domenica 29 luglio 2012

La via che aspetta la maggioranza senza voce del popolo siriano

La soluzione militare tiene in ostaggio il popolo siriano e non offre una soluzione politica in grado di accogliere le sue aspirazioni profonde.

La violenza porta a credere che non c’è alternativa alle armi.



Negli ultimi mesi , Il parere che il conflitto in Siria può essere risolto solo con le armi ha mantenuto un monopolio quasi totale nelle dichiarazioni dei politici e la comunicazione sulla stampa. Perciò è con gratitudine e sollievo che accogliamo la initiave della Comunità di Sant'Egidio di riunire rappresentanti autorevoli dell'opposizione siriana, espressione della società politica e civile siriana.



Al termine di alcuni giorni di riunioni, il gruppo ha incontro la stampa e la diplomazia internazionale e ha pubblicato e ha rilasciato il seguente appello.


La Siria sta vivendo la crisi più drammatica della sua storia. La scelta della soluzione militare, che non tiene conto delle richieste della rivolta di libertà e di dignità del popolo siriano, ha portato alla diffusione della violenza, alla perdita di troppe vite umane e a distruzioni generalizzate.

Riuniti a Roma presso la Comunità di Sant’Egidio, noi appartenenti a diversi gruppi dell’opposizione demcratica siriana, attiva sia all’interno che all'esterno del Paese, rivolgiamo questo Appello al popolo siriano, a tutte le parti coinvolte e alla Comunità internazionale.

Siamo diversi per opinioni ed esperienze. Abbiamo lottato e lottiamo per la libertà, la dignità, la democrazia, i diritti umani e per costruire una Siria democratica, civile, sicura per tutti, senza paura e senza oppressione. Amiamo la Siria. Sappiamo che la Siria, luogo di convivenza di religioni e popoli diversi, corre oggi un rischio mortale che incrina l’unità del popolo, i suoi diritti e la sovranità dello Stato.


Non siamo neutrali. Siamo parte del popolo siriano che soffre per l’oppressione della dittatura e la sua corruzione. Siamo fermamente contrari a qualsiasi discriminazione su base confessionale o etnica, da qualunque parte venga. Siamo per una Siria di uguali nella cittadinanza. Vogliamo che la Siria in futuro sia patria per tutti, capace di rispettare la vita e la dignità umana, nella giustizia.

La soluzione militare tiene in ostaggio il popolo siriano e non offre una soluzione politica in grado di accogliere le sue aspirazioni profonde. La violenza porta a credere che non c’è alternativa alle armi. Ma le vittime, i martiri, i feriti, i detenuti, gli scomparsi, la massa di rifugiati interni e i profughi all'estero, ci chiedono di assumere la responsabilità di fermare questa spirale di violenza. Ci impegniamo a sostenere tutte le forme di lotta politica pacifica e di resistenza civile, e di favorire una nuova fase di incontri e conferenze all’interno del Paese.

Non è troppo tardi per salvare il nostro Paese! Pur riconoscendo il diritto dei cittadini alla legittima difesa, ribadiamo che le armi non sono la soluzione. Occorre rifiutare la violenza e lo scivolamento verso la guerra civile perché mettono a rischio lo Stato, l'identità e la sovranità nazionale.

Occorre, oggi più che mai, un’uscita politica dalla drammatica situazione in cui ci troviamo. È il modo migliore per difendere gli ideali e realizzare gli obiettivi di chi mette a rischio la propria vita per la libertà e la dignità. Invitiamo i nostri concittadini dell’Esercito Siriano Libero, e tutti quelli che portano le armi, a partecipare a un processo politico per giungere a una Siria pacifica, sicura e democratica.

