sabato 29 novembre 2014

Che vergogna la guerra, che vergogna la violenza!

 


Strano come sono cieche le persone! Sono inorriditi dalle camere di tortura del Medioevo, ma i loro arsenali li riempiono di orgoglio

Bertha Von Suttner

 


Nel suo discorso del 4 novembre, a un secolo dalla conclusione della prima guerra mondiale, il Presidente della Repubblica ha richiamato la necessità di continuare “a perseguire il necessario livello di efficienza dello strumento militare” concludendo che “da parte di ogni paese membro della NATO si debba esser seri nel prendere decisioni, che non possono mai avallare visioni ingenue, non realistiche di perdita d'importanza dello strumento militare.”

Ma noi siamo e vogliamo essere ingenue.

Abbiamo alle spalle una lunga storia. Già da fine '800 e perfino attraverso la prima guerra mondiale, donne di paesi tra loro in conflitto espressero ferme convinzioni femministe e antimilitariste rivendicandone la saggezza.

Donne che resistono

In uno scritto del 1909 Bertha von Suttner, premio Nobel per la pace nel 1905, chiariva la contraddizione tra i fautori degli armamenti, i fabbricanti di armi, i fornitori dell'esercito e il bisogno di pace sentito dai nove decimi della popolazione. Denunciava così l'enorme bugia – che tuttora ci ripetono i nostri governanti – che chi vuole la pace deve preparare la guerra.

Pochi anni dopo, nel 1915, quando la prima guerra mondiale era ormai in corso, si tenne all'Aia una conferenza internazionale di donne. Fu il risultato straordinario dell'impegno antimilitarista di gruppi di donne che provenivano da molti paesi, anche su fronti opposti della guerra. Nacque di lì nel 1919 la Lega Internazionale delle donne per la pace e la libertà (WILPF), che è tuttora attiva.

Di questi processi di costruzione di relazioni trasversali e ricerca di convivenza è però rimasta assai meno memoria che delle battaglie e dei massacri, e di quello che era chiamato eroismo. Soltanto da poco tempo sono state prese iniziative per “restituire l'onore ai disertori. La verità un secolo dopo”. In tante e tanti consideriamo che il tempo è maturo per compiere questo atto di giustizia storica.

E le guerre di oggi?

Come i disertori, le Donne in Nero di Belgrado venivano chiamate traditrici quando, durante le guerre balcaniche (mentre la NATO bombardava la loro città) manifestavano contro la guerra, dicendo “Non in nostro nome”, denunciando i crimini e chiedendo giustizia; come le Donne in Nero armene fanno in questi giorni.

E le donne della Ruta Pacifica, insieme a molte altre provenienti da tutte le regioni della Colombia, hanno unito le loro voci nel coordinamento Mujeres por la Paz. Ancora una volta riaffermano il loro impegno etico e politico per la costruzione della pace e un’uscita negoziata dal conflitto sociale e armato che dura da 50 anni.




domenica 23 novembre 2014

Mettere fine all’impunità dei “Caschi blu”


In 6 su 12 studi nazionali sullo sfruttamento sessuale delle bambine in situazioni di conflitto armato preparato per la presente relazione, l'arrivo delle forze di peacekeeping è stato associato ad un rapido aumento della prostituzione minorile

 Dal Rapporto delle Nazioni Unite "L'impatto dei conflitti armati sui bambini", Graca Machel, 1996

 Dal 1995 ci sono state ripetute denunce contro i caschi blu dell’ONU per aver violentato e sfruttato sessualmente donne e bambine in paesi dove si suppone che l’ONU sia presente per proteggere i civili.

I primi casi sono stati denunciati in Bosnia Erzegovina dal 1995 e nella Repubblica Democratica del Congo dal 1999. Nel 2012, c’erano notizie di sfruttamento sessuale in 10 missioni di pace dell’ONU. Pochissime di queste denunce hanno avuto un seguito di indagini appropriate; molte sono state coperte. Anche quando sono stati indagati singoli soldati, si è preferito mandarli a casa piuttosto che perseguirli.

In ottobre del 2000, l’ONU ha approvato la Risoluzione 1325 su Donne, Pace e Sicurezza. Uno degli obiettivi era proteggere le donne e le bambine durante e dopo le guerre, riconoscere i diritti delle donne e identificare i crimini specificatamente di genere durante e dopo le guerre, includendo la protezione delle donne e delle bambine dallo stupro e da altre forme di abuso sessuale, e mettere fine all’impunità per questi crimini.

La risoluzione 1325 si concentra su:

  • la partecipazione delle donne nei processi di pace e nella presa di decisioni sulla pace;
  • l’inclusione del genere nei processi di pace e la formazione per le “missioni di pace” nella prospettiva di genere;
  • la protezione delle donne nei conflitti armati e nelle situazioni di post-conflitto;
  • l’inclusione della prospettiva di genere nei rapporti dell’ONU e nei meccanismi usati nell’implementazione degli accordi di pace.

Certamente l’implementazione della R. 1325 è ben lontana dal raggiungere le aspettative delle organizzazioni delle donne che hanno lavorato tanto duramente per farla adottare dall’ONU. Il problema non è solo il fallimento degli stati membri dell’ONU nell’applicare la R. 1325, quanto il carattere militare della risoluzione stessa. Militarizza le richieste femministe di uguaglianza: da priorità al reclutamento delle donne nell’esercito e nel settore della sicurezza, pone il potere militare al di sopra della sicurezza umana e considera la guerra e i conflitti militari come una situazione inevitabile, naturale e duratura. Inoltre, poiché la R. 1325 è stata applicata principalmente in paesi del sud e in “stati di transizione” in post-conflitto, le donne in questi paesi possono viverla come coloniale ed egemonica.

