domenica 24 gennaio 2010

Boicotta i frutti dell'apartheid israeliano







Il boicottaggio è strumento dei popoli e degli individui per esprimere concretamente la propria solidarietà con chi lotta per una causa giusta, ed oggi al mondo non c’è causa più giusta di quella dei Palestinesi.










Dal 2005 la società civile palestinese ha formulato una proposta unitaria ai movimenti internazionali di solidarietà: individuare modalità di boicottaggio di prodotti israeliani, disinvestimento da attività commerciali in Israele, sanzioni sullo Stato di Israele, boicottaggio accademico o culturale degli israeliani che non prendono posizione contro l'occupazione e l'Apartheid.

Tutte queste richieste sono state formulate coerentemente nella campagna BDS movimento di BDS ha già collezionato molti successi (es. contro le compagnie Veolia, Africa-Israel, Motorola…) ed ha trovato adesioni in organizzazioni della società civile, accademiche, sindacali e governative di tutto il mondo, Israele inclusa. Tutti i principali sindacati degli stessi lavoratori palestinesi, spesso usati come forza lavoro nelle società e piantagioni israeliane, sono tra i promotori della campagna di BDS.

Le coltivazioni d'apartheid e la Carmel Agrexco


In diversi paesi Europei si sta consolidando una campagna di boicottaggio contro la Agrexco Ltd; la principale società di esportazione di prodotti agricoli israeliani, per metà di proprietà dello Stato.
Con il marchio “Carmel” commercializza il 70% di tutta la frutta e verdura prodotta dalle colonie israeliane nei Territori Occupati, tra cui quelle della Valle del Giordano.
Ecco le ragioni del boicottaggio contro la Agrexco:
  • Nella valle del Giordano, che rappresenta un terzo della Cisgiordania, i coloni israeliani controllano in modo diretto il 95% della terra palestinese con basi militari, 30 colonie illegali e immense piantagioni israeliane, violando gli accordi di Oslo.
  • Le attività agricole degli insediamenti hanno portato al sequestro illegale di lotti di terra e prosciugato le risorse idriche palestinesi. Ai Palestinesi della valle non è consentito costruire o ristrutturare le loro case, scavare pozzi o trasportare i loro pochi prodotti agricoli ai mercati. Così, mentre i loro ortaggi marciscono ai posti di blocco, quelli delle colonie vengono liberamente esportati in Europa.
  • La società ha beneficiato di sovvenzioni agricole concesse da parte del governo israeliano per intensificare la colonizzazione nella valle dei Giordano, e sfruttandole per aumentare la produzione di frutta, fiori e verdura, poi commercializzati in tutta Europa, America Latina, Africa e Asia Orientale.

L’80% dei prodotti della Carmel viene esportato in Europa, attraverso la Francia, la Spagna e dalla scorsa estate anche attraverso l’Italia, al porto di Vado Ligure (Savona). Dal 2009 L’Italia e’ dunque diventata un collegamento essenziale per distribuire i prodotti agricoli delle colonie israeliane in tutta l’Europa del sud.



Ciascuno di noi può contribuire alla costruzione di un futuro diverso per il popolo Palestinese, sanzionando le violazioni delle risoluzioni ONU da parte di Israele:

  • boicottiamo Carmel-Agrexco, esportatore israeliano di prodotti degli insediamenti illegali
  • protestiamo contro l'attracco delle sue navi al porto di Vado

Incontro pubblico con:

Luisa Morgantini (Associazione per la Pace e gia' vice presidente del Parlamento Europeo )

Carlo Tombola (Transarms e autore del dossier sull'attracco delle navi Carmel-Agrexco al porto di Vado)

Martina Pignatti Morano (Un ponte per..)

Il 30 gennaio 2010, 17.30

Sala Rossa, Comune di Savona




Per ulteriori informazioni su quest'iniziative a sulle altre attivita' della coalizione StopAgrexco Italia, scrivete a savona@donneinnero.it


Report on Agrexco from Stop the Wall Campaign (Nov 2009)


Siti utili
http://www.boicottaisraele.it/
http://www.bdsmovement.org/
http://www.bigcampaign.org/
http://www.whoprofits.org/
http://www.coalitioncontreagrexco.com/

giovedì 7 gennaio 2010

ROMPERE IL SILENZIO - ROMPERE L'ASSEDIO - ROMPERE I MURI

Un anno fa eravamo in piazza per manifestare la nostra indignazione e il nostro dolore per la strage attuata dall’intervento militare israeliano – operazione “Piombo fuso” - contro la Striscia di Gaza, per chiedere di cessare il fuoco, por fine dell’assedio e garantire il diritto alla vita della popolazione.