Non possiamo accettare che la Siria si trasformi in un teatro di scontri regionali e internazionali. Crediamo che la Comunità internazionale abbia la forza e le capacità necessarie per trovare un consenso che sia base di un'uscita politica dall'attuale drammatica crisi, basata sull'imposizione del cessate il fuoco, il ritiro degli apparati militari, la liberazione dei detenuti e dei rapiti, il ritorno dei profughi, gli aiuti di emergenza alle vittime, un vero negoziato globale senza esclusioni, che sarà completato da una vera riconciliazione nazionale basata sulla giustizia.

Chiediamo che l'ONU sia l'unico soggetto internazionale ritenuto responsabile del coordinamento degli aiuti umanitari per sostenere i siriani in difficoltà sia in patria che all’estero.

Ci rivolgiamo con questo Appello a tutti i Siriani e in particolar modo ai giovani: il nostro futuro lo costruiremo con le nostre mani. Insieme possiamo costruire una Siria democratica, civile, pacificata, pluralista. Ci rivolgiamo a tutte e a tutti coloro che lottano per il cambiamento democratico in Siria, a qualunque parte essi appartengano: per porre in essere un dialogo e un coordinamento tra di noi che avvii rapidamente la Siria ad una fase transitoria verso la democrazia, sulla base del patto nazionale comune.

Ringraziamo la Comunità di Sant’Egidio per il lavoro e il sostegno nella ricerca di una soluzione per la crisi nazionale siriana, e le chiediamo di continuare ad accompagnare gli sforzi e il lavoro che ci aspettano.

Roma, Sant’Egidio, 26 luglio 2012


Firmatori dell'appello

NCB (National Coordination Body)
HAYTHAM MANNA
ABDULAZIZ ALKHAYER
RAJAA ALNASER

DEMOCRATIC FORUM
FAIEZ SARA
MICHEL KILO
SAMIR AITA

WATAN Coalition ^
FAEK HWAJEH

DEMOCRATIC ISLAMIC GROUP
RIAD DRAR

Syrian Trade Union/ Women Syrian Activist
AMAL NASER

MAA Movement (Together)
ALI RAHMOUN

BUILDING SYRIAN STATE
ANAS JOUDEH
RIM TURKMANI

WEST KURDISTAN Assembly
ABDUSALAM AHMAD

NATIONAL BLOC
AYHAM HADDAD

HORAN RENCONTRES (FOR CITYZENSHIP)
UGAB ABOU SUEDE
SADA HAMZEH

mercoledì 25 luglio 2012

La Chiave della Pace è anche Nostra.



La pace è un diritto e un dovere vincolante. 


Così afferma l'articolo 22 della Costituzione della Colombia. Ma l'idea che la porta è chiusa a chiave e che la chiave appartiene esclusivamente al presidente della repubblica è stata diffusa tra la gente. 


Il 13 luglio, sotto lo slogan "E 'tempo di fermare la guerra, la chiave della pace è anche la nostra", i rappresentanti di 20 organizzazioni della società civile, riuniti nella Rete di Iniziative di Pace dalla Base e La Ruta Pacifica de las Mujeres hanno presentato una denuncia alla Corte costituzionale chiedendo l'incostituzionalità parziale dell'articolo 3 della legge 1421 del 2010, che impedisce la realizzazione di approcci umanitari e dialoghi con i gruppi armati al di fuori della legge, senza l'espressa autorizzazione del Presidente della Repubblica. 




Una settimana dopo, 200 donne della Ruta Pacifica hanno viaggiato alla regione di Cauca per mostrare la loro solidarietà con la popolazione indigena - il popolo Nasa - che ha preso le chiavi della pace nelle proprie mani, chiedendo che l'esercito colombiano e la guerriglia si ritirino dal loro territorio. 

Gli abitanti della regione sono spesso rimasti vittime di attacchi e violenze tra L'esercito e la FARC, e nelle ultime settimane, ci sono stati feroci combattamenti. Molti residenti sono stati costretti a lasciare le loro case, e ci sono stati morti e feriti. 

