione in cui le armi non abbiano portato morte, distruzione e rovina delle culture?
Suor Marta del monastero di Azeir, Siria
 


Questa guerra è già assurda. Non c’è bisogno di aggiungere un’altra dose di follia”: da un piccolo villaggio maronita al confine col Libano, fra Homs e Tartous, Suor Marta e le suore trappiste del monastero di ‘Azeir si uniscono agli appelli di chi chiede di sospendere la possibilità di un intervento armato contro la Siria.

"Noi tutti qui sappiamo che l’attacco, per quanto lo definiscano ‘limitato’ e ‘ridotto’, non porterebbe che nuove sofferenze per la popolazione civile già duramente provata da oltre due anni di conflitto. Il negoziato e il dialogo sono l’unica via che potrà salvare questo paese dal baratro dell’odio e della violenza. In Siria, questo, è un fatto chiaro a tutti, mentre in Occidente c’è chi non vede alternativa alla guerra."

In Siria da otto anni, le monache italiane hanno deciso di rimanere al fianco della popolazione siriana nonostante l’insicurezza che ha investito il paese fin dai primi mesi del conflitto. “Non ci hanno torto un capello, la gente ci vuol bene e ci protegge. Ma oggi qui tutto è possibile” racconta la suora secondo cui i siriani, in queste settimane “soffrono del fatto che sia le parti in lotta che le potenze internazionali, commettano atti gravissimi in nome del popolo che invece rimane muto e non può esprimersi perché nessuno lo ascolta”.

Se potessero parlare “i siriani direbbero basta guerre e no a nuove violenze che hanno distrutto un paese meraviglioso, con una tradizione di accoglienza e convivenza radicata da millenni nella storia” dice ancora Suor Marta. Ai ‘potenti del mondo’ la religiosa chiede di levare le sanzioni internazionali imposte a Damasco definendole “un vero e proprio giogo che pesa quasi esclusivamente sui più poveri fra i poveri, facendo aumentare il costo della vita e dei generi alimentari”.

In una lettera aperta al mondo, le suore parlano del popolo siriano, la tensione, la paura, l'impotenza, in attesa dell'inizio dei bombardamenti. C'è un senso di disastro inevitabile. Speriamo (e facciamo) che non sia così.



Guardiamo la gente attorno a noi, i nostri operai che sono venuti a lavorare tutti come sospesi, attoniti: «Hanno deciso di attaccarci». 

Oggi siamo andate a Tartous… sentivamo la rabbia, l’impotenza, l’incapacità di formulare un senso a tutto questo: la gente cerca di lavorare, come può, di vivere normalmente. Vedi i contadini bagnare la loro campagna, i genitori comprare i quaderni per le scuole che stanno per iniziare, i bambini chiedere ignari un giocattolo o un gelato… vedi i poveri, tanti, che cercano di raggranellare qualche soldo, le strade piene dei rifugiati “interni” alla Siria, arrivati da tutte le parti nell’unica zona rimasta ancora relativamente vivibile… guardi la bellezza di queste colline, il sorriso della gente, lo sguardo buono di un ragazzo che sta per partire per militare, e ci regala le due o tre noccioline americane che ha in tasca, solo per “sentirsi insieme”… 
E pensi che domani hanno deciso di bombardarci… Così. Perché “è ora di fare qualcosa”, così si legge nelle dichiarazioni degli uomini importanti, che domani berranno il loro thé guardando alla televisione l’efficacia del loro intervento umanitario… Domani ci faranno respirare i gas tossici dei depositi colpiti, per punirci dei gas che già abbiamo respirato?
La gente qui è davanti alla televisione, con gli occhi e le orecchie tesi: «Si attende solo una parola di Obama»!!!! Una parola di Obama?? Il premio Nobel per la pace farà cadere su di noi la sua sentenza di guerra? Aldilà di ogni giustizia, di ogni buon senso, di ogni misericordia, di ogni umiltà, di ogni saggezza?

Il problema è che è diventato troppo facile contrabbandare la menzogna come nobiltà, gli interessi più spregiudicati come una ricerca di giustizia, il bisogno di protagonismo e di potere come “la responsabilità morale di non chiudere gli occhi”… E a dispetto di tutte le nostre globalizzazioni e fonti di informazioni, sembra che nulla sia verificabile, che un minimo di verità oggettiva non esista… Cioè, non la si vuole far esistere; perché invece una verità c’è, e gli uomini onesti potrebbero trovarla, cercandola davvero insieme, se non fosse loro impedito da coloro che hanno altri interessi.

C’è qualcosa che non va, ed è qualcosa di grave… perché la conseguenza è la vita di un popolo. È il sangue che riempie le nostre strade, i nostri occhi, il nostro cuore.

Ma ormai, a cosa servono ancora le parole? Una nazione distrutta, generazioni di giovani sterminate, bambini che crescono con le armi in mano, donne rimaste sole, spesso oggetto di vari tipi di violenza… distrutte le famiglie, le tradizioni, le case, gli edifici religiosi, i monumenti che raccontano e conservano la storia e quindi le radici di un popolo…

Domani, dunque (o domenica ? bontà loro…) altro sangue.