venerdì 17 maggio 2013

Guerra, Pace, e Nonviolenza: Discorsi Fondamentali del Femminismo


Dopo Paestum, una proposta di dialogo

Perché vi scriviamo

A inizio aprile la rete nazionale delle Donne in Nero si è incontrata a Roma e il primo tema di cui abbiamo discusso è stato “Pace/guerra da un punto di vista femminista”, questione che è al centro di tutta la nostra storia, delle nostre riflessioni e delle nostre pratiche, ma che ci si ripropone sotto diverse luci a seconda degli aspetti da cui volta per volta ci sentiamo più immediatamente interrogate.

Nel caso del dibattito romano, la decisione di inserirla nel programma dei lavori è maturata a partire dall’anno scorso, grazie al convegno di Paestum e alla vivacità dei confronti che si sono accesi prima, durante, dopo l’incontro e che continuano tuttora. Molte di noi sono state coinvolte nelle riunioni tenutesi in varie città durante il percorso di preparazione, molte hanno partecipato al convegno, molte ne hanno discusso nelle riunioni successive.

C’è stata chi – non potendo andare a Paestum – ha segnalato ad altre, che invece andavano, la mancanza totale nel documento preparatorio di qualsiasi accenno al tema della guerra; c’è stata chi è andata e avrebbe voluto introdurlo, almeno nei lavori di gruppo, e non ne ha trovato lo spazio; ma ci sono anche stati casi in cui nelle discussioni preparatorie siamo state sollecitate ad occuparcene noi, quasi si trattasse di una competenza specialistica e ce ne venisse affidata la delega.

Ci sono parse difficoltà inquietanti e abbiamo provato il desiderio di chiarire – prima di tutto tra di noi, ma anche nelle relazioni con altre - che cosa significhi per noi il rapporto tra femminismo e antimilitarismo. Negli scambi al nostro interno si è sviluppato un confronto complesso, che ha indotto ad approfondimenti significativi attorno a nodi su cui si era magari data per condivisa una certa posizione e si scopriva invece che le sensibilità e gli orientamenti differivano, sin dalla individuazione di quale sia l’aspetto che ciascuna sente più incalzante rispetto a pace e guerra e sin dalla scelta delle parole per esprimere i diversi sguardi: antimilitarismo femminista? femminismo e guerra? donne e guerra? le donne soldato ci riguardano? e ci riguardano le violenze maschili da cui tanto spesso sono colpite?

Per mesi ci siamo scambiate messaggi, a Roma ne abbiamo ragionato insieme per alcune ore e abbiamo concordato di scrivervi, per proporre un confronto che riteniamo possa interessare il dibattito del “dopo Paestum”. Ci è anzi difficile rivolgerci a “voi” come se foste altre da “noi”, perché l’orizzonte dei femminismi ci accomuna; desideriamo piuttosto accennarvi le ragioni che a nostro parere rendono irrinunciabile – e necessario per tutte, proprio in quanto femministe – misurarci con guerre, armi, militarismi e soprattutto culture che hanno interiorizzato e continuano a riproporre tutto ciò come una dimensione immutabile dell’esistente.

Quindi, grazie per avere promosso e condotto l’iniziativa di Paestum, che ha ridato a tutte una grande vitalità, nell’incontro tra donne differenti per età, storia di vita, interessi; e grazie per mantenere aperti gli scambi virtuali e reali, nei confronti che avvengono in rete e nelle riunioni organizzate in varie città. Questo che vi proponiamo è appunto un contributo, attorno a una questione che riteniamo ci riguardi tutte e su cui perciò vorremmo che altre si esprimessero.
“Pace/guerra da un punto di vista femminista”
Dalla relazione che è stata fatta sull’incontro di Roma, riportiamo la parte relativa alla discussione su questo tema; costruita per punti, fornisce una sintesi che attraversa i vari interventi.

Femminismo pacifista: tema delegato a noi DIN?
L'incontro di Paestum ha coinvolto parecchie di noi: negli incontri preparatori in diverse città, nella partecipazione, negli incontri successivi.

A Torino, avendo notato l'assenza assordante del tema della guerra siamo state sollecitate a occuparcene noi, DIN: una sorta di delega alle addette ai lavori che ci ha fatto pensare. Abbiamo quindi proposto alle altre donne della Casa delle Donne, in cui si erano svolte le discussioni su Paestum, di parlarne insieme. Ecco alcuni spunti dagli interventi delle nostre amiche: elaborare su questo tema ci provoca dolore; è una cosa troppo grossa, non ce la faccio; mi sento estranea...