Un gruppo di donne e uomini Nasa hanno affrontato i gruppi armati faccia a faccia, chiedendogli di lasciare la regione autonoma e tentando di smantellare i basi militari. L'associazione di Cabildos Indigenas ha pubblicato un comunicato esigendo la fine delle operazioni militari nella regione autonoma e impegnandosi a continuare la resistenza nonviolenta fino a che i gruppi armati non lasciano la zona.


Ci dichiariamo di essere in resistenza permanente fino a quando tutti i gruppi armati e gli eserciti lasciano le nostre terre. Siamo a casa e non abbiamo intenzione di andarcene. Coloro che devono andarsene sono i gruppi armati legali e illegali - gli eserciti che vengono seminando morte nel nostro territorio.

I morti, i feriti, i sfollati, le case distrutte, i campi minati, i raccolti perduti, gli studenti senza scuola, il dolore, l'impunità, la tristezza, gli orfani, le vedove, le minacce e tutti i tipi di abusi che vanno contro la vita, le norme, la dignità e la giustizia - sono motivo piu che sufficiente per dire 

Basta Guerra 
Basta Gruppi Armati e Eserciti - chiunque essi siano 
Basta Abusi 
Basta Dispetti
Basta Stupri 
Basta Invasioni delle nostre terre. 

Fateci avere calma. Lasciateci in pace, uomini di guerra.

Non abbiamo intenzione di rimanere con le mani in mano a guardare mentre ci uccidono e mentre distruggono i nostri territori, le nostre comunità, i nostri progetti di vita.

Così, radicati nella parola, nella ragione, nel rispetto e nella dignità, abbiamo cominciato a camminare in gruppi verso i posti dove i gruppi armati e gli eserciti sono trincerati per dirgli faccia a faccia che, nel contesto dell'autonomia che ci appartiene, 
chiediamo che se ne vanno, 
che non li vogliono, 
che siamo stanchi di morte, 
che hanno torto, 
che ci lasciano vivere in pace. 


Inoltre, le autorità indigene hanno mandato una lettera al presidente Santosuna lettera al commandante della FARC. Queste lettere chiudono con parole che trovano eco anche nei nostri cuori:


Contate su di noi per la pace
Mai per la guerra. 

venerdì 20 luglio 2012

Percorso di Guerra

A fine gennaio il ministro ‘tecnico’ della Difesa Di Paola aveva annunciato che i nostri cacciabombardieri schierati in Afghanistan sarebbero stati impiegati anche in operazioni di bombardamento. Una decisione eminentemente ‘politica’ imposta in spregio all’articolo 11 della nostra Costituzione e alle regole della nostra democrazia parlamentare – la modifica dei ‘caveat’ decisi dal Parlamento è stata solo notificata in un’audizione in commissione, mentre doveva essere dibattuta e votata in aula. Una decisione tradotta subito in pratica con il regolare impiego dei quattro Amx del 51° stormo dell’aeronautica militare in azioni di bombardamento. Azioni che – conferma a E-il Mensile il tenente colonnello Francesco Tirino, portavoce del contingente italiano in Afghanistan – si sono moltiplicate nelle ultime settimane con il lancio dell’operazione Shrimp Net (rete per gamberi) nella provincia di Farah. 

Passiamo quindi dalla finzione della missione di pace in cui le forze italiane solo indicavano gli obiettivi da colpire al uso "al cento per cento" dei nostri assetti militare - cioè alla guerra. 

Le parole del Generale Luigi Chiapperini 
"nelle regole d’ingaggio è vietato in modo assoluto colpire abitazioni e civili" 
non ci convincono. Non abbiamo dimenticato le decine di massacri di civili, provocati dai raid aerei della Nato. 

