mercoledì 28 settembre 2011

DIECI ANNI DI BOMBARDAMENTI, OCCUPAZIONE E MISERIA IN AFGHANISTAN


8 ottobre 2001 – 8 ottobre 2011

Nel decimo anniversario dei bombardamenti USA/NATO sull’Afghanistan, il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia il bilancio fallimentare della missione internazionale in Afghanistan.

L’8 ottobre 2001, a seguito del tragico evento dell’11 settembre, gli USA e i loro alleati iniziano l’occupazione dell’Afghanistan con pesanti bombardamenti con il pretesto di “sconfiggere il terrorismo”, abbattere il regime dei talebani responsabili di aver sostenuto Bin Laden, riportare la democrazia, liberare le donne, ricostruire un paese già devastato da 20 anni di guerra.

Gli USA scelgono di sfruttare sul terreno le milizie dell’Alleanza del Nord, gruppi di fondamentalisti islamici responsabili della guerra civile del 1992-1996 che ha devastato l’Afghanistan, facendo perdere la vita a 70.000 persone nella sola Kabul; gli stessi criminali di guerra già sostenuti, con grossi finanziamenti e forniture di armi, per cacciare le armate sovietiche che avevano occupato il paese nel 1979.

Quando cade il regime talebano, la comunità internazionale consente a questi criminali di guerra (tra i quali Sayyaf, Fahim, Rabbani - appena ucciso in un attentato dei talebani, con i quali stava avviando trattative “di pace” - Qanuni, Abdullah, Ismail Khan, Khalili, Mohaqiq) di occupare governo e Parlamento afgani e di riprendere il controllo del paese, negando invece sostegno e appoggio alle forze democratiche e laiche.

Nel marzo 2007 il governo Karzai vara una legge che garantisce l’amnistia per tutti i crimini di guerra commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni. Inoltre, il via libera dato ai signori della guerra ha fatto sì che dal 2001, in tutto il paese, si siano formati e abbiano spadroneggiato nelle aree sotto il loro controllo centinaia di nuove milizie e gruppi para-militari.

In Just don’t call it a milita, un recente rapporto di Human Rights Watch uscito nel settembre 2011, si dice che “gruppi militari di vari tipo hanno partecipato a rappresaglie tribali, omicidi, traffici illeciti ed estorsioni. Stupri di donne, ragazze e ragazzi sono frequenti. Le milizie sono solitamente controllate da capi locali o signori della guerra”.

La situazione delle donne afgane rimane drammatica. Nel 2009, cercando di garantirsi sostegno elettorale dalla comunità shiita, il governo Karzai vara una legge che prevede l’impossibilità per le donne shiite di rifiutare rapporti sessuali con il marito, di recarsi liberamente dal medico, a scuola o al lavoro senza il permesso del coniuge, pena il ritiro di qualsiasi sostegno finanziario. Tutt’ora ci sono donne che si suicidano dandosi fuoco, donne costrette a matrimoni forzati, donne ripudiate dalla famiglia se vittime di stupro perché motivo di vergogna.

Nel gennaio 2011 il Consiglio dei Ministri afghano approva una legge secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata in vigore le case rifugio per donne maltrattate passano dalla gestione delle ONG al Ministero degli Affari Femminili. La legge accoglie una decisione della corte suprema afghana, secondo cui le donne che scappano di casa per maltrattamenti commettono reato. Le donne dovrebbero essere accompagnate al rifugio da un parente maschio (di solito l’artefice dei maltrattamenti) e sottoposte a umilianti visite per verificare la loro attività sessuale.

Dalla fine del 2001 al 31 dicembre 2010 sono stati deliberati dal nostro governo circa 516 milioni di Euro per la cooperazione civile (che costituiscono però solo circa il 2% del totale delle spese sostenute per le truppe) ma l’importo totale stanziato alla fine del 2010 è di circa 208,4 milioni di euro. Di questi, circa 81 milioni di euro sono stati impiegati per la riforma della giustizia in Afghanistan.