Anche diverse donne che partecipano con noi alle uscite si sentono di supporto; condividere è un'altra cosa, quando la pratica e le parole crescono insieme.

Eppure ci sembra che la decostruzione del patriarcato sia radice del femminismo; come non sentire come fondante la questione della guerra? La cultura patriarcale così diffusa pervade anche molte donne? Ci si rassegna all'esistente? Cosa è cambiato?

Cosa è cambiato?
Partiamo da noi, come sempre. Dalla nostra storia, dalle pratiche di relazione, dai nostri desideri, dai nostri percorsi di libertà femminile intrecciati alle pratiche di relazione, sostegno, denuncia, controinformazione; dai valori di pace come bene comune, dignità, decostruzione del nemico, nonviolenza; con lo scopo di attivarci permanentemente per elementi di pace, nella tutela dell'ambiente come nella denuncia delle spese militari, nella ricerca della nostra specificità nella politica come nel contrasto del femminicidio; nel nostro paese in crisi e sofferente, diventato ormai un “luogo difficile”.

Parliamo anche delle nostre difficoltà: siamo stanche, stiamo invecchiando, i nostri gruppi si assottigliano e non c'è ricambio di donne giovani; certo, siamo riconosciute e apprezzate nei nostri ambiti, ma come icone.
I molti femminismi, ancora attivi, non mettono in relazione la guerra con la violenza contro le donne, di cui molte si occupano; le giovani hanno modalità e ambiti di attivismo diversi e spesso misti; la partecipazione alle nostre iniziative sulle guerre rimane sporadica, a volte scarsa, spesso sentiamo come non incisive le nostre attività.

Cultura di guerra 
Ci guardiamo intorno, nel nostro paese e non solo, per riconoscere le forme / le maschere che patriarcato e militarismo hanno assunto, avvolgendoci in una pervasiva cultura di violenza e di guerra, diventata ovvia e quasi invisibile.
  • I conflitti si risolvono con la forza; la guerra è il punto massimo dei conflitti; la legge del più forte è quella vincente; chi vince ha sempre ragione.
  • La militarizzazione e le forme militari sono presenti in ogni ambito: legale (pensiamo alla militarizzazione del territorio de l'Aquila, e alle discariche nel napoletano, e alla Valle di Susa...) o illegale, come la struttura della camorra; non si tratta solo dell'esercito.
  • L'uso della forza e della violenza è tollerato dalle istituzioni: dalla violenza domestica, che ben poco viene contrastata, a quella delle forze dell'ordine, spesso impunita.
  • La cultura dominante è una cultura di guerra.
  • La degenerazione dei rapporti di convivenza è tangibile: siamo un paese in guerra, ma alla guerra si danno nomi che la negano - “missioni di pace”, “interventi umanitari”. E tutto si giustifica in nome della “sicurezza”.
  • La denuncia dei costi degli F35 e dei vari sprechi militari ci riesce utile per stabilire una relazione più immediata con chi ci incontra, ma noi non ce ne sentiamo soddisfatte, la sentiamo come una riduzione un po' strumentale.
  • Le conseguenze della guerra sono taciute o negate, dall'inquinamento del territorio ai morti per uranio impoverito, fino alla mostruosa quantità di soldi sprecati.
  • La crisi è a sua volta conseguenza e forma della guerra: guerra economica, contro i/le deboli, gestita con la violenza dei dictat economici e della repressione del dissenso, come in Grecia.
Noi che non fummo a Paestum – e noi che ci fummo
Se alcune tra noi hanno partecipato al convegno dello scorso ottobre e molte no, tutte ci riconosciamo nel partire da sé come femministe che ne è stata l’anima, nell’affermazione che l’esperienza personale “è già politica” (come è stato scritto dalle promotrici dell’incontro), nel vivere quella femminista come una “rivoluzione necessaria”.

In questo senso il nostro desiderio di essere partecipi di una simile “sfida” non dipende dall’essere state a Paestum oppure no, ma dalla tensione a fare sì che anche attorno al nodo che ci appare cruciale – confrontarci da femministe con l’intreccio tra militarismo e patriarcato – venga investita quell’attenzione e quella volontà di esercitare “una spinta trasformativa” che sono state dichiarate come “voglia di esserci e di contare” per produrre una “modificazione visibile del lavoro, dell’economia, e più in generale del patto sociale”.