In 23 giorni di bombardamenti oltre 1400 i morti (per un terzo bambini) e più di 5000 i feriti palestinesi. 13 gli israeliani morti (10 soldati e 3 civili). Migliaia di case e palazzi, molte scuole, 20 moschee, rete idrica ed elettrica distrutte; sedi ONU, ospedali e ambulanze colpite dall'esercito di Israele. Decine di migliaia di persone senza più casa.




E’ Passato un anno e l'assedio continua

Da Gaza non si esce e a Gaza non si entra Amnesty International ha descritto il blocco di Gaza come una "forma di punizione collettiva di tutta la popolazione, una flagrante violazione degli obblighi di Israele nel quadro della IV convenzione di Ginevra"; il Relatore speciale dell’ONU per i diritti umani nei territori occupati palestinesi, Richard Falk, lo ha condannato come un "crimine contro l'umanità". Le conseguenze dell'assedio provocano innegabilmente una situazione di sofferenza di massa, creata in gran parte da Israele, ma con la complicità attiva della comunità internazionale, in particolare Stati Uniti e Unione Europea.

L'assedio illegale di Gaza non avviene nel vuoto. E’ uno dei tanti atti illeciti commessi da Israele nei territori palestinesi occupati militarmente nel 1967.




Sono illegale:

  • Il muro e gli insediamenti
  • La demolizione di case
  • La distruzione indiscriminata delle terre agricole
  • La chiusura e il coprifuoco
  • I blocchi stradali e i checkpoint
  • La detenzione
  • La tortura
  • L'occupazione stessa.

La fine dell’occupazione militare iniziata nel 1967 è una condizione fondamentale per instaurare una pace giusta e duratura. Per oltre 60 anni al popolo palestinese sono stati negati il diritto alla libertà, all’autodeterminazione e all’uguaglianza.

1400 persone provenienti da 43 paesi (Gaza freedom March) si sono recate in questi giorni in Egitto per entrare a Gaza, per unirsi a migliaia di Palestinesi in una marcia nonviolenta che dal Nord della Striscia avrebbe raggiunto il confine con Israele, chiedendo la fine dell’assedio.

L’Egitto ha impedito loro di lasciare il Cairo, permettendo a solo un centinaio di entrare a Gaza. Hedy Epstein, pacifista ebrea di 85 anni sopravvissuta alla Shoah, ha iniziato con altri uno sciopero della fame di protesta.

“E’ importante che la popolazione sotto assedio di Gaza sappia che non è sola. Voglio poter dire alla gente di Gaza che rappresento molti nella mia città e negli USA che sono indignati per le politiche adottate da Israele, USA e Europa nei confronti dei Palestinesi e che siamo sempre di più a pensarla cosi”

dice la Epstein, sfuggita alla persecuzione nazista mentre i suoi genitori morirono ad Auschwitz.


Insieme con i partecipanti alla Gaza Freedom March che l’1 gennaio hanno manifestato nelle strade del Cairo e con quante e quanti contemporaneamente marciavano in Israele e nella Striscia di Gaza, manifestavano a Ramallah, Betlemme e in altre città della Cisgiordania, aggiungendosi alle proteste organizzate in molte città di tutto il mondo, continuiamo a richiamare l'attenzione su Gaza: non dimentichiamo il tragico attacco militare alla striscia e chiediamo giustizia.

Chiediamo ai politici, locali e nazionali, al governo, all’Unione Europea e ai governi che ne fanno parte, di far rispettare il diritto internazionale calpestato.
E ai governanti israeliani diciamo:



Cessate l’assedio a Gaza, fermate la costruzione delle colonie in Cisgiordania, finitela con l’occupazione militare, rispettate e applicate le risoluzioni delle Nazioni Unite, questo è l’unica via per la pace.