In Afghanistan mancano case, scuole, ospedali e lavoro; la produzione di oppio è arrivata a circa il 96% del totale mondiale. Sono questi i risultati dell’intervento internazionale in Afghanistan?In dieci anni di intervento militare i soli USA hanno speso più di 487 miliardi di dollari.La guerra in Afghanistan ha provocato la morte di 44 soldati italiani, circa 1.400 soldati alleati, 6 mila soldati e poliziotti afgani, circa 25 mila guerriglieri talebani e quasi 11 mila civili afgani (di cui oltre 3 mila vittime degli attacchi talebani e almeno 7 mila uccisi dalle truppe alleate - più di 3 mila civili morirono nei soli bombardamenti aerei del 2001-2002).

In totale, quindi, otto anni di guerra hanno stroncato circa 43 mila vite umane (fonte “Peace Reporter”). Mentre il governo italiano approva la nuova manovra finanziaria per strozzare ancora di più il nostro paese, lo stesso governo rifinanzia la missione italiana in Afghanistan (con il solo voto contrario dell’IDV) che nel primo semestre 2011 ha previsto una spesa di 410 milioni di euro e una presenza di 4.350 truppe. (fonte: Peace Reporter).

Il CISDA, raccogliendo la voce delle forze democratiche dell'Afghanistan quali RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afgane), Hambastagi (Partito della Solidarietà), Malalai Joya, Saajs (Associazione Familiari delle Vittime) chiede il ritiro delle truppe italiane e straniere dall'Afghanistan, il congelamento delle spese militari, il sostegno delle vere forze democratiche del paese e la costituzione di un tribunale internazionale che smascheri i criminali di guerra seduti nel parlamento Afghano.


Milano, sabato 8 ottobre alle h. 16.00 si svolgerà un presidio in Via Mercanti angolo Piazza Cordusio


http://www.osservatorioafghanistan.org
http://www.facebook.com/#!/pages/Cisda/120648274682738

domenica 25 settembre 2011

I Diritti della Diaspora Palestinese sono Immutabili



Dichiarazione della Coalizione di Donne Per la Pace nell'occasione della richiesta di riconoscimento dello stato palestinese.

Il riconoscimento internazionale del diritto all'autodeterminazione del popolo
palestinese è
un passo importante nel processo di internazionalizzazione della lotta palestinese per l'indipendenza, libertà e uguaglianza. Potrebbe rafforzare la lotta palestinese contro l'occupazione e consegnare alla comunità internazionale. la responsabilità di porre fine all'occupazione ed eliminare la discriminazione razziale.

Ma la dichiarazione di uno stato in Cisgiordania e Striscia di Gaza non è in grado di porre fine ai decenni di occupazione e discriminazione razziale sulla base di meccanismi legali che corrispondono alla definizione di apartheid delle Nazioni Unite, di risolvere la questione dei rifugiati o di portare uguaglianza civile tra cittadini ebrei e palestinesi in Israele. Questi problemi possono essere risolti solo attraverso un accordo per mettere fine all'occupazione, mantenendo i diritti fondamentali individuali e collettivi dei palestinesi, ovunque essi risiedano.

Il diritto all'autodeterminazione è un diritto collettivo di tutti i palestinesi, indipendentemente dall'ubicazione geografica. Questi diritti sono stati già riconosciuti dalle Nazioni Unite come immutabili. Quindi, per riuscire a produrre una trasformazione significativa nella lotta palestinese e creare nuove alleanze politiche, si deve esigere il diritto al ritorno dei rifugiati e i diritti dei cittadini palestinesi di Israele.