Come femministe nonviolente e pacifiste, riteniamo che alla base del “patto sociale” ci sia innanzi tutto la costruzione storica dei modi di essere donne e uomini che, pur se in forme diverse nello spazio e nel tempo, si impernia ovunque sulla gerarchizzazione delle une come subordinate agli altri, sulla affermazione di una virilità aggressiva che legittima socialmente la violenza contro le donne, che trasforma l’altra/o in nemico, che porta a praticare e percepire come necessario e giusto l’ordine materiale e mentale della guerra.

Ѐ questo il ‘retaggio del dominio’ che alimenta tuttora le ingiustizie nei rapporti di lavoro come in quelli economici e cui si rifà chi ne detiene il potere per decidere come affrontare l’attuale crisi del sistema a livello mondiale, con quali priorità e a vantaggio di chi. Riconoscersi come fondate sulla relazione con l’altra/o è invece il punto di origine del femminismo e in questa prospettiva uscire dalla legge del più forte significa guardare alla nonviolenza come a un processo da mettere in atto per smarcarci dal patriarcato.

Una delle formulazioni che meglio hanno espresso quale sia il punto di partenza e l’orizzonte delle Donne in Nero è “smilitarizzare le menti”, frase coniata a Belgrado e largamente ripresa a livello internazionale. Saperlo pensare e praticare nel pieno delle guerre balcaniche è stato tanto coraggioso quanto fondamentale per resistere alla pressione divisiva dei nazionalismi – densi di fascismo nella rivendicazione della patria e dell’onore guerresco e proprio perciò sorretti dalle più abbiette pulsioni ad umiliare il nemico nel corpo delle ‘sue donne’, ma anche ad aggredire come traditrici le ‘proprie donne’ se non si immedesimavano in quella esaltazione bellicosa.

Nell’incontro di Roma c’è chi ha parlato di come la crisi – o meglio, il modo in cui viene presentata e gestita negli attuali rapporti di potere di questo paese – restringa i nostri spazi di agibilità politica, sotto la cappa del TINA (There is no alternative), da un lato e della rassegnazione ad esso, dall’altro. Ma è anche stata evocata la positività del filo di intelligenza che i femminismi hanno variamente sviluppato lungo decenni di sovvertimento delle culture e delle strutture.

Vediamo l’orrore delle guerre che continuano a devastare vite e territori, però sappiamo che ha senso portare il nostro granello, per quanto piccolo, a incepparne i meccanismi e ci pare che ciascuna possa contribuire alla smilitarizzazione delle menti nella sua vita quotidiana e nelle sue relazioni personali così come nello spazio pubblico.

Su tutto questo, e su tanto altro, vorremmo che sentissero il desiderio di confrontarsi con noi altre che a Paestum e nel dopo Paestum hanno privilegiato priorità differenti dalla nostra. Ci sentiamo comprese nella prospettiva delineata come “Primum vivere”; la proposta che facciamo è di intrecciarla con la citazione da Christa Wolf:
“Tra uccidere e morire c’è una terza via, vivere”,

in cui tante femministe hanno riconosciuto le radici del loro rifiuto delle guerre e delle logiche di guerra, perché – con Cassandra – lì stanno le basi della violenza del patriarcato.
Maggio 2013 La rete nazionale delle Donne in Nero

mercoledì 15 maggio 2013

La Nakba Cortesia di Hyundai

Ogni essere umano avrà il diritto di essere protetto dal trasferimento forzato dalla propria abitazione o luogo abituale di residenza.  Il divieto del trasferimento arbitrario include il trasferimento qualora esso si basi su politiche di apartheid, "pulizia etnica" o pratiche simili volte a/o che risultano nell'alterazione della composizione etnica, religiosa o razziale delle popolazioni coinvolte.

Principi Guida sugli Sfollati, Commission dei Diritti Umani delle Nazioni Unite

Continuiamo con la campagna su Internet della Coalizione delle Donne per la pace, per commemorare la Nakba facendo luce sulla complicità di imprese internazionali nella distruzione di beni palestinesi.

Oggi, Hyundai

Bulldozer di Hyundai sono stati utilizzati durante la demolizione di case palestinesi in Gerusalemme Est occupata.





Attualmente, circa 300.000 palestinesi vivono a Gerusalemme Est. Subito dopo l'occupazione nel giugno del 1967 l'occupazione, Israele illegalmente annesso' la zona. Da allora i vari governi municipali di Gerusalemme, insieme con il Ministero dell'Interno, hanno applicato politiche che mirano, direttamente e indirettamente, a mantenere una maggioranza ebraica nella città di Gerusalemme.

