domenica 19 aprile 2015

Un cimitero chiamato mediterraneo



Se l’Unione europea e il mondo continueranno a chiudere gli occhi su queste tragedie in atto nel Mediterraneo saranno giudicati nel modo peggiore, come in passato, quando chiusero gli occhi di fronte ai genocidi e non fecero nulla

Joseph Muscat primo ministro di Malta.

Attorno alla mezzanotte di domenica 19 aprile si è capovolto un peschereccio carico di migranti proveniente dalla Libia - l'ennessima tragedia nel Mediterraneo dove l'annegamento di rifugiati è diventato routine.

Finora sarebbero solo 28 i superstiti e si teme un bilancio di 500 — 700 morti. Il 14 aprile un’altra strage nella stessa zona, almeno 400 persone sono morte nell’affondamento di un barcone proveniente dalla Libia e diretto in Sicilia. 24 i cadaveri recuperati in mare finora dai mezzi di soccorso italiani.

La settimana scorsa, Medici Senza Frontieri (MSF) e Migrant Offshore Aid Station (MOAS) hanno annunciato un'operazione di ricerca, salvataggio e soccorso medico nella zona centrale del mediterraneo, tra l'Africa e l'Europa. L'operazione verrà eseguito da maggio a ottobre, quando si aspetta che migliaia di persone si rischiano la vita per raggiungere la sicurezza dell'Europa. L'anno scorso è stato il più letale finora per quelli che cercavano di arrivare sulle nostre sponde.

Quest'anno sarà peggio, perché la situazione in Africa sta peggiorando e c'è anche meno aiuto disponibile. L'operazione di ricerca e soccorso della Marina, Mare Nostrum, è stato interrotto nel novembre 2014 per mancanza di finanziamenti dai governi europei e non è stato sostituito.

Arjan Hehenkamp, direttore generale di MSF ha detto:

La decisione di chiudere le porte e costruire muri significa che uomini, donne e bambini sono costretti a rischiare la vita e prendere un viaggio disperato attraverso il mare. Ignorando questa situazione non lo farà scomparire. Europa ha sia le risorse e la responsabilità di evitare ulteriori morti e deve agire al fine di farlo.

Ma i governi non sembrano disposti a farlo. Ad esempio,il portavoce del Ministero degli esteri britannico ha detto "Non sosteniamo operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo." ed ha aggiunto che il governo ritiene che c'era "un'involontaria 'fattore di attrazione', incoraggiando altri migranti di tentare il pericoloso attraversamento del mare e portando così a più morti inutili. "

Nessun "fattore di attrazione" è necessario quando le persone sono disperate, costrette a lasciare le loro case a causa di guerra, oppressione e necessità economica – in molti casi il risultato diretto delle politiche militari ed economiche europee. Ma anche senza responsabilità diretta per la loro situazione, sono esseri umani - uomini, donne e bambini - come noi e nostri cari. Abbiamo i mezzi per salvare le loro vite. Non possiamo voltare le spalle.

Fleba il fenicio,
morto da quindici giorni,
dimenticò il grido dei gabbiani,
e il flutto profondo del mare
e il guadagno e la perdita.
Una corrente sottomarina
gli spolpò le ossa in sussurri.
Mentre affiorava e affondava
traversò gli stadi della maturità
e della gioventù
entrando nei gorghi.
Gentile o Giudeo
o tu che volgi la ruota
e guardi nella direzione del vento
pensa a Fleba,
che un tempo è stato bello
e ben fatto al pari di te.

La Morte per Acqua (T.S. Eliot)


venerdì 17 aprile 2015

Donne in prima linea contro gli attacchi in Yemen

Noi avremmo voluto che i paesi del Golfo, invece di affrettarsi a bombardarci, privilegiassero il dialogo ed invitassero le due parti a un negoziato. Avremmo anche preferito che la comunità internazionale utilizzasse i mezzi di pressione diplomatica, ad esempio che l’Onu esigesse dai ribelli Houthi il disarmo. Invece di ciò, essa ha dato la sua benedizione agli attacchi contro i loro magazzini di armi, senza tener conto dei civili.
Angela Abu Asba, docente al’Università di Sanaa ed attiva nell’associazione femminista “Donne unite".