La coalizione di donne per la pace insiste che qualsiasi iniziativa diplomatica deve mantenere lo status della OLP come rappresentante ufficiale del popolo palestinese alle Nazioni Unite e presso altre istituzioni internazionali, per proteggere e promuovere i diritti del popolo palestinese nel suo complesso. L'OLP viene riconosciuta come rappresentante dei palestinesi sulla scena internazionale, e trae la propria legittimità dai palestinesi in esilio, in Israele e nei territori occupati, così come dal riconoscimento da parte della Lega araba e della stessa ONU. Sottolineiamo che l'appello a ratificare il diritto all'autodeterminazione dei palestinesi non deve compromettere lo status della OLP come rappresentante di tutti i palestinesi. In particolare, ci preoccupiamo la rappresentanza di donne e uomini palestinesi che non vivono in Cisgiordania e Gaza.

Esigiamo la fine dell'occupazione, mantenendo ai palestinesi il diritto al ritorno e il diritto di resistere all'occupazione di tutte le forme legittime e popolari di resistenza accettabili dalle norme internazionali. Ribadiamo il nostro appello alla comunità internazionale ad esercitare pressioni su Israele fino a quando non rispetta i propri obblighi sotto il diritto internazionale.

La Coalizione di Donne per la Pace è una organizzazione femminista che lavora in Israele contro l'occupazione della Palestina e per una pace giusta. E' una voce importante nel movimento pacifista israeliano, che riunisce donne da diverse identità.



giovedì 1 settembre 2011

Comunicato di chiusura del XVo Incontro Internazionale Delle Donne in Nero

Non rinunceremo alla nostra aspirazione a vivere in un mondo libero da guerre, paura e violenza

La chiusura del XV Encuentro Internacional delle Donne in Nero si è svolta in un'atmosfera di gioia e ringraziamento.

*Tessendo voci e silenzi, accompagnamento e solidarietà, le oltre 320 donne provenienti da 15 paesi e da tutte le regioni della Colombia hanno riaffermato la resistenza civile e la nonviolenza come loro strumenti contro la guerra e il patriarcato. Con un "Plantón" (così in Colombia si chiamano le vigil) le DiN si sono accomiatate fino al nuovo Encuentro nel 2013 in Uruguay."

Bogotá – Colombia. 26 agosto 2011.


Dopo 4 giorni di intenso dialogo, di condivisione di esperienze, di ascolto reciproco, di apprendere e riaffermare le proprie posizioni politiche e simboliche contro la guerra e le diverse violenze che si esercitano contro le donne, si è concluso il XV Encuentro Internacional delle Donne in Nero contro la Guerra, a cui hanno preso parte circa 100 donne provenienti da 15 paesi e 220 donne colombiane.

Le testimonianze presentate dalle donne dei vari continenti, i lavori di gruppo e gli interventi di "provocazione" hanno permesso alle partecipanti di conoscere come sono violentate le donne nei loro territori e ad un tempo cosa stanno facendo le stesse donne per respingere queste forme di violenza, quali sono le loro posizioni e le loro esigenze rispetto ai rispettivi governi e alla società dentro e fuori dei loro paesi; e sebbene i cambiamenti in favore delle donne non siano finora quelli sperati, l'importante è che le donne ci siano e continuino a lavorare nei loro paesi, facendo attivismo, solidarizzando tra loro per esigere una società senza militarismi e che garantisca la vita e il pieno sviluppo delle donne.



Le DiN di Colombia, appartenenti alla Ruta Pacífica de las Mujeres, sono state lodate per aver promosso, con il simbolismo che le caratterizza, un Plantón de Mujeres de Negro dove si sono mischiate, tutte truccate allo stesso modo, le colombiane e le internazionali, esprimendo la loro resistenza pacifica. Lì, durante il plantón è stata letta la dichiarazione finale dell'Encuentro, elaborata insieme con le DiN rappresentanti dei diversi paesi partecipanti, nella quale si sono riaffermate le esigenze delle DiN del mondo, e le loro posizioni contro la guerra e le violenze commesse contro i loro corpi e i loro territori.

Un Encuentro per non dimenticare e che dà appuntamento per proseguire al prossimo Encuentro che si terrà in Uruguay nel 2013.




DeclaracionFinal_Italiano[2]