Uno dei principali metodi di controllo della crescita della popolazione palestinese a Gerusalemme Est è tramite l'imposizione di restrizioni sulla progettazione e costruzione nel settore palestinese. Solo nel 13 per cento della superficie totale a Gerusalemme Est è permesso costruire ai palestinese.

Nessun nuovo quartiere palestinese è stato creato dal 1967 nonostante la forte crescita della popolazione palestinese. I palestinesi non hanno altra scelta se non di costruire 'illegalmente', perché i permessi sono quasi impossibili da ottenere.

La Nakba è spesso discusso come un fenomeno storico limitato che si è verificato nel 1948, che ha prodotto centinaia di migliaia di rifugiati e sfollati. Ma i palestinesi continuano a essere sfollati oggi. Uno dei veicoli principali per il loro spostamento è la politica israeliana di demolizione delle case.

Demolizioni sono violazioni del diritto internazionale e portano ad un significativo deterioramento delle condizioni di vita di intere comunità. La demolizione di una casa non solo distrugge una struttura fisica, ma ha numerose altre conseguenze: si abbatte la struttura della famiglia, aumenta la povertà e la vulnerabilità, e, infine, sposta una famiglia dall'ambiente che le dà coesione e sostegno. Come risultato di demolizioni, un gran numero di palestinesi devono affrontare instabilità a lungo termine, così come l'accesso limitato a servizi di base come l'istruzione e assistenza sanitaria.

Ditelo a Hyundai di smettere di sostenere tali violazioni:

martedì 14 maggio 2013

La Nakba Cortesia di JCB

È vietato alla potenza occupante di distruggere beni mobili o immobili appartenenti individualmente o collettivamente a persone private, allo Stato o a enti pubblici, a organizzazioni sociali o a cooperative
Articolo 53 Quarta Convenzione di Ginevra


Continuiamo con la campagna su Internet della Coalizione delle Donne per la pace, per commemorare la Nakba facendo luce sulla complicità di imprese internazionali nella distruzione di beni palestinesi.

Oggi, JCB
  • Bulldozer di JCB sono stati utilizzati durante la demolizione di case nei villaggi palestinesi nelle colline a sud di Hebron, in Cisgiordania e nella Gerusalemme Est occupata.
  • Camion dell'azienda sono utilizzati nella costruzione di insediamenti e posti di blocco come Alfei Menashe e Zufin e Qalandia checkpoint.
  • Escavatori di JCB e altre attrezzature sono utilizzati per la costruzione della linea ferroviaria A1 tra Tel Aviv e Gerusalemme, che è in parte costruito in territorio palestinese.
Le Colline a Sud di Hebron

La regione delle colline a sud di Hebron è in zona C della Cisgiordania, sotto il pieno controllo israeliano. La politica di Israele ci minaccia la sopravvivenza di una trentina di villaggi palestinesi. Nella regione, conosciuta anche come Masafer Yatta, vivono circa 4.000 persone la maggior parte dei quali contadini e pastori.
La politica dell'Amministrazione Civile è quello di impedire la costruzione in quasi tutti i villaggi palestinesi della zona. Un modo di fare questo è di non preparare piani generali che consentano la legalizzazione delle costruzioni esistenti, nonché lo sviluppo futuro.
L'Amministrazione Civile emette ordini di demolizione per le case, le scuole, cliniche mediche, cisterne e impianti di energia su base regolare.    

Silwan, Gerusalemme Est
Il 13 febbraio 2012, quando i residenti di Silwan si svegliarono, videro un bulldozer JCB demolendo l'unico parco giochi per i bambini nella loro città.
Il parco giochi e campo sportivo presso il centro creativo Madaa è stato utilizzato come un campo da calcio e parco giochi per i bambini locali.
La demolizione è stata effettuata illegalmente su gli ordini del comune di Gerusalemme, senza preavviso e senza un ordine di demolizione.
Silwan è una delle zone più povere di Gerusalemme Est, con una cronica mancanza di scuole e aree pubbliche. Il parco giochi era un luogo dove i giovani palestinesi potevano andare per evitare molestie da parte dei coloni israeliani e della polizia per le strade.
Poche ore dopo la demolizione, i ragazzi si sono riuniti per una partita di calcio sulle macerie del loro campo sportivo.



Ditelo a JCB di smettere di sostenere le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale in Palestina.
Esempio di un messaggio

I am approaching you due to the involvement of Volvo in the Israeli occupation, and in house demolitions.