Solo nel 2011:
  • Febbraio - 65 civili, tra cui 50 donne e bambini, sono stati uccisi in un'operazione Nato nella provincia di Kunar. 
  • 20 febbraio - Una famiglia afghana di sei in Khogyan nella provincia orientale di Nangarhar è stata uccisa in un bombardamento Nato. 
  • 1 marzo - Nove ragazzi afgani età 7-13, che stavano raccogliendo legna da ardere,sono stati uccisi da un elicottero da combattimento. 
  • 15 Marzo - Due fratelli afgani, di età 13 e 17, sono stati uccisi dagli elicotteri della Nato. 
  • 24 marzo - due civili, tra cui un bambino, sono stati uccisi da un elicottero da combattimento della Nato nella provincia settentrionale di Khost. 
  • 25 marzo - un drono Reaper telecomandato da una Airforce base americana in Nevada ha ucciso quattro civili - due donne e due bambini nel distretto di Naw Zad della provincia di Helmand. 
  • 19 aprile - tre civili afghani sono stati uccisi nel distretto di Dangam della provincia di Kunar, Afghanistan orientale. 
  • 27 maggio- tra 85 e 115 persone sono state uccise in un raid aereo della Nato nella provincia di Nuristan. 
  • 28 maggio - due case sono state colpite uccidendo 14 civili (due donne, cinque ragazze e sette ragazzi) nel distretto di Nawzad. 
  • 5 luglio - tra 11 e 13 civili sono stati uccisi in un raid aereo della Nato nella provincia di Khost. 
  • 6 luglio - centinaia di afghani hanno protestato, accusando Nato di aver ucciso due pastori in un raid aereo. 
  • 11 luglio - secondo funzionari del governo afghano fra 9 e 16 persone sono state uccise in un raid aereo della Nato nel quartiere Azra della provincia di Logar. 
  • 12 luglio - quattro civili afghani sono stati uccisi in un raid aereo della Nato, mentre riparavanouna pompa d'acqua nel distretto di Asmar della provincia nord-orientale di Kunar 
  • 17 luglio -  secondo funzionari afghani tre civili in provincia di Logar sono stati uccisi da droni. 
  •  18 Luglio - due dipendenti di una scuola sono stati uccisi in un bombardamento Nato nella parte orientale della provincia di Nangarhar. 
  • 26 luglio -  tre civili, fra cui 2 studenti che raccoglievano legna da ardere, sono stati uccisi in un attacco aereo nella provincia orientale di Kunar. 
  • 6 agosto - nove civili, tra cui sette bambini, sono stati uccisi in un raid aereo della Nato nel distretto di Nad Ali della provincia meridionale di Helmand. 
  • 26 agosto Sei civili afgani (tutti i membri della stessa famiglia) sono stati uccisi in un raid aereo della Nato nel distretto di Baraki Barak provincia di Logar 
  • 24 novembre sette persone tra cui sei bambini sono state uccise in un raid aereo della Nato nel villaggio di Siacha nel distretto di Zhari.
Ci dispiace di non potere dare nomi a queste persone -madri, figlie, padri, figli, sorelle, e fratelli- massacrate cosi sconsideratemente in una guerra portata avanti da un'alleanza di cui fa parte il nostro paese. Non dimenticheremo mai le vite perse e le vite distrutte da questa guerra. 

Non vogliamo essere corresponsabili di nuovi lutti, né vogliamo alimentare la spirale del terrore.
Basta guerre, basta morti, basta vittime.
Ripudiamo la Guerra

mercoledì 11 luglio 2012

Migliaia di italiani dicono NO ai caccia F-35: il Governo ci ascolti

Il governo vuole acquistare 131 cacciabombardieri F35 che potrebbe impegnare il nostro paese fino al 2026 con una spesa di 15 miliardi di Euro. Chiediamo di destinare le risorse alla società, all'ambiente, al lavoro, alla solidarietà internazionale. Firma anche tu www.disarmo.org/nof35


Difondi questi fatti sugli F35:

  • Solo il propulsore del caccia F35 costa come un aereo antincendio Canadair, cosa difende meglio il nostro territorio? 
  • Con il costo di un solo radar del caccia F-35 (10 milioni) si potrebbero produrre ed installare 10.000 pannelli solari 
  •  Un caccia F35 nuovo fiammante pronto a bombardare... o 32.250 borse di studio per studenti universitari? Cosa costruisce futuro
  • Un caccia F-35 armato di tutto punto o 250 scuole italiane messe in sicurezza? Cosa difende meglio noi e i nostri figli? 