Meno di una settimana dopo l’inizio dell’offensiva aerea condotta dalla coalizione di 9 paesi arabi contro i ribelli Houthi in Yemen, la popolazione aveva già pagato un pesante tributo: più di 50 civili sono morti negli attacchi, quando decine di donne yemenite sono scese in piazza, sperando ancora di poter frenare la spirale di violenza

Le manifestanti hanno chiesto la fine degli attacchi sullo da parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che appoggia le forze fedeli al presidente yemenita Abd Rabbo Mansour Hadi contro i ribelli Houthi e hanno esortato gli Houthi a rinunciare alla guerra.

Angela Abu Asba, ha partecipato ad un raduno di donne a Sanaa per denunciare gli attacchi:

Noi facciamo appello a tutte le donne dello Yemen perché diventino costruttrici di pace. Noi abbiamo organizzato questo raduno perché in quanto donne, sorelle, madri, noi non possiamo restare in silenzio di fronte a questa situazione.
 
Tutti i QG degli Houthi che sono bombardati a Sanaa, le caserme, il palazzo presidenziale, sono situati in quartieri residenziali. Sono state spazzate via case, e sono morti dei civili innocenti, in questi attacchi. Le scuole e la maggior parte delle attività commerciali sono chiuse. La gente è atterrita. Non osano più uscire di casa, e anche dentro non sono al sicuro.

Le ragazze rappresentano più del 70% degli studenti che frequentano l’istituto di lingue in cui lavoro. Da 5 giorni, non vengono più ai corsi. L’università per loro era una boccata di ossigeno e una speranza di futuro in questa società conservatrice. L’edificio non ha chiuso i battenti, ma ormai i loro genitori non le lasciano più venire. E’ una situazione incresciosa!

La nostra iniziativa unisce donne di ogni tipo, insegnanti, attiviste di partiti politici, professioniste. Ma noi condividiamo lo stesso obiettivo: vogliamo la pace per il nostro paese e facciamo appello a tutte le donne dello Yemen perché diventino costruttrici di pace.

Certo, noi denunciamo questo intervento straniero nel nostro paese, ma ce l’abbiamo anche con gli Houthi, che stanno mettendo a ferro e fuoco il sud del paese, le province di Aden, Lahj, Ad Dali’. Se siamo qui oggi è a causa di Abdelmalek Al-Houthi (il leader della rivolta houthi) e del presidente Hadi. L’uno è nascosto da qualche parte al sicuro e l’altro è confortevolmente alloggiato nei saloni sauditi, mentre gli Yemeniti sono massacrati.

Nel nostro paese hanno cominciato a diffondersi discorsi settari.  Noi avremmo voluto che i paesi del Golfo, invece di affrettarsi a bombardarci, privilegiassero il dialogo ed invitassero le due parti a un negoziato. Avremmo anche preferito che la comunità internazionale utilizzasse i mezzi di pressione diplomatica, ad esempio che l’Onu esigesse dai ribelli Houthi il disarmo. Invece di ciò, essa ha dato la sua benedizione agli attacchi contro i loro magazzini di armi, senza tener conto dei civili.

Ieri, ho preso alcune foto di una collina della periferia di Sanaa, dove erano state bombardate le armi. Le schegge sono arrivate fino alle case del mio quartiere e fatto tremare le finestre. Non oso immaginare cosa sia capitato ai civili che vivono vicino a quella collina.

In questi ultimi tempi, nel nostro paese hanno cominciato a diffondersi discorsi settari, discorsi di una contrapposizione fra sunniti e sciiti che non esiste nelle tradizioni della nostra società. Noi facciamo appello a tutte le donne dello Yemen perché lottino contro i discorsi di odio e vengano in aiuto alle vittime. Noi continueremo la nostra mobilitazione contro questa guerra immonda. Se occorre usciremo nelle strade, formeremo degli scudi umani per fermare questo conflitto fratricida.”