I am addressing you, as an activist/organization partaking in the struggle to bring the Israeli occupation to an end. I would like to give you some information on the matter, and also, to express my concern regarding your involvement in the ongoing expulsion of Palestinian residents from their homes and lands – A process which had begun in the 1948 Nakba, and has been continually going on in the day to day policies of occupation and land theft

The involvement of hundreds of big companies and corporations in the occupation, profiting from its sustenance, is directly responsible to its ongoing maintenance and persistence.

For further information regarding the involvement of companies in the Israeli occupation, and the various forms in which the occupation regime is increasingly feeding on economic and business interests, please approach the Who Profits project of Coalition of Women for Peace. http://www.whoprofits.org/

lunedì 13 maggio 2013

La Nakba Cortesia di Volvo

Le imprese commerciali devono rispettare i diritti umani. Ciò significa che essi dovrebbero evitare di violare i diritti umani e porre rimedio agli impatti negativi sui diritti umani in cui sono coinvolti.
Principi Guida su Imprese e Diritti Umani, Commission dei Diritti Umani delle Nazioni Unite

Continuiamo con la campagna su Internet della Coalizione delle Donne per la pace, per commemorare la Nakba facendo luce sulla complicità di imprese internazionali nella distruzione di case palestinesi.

Oggi, Volvo.

Volvo è membro del Global Compact, un importante iniziativa per la responsabilità sociale delle imprese, che affronta il tema degli affari e i diritti umani. I primi due suoi dieci principi sono:

Le imprese dovrebbero sostenere e rispettare la protezione dei diritti umani proclamati a livello internazionale,
e
assicurarsi che essi non siano complici negli abusi dei diritti umani.

Bulldozer e camion prodotti da società controllate del Gruppo Volvo: Volvo Construction Equipment e Volvo Trucks sono stati utilizzati nella demolizione di case nei quartieri palestinesi di Gerusalemme Est e nei quartieri palestinesi della città di Lod (Al Lid), all'interno di Israele.


La tecnologia Volvo della società è stata utilizzata anche per la costruzione di posti di blocco militari e insediamenti israeliani in Cisgiordania.

Lod |Al Lid

Lod è una città mista entro i confini di Israele, stabiliti nel 1948. Mentre le cifre ufficiali non sono facilmente disponibili, oltre il 70% delle case palestinesi a Lod e la vicina città di Ramle non hanno status giuridico, secondo Shatil, una ONG israeliana.

Centinaia di case a Lod sono sotto ordini di demolizione immediata, praticamente tutti in quartieri palestinesi. Inoltre, circa 1.600 unità abitative in Lod sono attualmente indicate come "illegali", e quindi soggetti a ordini di demolizione, perché, secondo le autorità israeliane, mancano i permessi di costruzione adeguate.

Ma secondo i residenti palestinesi le autorità di pianificazione hanno ripetutamente respinto le loro richieste per permessi di costruzione. Ma le stessa autorità hanno recentemente approvato i piani per un campus di sette ettari per una scuola religiosa ebraica immediatamente accanto a una zona demolita.

Ditelo a Volvo di smettere di sostenere le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale in Palestina.


Esempio di un messaggio

I am approaching you due to the involvement of Volvo in the Israeli occupation, and in house demolitions.

I am addressing you, as an activist/organization partaking in the struggle to bring the Israeli occupation to an end. I would like to give you some information on the matter, and also, to express my concern regarding your involvement in the ongoing expulsion of Palestinian residents from their homes and lands – A process which had begun in the 1948 Nakba, and has been continually going on in the day to day policies of occupation and land theft.

The involvement of hundreds of big companies and corporations in the occupation, profiting from its sustenance, is directly responsible to its ongoing maintenance and persistence.

For further information regarding the involvement of companies in the Israeli occupation, and the various forms in which the occupation regime is increasingly feeding on economic and business interests, please approach the Who Profits project of Coalition of Women for Peace. http://www.whoprofits.org/

Nakba: This is Palestine

http://casadelledonneravenna.wordpress.com/

domenica 12 maggio 2013

La Nakba cortesia di Caterpillar

Le infrazioni gravi indicate nell’articolo precedente sono quelle che implicano l’uno o l’altro dei seguenti atti... la distruzione e l’appropriazione di beni non giustificate da necessità militari e compiute in grande proporzione facendo capo a mezzi illeciti e arbitrari.
Articolo 147, Quarta Convenzione di Ginevra

 La Coalizione israeliana delle donne per la pace, vi invita a partecipare a una campagna su Internet per commemorare la Giornata della Nakba, pubblicizzando il ruolo delle imprese internazionali nel occupazione e informando queste aziende che non accettiamo la loro complicità in crimini contro il diritto internazionale. 