  • Sistema ottico di puntamento di un caccia F-35 o gestione di 5 anni di raccolta differenziata per un comune di 100mila abitanti? 

  • Un cacciabombardiere F-35 oppure 18.500 ragazze e ragazzi in servizio civile? 

  • Al costo di un cacciabombardiere F35 si potrebbe fornire indennità di disoccupazione a oltre 17.000 precari. 

  • Con i soldi che si dovrebbero spendere per un singolo caccia, potremmo acquistare oltre 20 treni per pendolari. 

A Roma per continuare a dire NO ai caccia più inutili e costosi della storia, e per ribadire la contrarietà alle spese militari
Appuntamento giovedì il 12 luglio 12.45 a Roma in Piazza Montecitorio

Dai problemi tecnici ai costi sempre in aumento, dai dubbi di tutti gli altri paesi partner alla ostinata decisione di continuare l'acquisto da parte del nostro Ministero della Difesa, alle inesistenti "penali" sulla cancellazione dell'acquisto l'opinione pubblica ha avuto modo in questi ultimi mesi di capire meglio cosa sta dietro al progetto del caccia F-35. E comprendere come si tratti dell'ennesimo e gigantesco spreco di denaro pubblico a sostegno delle spese militari distolto invece da usi socialmente ed ambientalmente più utili e necessari. 

venerdì 6 luglio 2012

Srebrenica aspetta ancora giustizia

Di quanto è accaduto in tutta la cosiddetta “ex Jugoslavia” a partire dal 1992, non sono responsabili solo i soggetti coinvolti nel conflitto: tutta la comunità internazionale non può lavarsene le mani, infatti nel migliore dei casi ha distolto lo sguardo, fingendo di non vedere, e, quando è intervenuta, si è dimostrata debole, impotente e, in alcune situazioni corresponsabile e complice. A Srebrenica si è toccato il fondo: i Caschi Blu dell’ONU si sono resi complici del genocidio.


Da allora la nostra fiducia nelle Nazioni Unite, già molto provata, si è gravemente incrinata.


Non c’è pace senza giustizia, non può cominciare una vita nuova se non si è fatta chiarezza sul passato, ciò significa concretamente individuare i responsabili e processarli, non solo chi ha pianificato e commesso materialmente il genocidio, ma anche chi – come l’ONU - è stato a guardare e ha lasciato fare.


Giustizia significa anche permettere ai familiari delle vittime, alle sopravvissute e ai sopravvissuti, di poter affrontare in condizioni dignitose la loro vita, così crudelmente devastata, in un contesto pacificato.


Siamo convinte però che, affinché tragedie come quella di Srebrenica non si verifichino più, nemmeno questo sia sufficiente: è necessario un cambiamento nella struttura dell’ONU, che tolga alle cosiddette grandi potenze le leve del comando, affinché essa possa svolgere un ruolo efficace di interposizione e protezione della popolazione civile.

Noi, responsabili forse allora di non aver gridato abbastanza forte per denunciare e chiedere giustizia, ci siamo fatte carico - e continuiamo a farlo -, di non far cadere il silenzio su Srebrenica e su tutti gli altri massacri che continuano a compiersi in tutto il mondo calpestando i diritti umani e il diritto internazionale; di reclamare che siano accertate le responsabilità, soprattutto delle Nazioni Unite e del nostro governo; di lavorare per dare credibilità alle istituzioni preposte al mantenimento della pace; di farci voce dei familiari delle vittime e delle sopravvissute e dei sopravvissuti nelle loro legittime rivendicazioni.




E' un crimine tacere di fronte ai crimini di guerra
Ricordatevi di Srebrenica
Pamtimo Srebrenicu