Oggi sulla sua pagina facebook, Angela Abu Asba ha fatto un appello a tutte le organizzazioni della società civile e alle agenzie umanitarie del mondo.

Oltre 25 milioni di yemeniti stanno affrontando una catastrofica crisi umanitaria nel vero senso della parola. Necessità come cibo, acqua e medicine non sono accessibili. A causa di lunghe interruzioni della fornitura di energia elettrica, ospedali non possono funzionare.

Facciamo appello a voi di mettere tutti i vostri sforzi per fermare questa guerra e le lotte intestine che sono causati da interessi politici regionali e internazionali. politico.

sabato 4 aprile 2015

L’Iraq, la Somalia, la ex-Yugoslavia, l’Afghanistan, di nuovo l’Iraq, la Libia- Queste guerre quanto e cosa ci costano?

 

Contatele: sono le basi militari NATO/USA in Italia. E il governo concede anche l'uso di strade e ferrovie. La guerra è molto vicina a ciascuna/o di noi

 


Non siamo d'accordo con la ministra della difesa Roberta Pinotti, che, appena accaduti a Tunisi e nello Yemen nuovi massacri, ha annunciato l'operazione Mare Sicuro poiché “le crisi si sono avvicinate”. Eppure persino il presidente degli Stati Uniti Barak Obama ha dichiarato nei giorni scorsi che 

“l'Isis è il diretto risultato di Al Qaeda in Iraq che è cresciuta con l'invasione USA”.

E noi aggiungiamo che altrettanto sta accadendo in Libia.

Nelle guerre degli ultimi 25 anni, l’Italia è stata molto attiva e continua ad attivarsi: abbiamo avuto l’Iraq, la Somalia, la ex-Yugoslavia, l’Afghanistan, di nuovo l’Iraq, la Libia… per molti di questi paesi l’Italia diventa un nemico, ed è per questo che è esposta a rischi. Siamo in guerra perché l’Italia è all’interno di una organizzazione (la NATO) che ha lo scopo di essere pronta a fare la guerra, in stretta relazione con gli Stati Uniti.

Queste guerre quanto e cosa ci costano?

Il territorio: utilizzato per le basi militari NATO e USA, che sono più di cento, il cui mantenimento grava per oltre il 30% sul bilancio nazionale; l’inquinamento provocato dalle basi, in cui non si può intervenire perché al di fuori del controllo legale e sanitario italiano; l’inquinamento provocato dalle esercitazioni militari italiane e internazionali, in cui si sperimentano armi e infrastrutture che avvelenano l’ambiente.

In due delle basi – Aviano e Ghedi – sono immagazzinate tra 70 e 90 bombe nucleari americane, anche se l’Italia ha firmato il trattato di non proliferazione delle armi atomiche, e non potrebbe neppure averle o farle transitare sul proprio territorio.

E malgrado la situazione di crisi e i tagli ai principali diritti e servizi di interesse sociale, le spese per la difesa non sono diminuite, anzi: malgrado una quasi promessa di ridurre o cancellare il programma di acquisto degli F-35, ad oggi il governo ha confermato l’acquisto di 90 cacciabombardieri d’attacco. Renzi inoltre ha promesso di aderire alle richieste NATO di portare il bilancio della difesa al 2% del PIL, il che significa passare dall’attuale spesa di 70 milioni di euro al giorno a 100 milioni al giorno!!!

Non ci sentiamo protette né dalle basi né dalle operazioni militari, che anzi rischiano di trasformarci in obiettivi di guerra. Come la sicurezza nei rapporti quotidiani nasce dallo stare bene con chi vive intorno a noi, a livello di relazioni internazionali abbiamo bisogno non di una politica estera aggressiva e coloniale, ma basata sulla collaborazione, il sostegno reciproco e la giustizia.