Bulldozers come armi 

 Caterpillar vende i suoi bulldozer all'esercito israeliano attraverso il Foreign Military Sales Program, piuttosto che attraverso i canali commerciali di vendita di prodotti per il mercato israeliano. Una volta in Israele, bulldozer D9 sono blindati, e modificati per includere supporti per mitragliatrici e lanciagranate. 

Secondo la testimonianza presso il Tribunale Russel sulla Palestina di Josh Reubner della campagna statunitense per fermare l'occupazione israeliana, tutti i trasferimenti di armi degli Stati Uniti e gli aiuti militari sono soggetti a leggi intese a impedire che queste armi vengano usate per commettere violazioni dei diritti umani. Ma i bulldozer Caterpillar sono stati sistematicamente utilizzati in crimini di guerra condannati a livello internazionale, come nell'attacco al campo profughi di Jenin nel 2002, nella distruzione dei quartieri di Rafah nel 2004, nell'invasione del Libano nel 2006 e negli attacchi a Gaza del 2008. Per gli ultimi due attacchi Caterpillar ha fornito i veicoli senza pilota, Dawn Thunder e Front Runner, appositamente sviluppati per la guerra urbana.

 Nel corso dell'attacco sul campo profughi di Jenin, Caterpillar D9s distrussero centinaia di case. Un rapporto di Human Rights Watch del 2002 rivela che alcune case sono state schiacciate sugli abitanti e circa 4.000 persone sono rimaste senza casa. 

 Nel maggio di 2004, i bulldozer Caterpillar sono stati utilizzati in un assalto dell'esercito israeliano sul campo profughi di Rafah, nella Striscia di Gaza. Un rapporto di Human Rights Guarda si riferisce a queste demolizioni di massa, affermando che "Durante incursioni notturne e con poco o nessun preavviso, le forze israeliane hanno usato Caterpillar D9 bulldozer blindati per radere al suolo i blocchi di case ai margini del campo, ampliando progressivamente una zona cuscinetto. Il modello di distruzione suggerisce fortemente che le forze israeliane hanno demolito le case a prescindere dal fatto che essi rappresentassero o meno una minaccia specifica, in violazione del diritto internazionale." 

 I bulldozer Caterpillar hanno preceduto le truppe israeliane nelle invasioni del Libano (2006) e di Gaza (2008), come evidenziato nella relazione Goldstone, distruggendo sistematicamente edifici civili, case, terreni, colture, frutteti, e infrastrutture. Secondo i testimoni oculari, la distruzione continuò anche dopo che i soldati israeliani presero il controllo della zona. 

 Secondo Articolo 147 della 4 Convenzione di Ginevra “,la distruzione e l’appropriazione di beni non giustificate da necessità militari e compiute in grande proporzione facendo capo a mezzi illeciti e arbitrari” sono crimini di guerra. 

 

Nel marzo di 2003, un bulldozer Caterpillar operato dall'esercito israeliano uccise Rachel Corrie, 23 anni, mentre protestava in modo nonviolento contro la demolizione di una casa palestinese a Rafah. 

 A parte le demolizioni sistematiche di case sopra descritto come un metodo di guerra urbana, l'occupazione israeliana utilizza demolizioni di case come misura punitiva e per ostacolare l'espansione urbana palestinese. Un rapporto pubblicato da B'Tselem nel 2004 e citato dalle Nazioni Unite, ha studiato le demolizioni di case delle famiglie di persone sospettate di attività terroristiche. Il rapporto rivela che il 47% delle case demolite dai militari non sono mai state utilizzate dagli indagati stessi. Inoltre, le demolizioni si verificano spesso con poco o nessun preavviso. Queste demolizioni sono in realtà una forma di punizione collettiva, oltre che una violazione del diritto al giusto processo. 

 Ditelo a Caterpillar di smettere di sostenere le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale in Palestina. 

 Mandate emails a Jim Dugan, portavoce di Caterpillar( Dugan_Jim@Cat.com)
Lasciate messaggi sulla pagina Facebook di Caterpillar

Le Donne Terre Mutate Chiamano: L'Aquila 18 e 19 Maggio


http://www.laquiladonne.com/