Malgrado la R. 1325, malgrado la politica di “tolleranza zero” dell’ONU, i suoi gruppi di esperti, le sue altre risoluzioni, le “Direttive per peacekeepers” e i punti principali di genere per appoggiare le vittime, le donne e le bambine in zone di conflitto o post-conflitto ancora sono violentate, attaccate sessualmente, trafficate o sfruttate sessualmente in un modo o nell’altro da parte di chi in teoria è messo lì per proteggerle: i caschi blu dell’ONU.

Il problema principale per perseguire e punire i caschi blu sta nel fatto che tutto il personale dell’ONU, contrattisti e membri delle missioni di pace dell’ONU, godono di immunità di fronte alle accuse legali. Sebbene questa immunità possa essere – e sia stata - tolta, pochissimi peacekeepers, responsabili di sfruttamento sessuale, sono stati giudicati e accusati; in alcuni casi, ci sarà solo un’indagine disciplinare interna, e in alcuni casi non verrà presa nessuna misura.

Nel 2007 la NATO ha deciso che i suoi membri dovevano adottare Piani di Azione Nazionale per implementare la 1325, includendo che si desse formazione sulla condizione delle donne nelle guerre e nella situazione di post-conflitto, i diritti umani e la legislazione internazionale, la prevenzione della violenza sessuale e del traffico sessuale, la buona condotta.


Agisci

Manda una lettera al tuo Ministero della Difesa, e informalo che Donne in Nero stanno facendo campagna per mettere fine all’immunità per l’accusa di stupro e sfruttamento sessuale da parte dei caschi blu dell’ONU. Di seguito alcuni suggerimenti di possibili domande:

  • Cos’ha fatto il governo per implementare la R. 1325 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU?
  • Che formazione ricevono le truppe sulla loro responsabilità nel proteggere e prevenire la violenza sessuale contro le donne e le bambine?
  • Cosa prevede il codice di condotta per il possibile sfruttamento sessuale da parte dei soldati in missioni di pace dell’ONU?
  • Quante truppe del paese attualmente stanno partecipando a missioni di pace dell’ONU e in quali paesi?
  • Dal 2000 quanti soldati sono stati denunciati in quanto sospettati di stupro o altre forme di violenza e sfruttamento sessuale?
  • Quante di queste denunce hanno dato luogo a un’indagine giudiziaria?
  • Quanti sono stati accusati? Qual è stato il risultato?
  • Se non c’è stata un’indagine giudiziaria, c’è stata qualche indagine disciplinare interna e quali furono le conclusioni?
  • Qual è la posizione del governo sull’immunità di cui godono i caschi blu, che finisce col dar luogo all’impunità per la maggioranza dei sospettati di sfruttamento sessuale di donne e bambine che dovrebbero proteggere?
Altri punti che si potrebbero aggiungere:

  • Il vostro governo, in accordo con la R. 1325 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e altre risoluzioni dell’ONU, dovrebbe far sì che tutti i peacekeepers dell’ONU e il personale civile rispondano per qualsiasi forma di sfruttamento sessuale in situazioni di conflitto o post-conflitto.
  • L’immunità dell’ONU dovrebbe essere eliminata per il personale civile e militare internazionale coinvolto in qualsiasi tipo di violenza di genere, specialmente per il traffico di esseri umani e l’abuso sessuale di donne e bambin@.
  • Dove esiste una evidenza ragionevole di sfruttamento sessuale, le autorità non dovrebbero applicare nessuna clausola di immunità ma aprire immediatamente un’indagine giudiziaria, in vista di un processo giusto e trasparente;
  • Si dovrebbe fornire formazione ai peacekeepers sugli standard dell’ONU / regolamenti della NATO che proibiscono lo sfruttamento sessuale e l’abuso, includendo tutte le forme di violenza sessuale, e il loro dovere, in base alla UN SC 1325, di assicurare la protezione e il rispetto dei diritti umani di donne e bambine, stabilite nella UN SC 1325.
  • Assicurare la partecipazione delle donne a tutti i livelli dei processi di mantenimento della pace e nelle società in post-conflitto.

domenica 9 novembre 2014

Speranze tradite



E' 25 anni da quando il muro di Berlino è caduto, risvegliando le speranze di un dividendo di pace, la fine della corsa agli armamenti, la fine della minaccia di una guerra devastante. 

In breve tempo tutte queste speranze sono state schiacciate, e la NATO, un'alleanza suppostamente stabilita per la difesa reciproca dei territori degli Stati membri, ha adottato un nuovo "concetto strategico".

Nel corso degli anni successivi, c'è stato appena un giorno in cui la NATO non era impegnata in una guerra che non aveva niente a che fare con la difesa del territorio. Pretesti sono stati inventati per il consumo pubblico. I conflitti si sono verificati o sono stati prodotti. E ci hanno detto che la forza militare era l'unica opzione. Avevano una "responsabilità di proteggere" ed i risultati tristi di questa "protezione" non sembrano scoraggiarli di offrirla ancora una volta - nell'Afghanistan, nell'Iraq, nella Libia, e ora di nuovo nell'Iraq.

Ma nei vertici della NATO, non c'è bisogno di fingere. La missione della NATO è quello di difendere gli "interessi" degli stati nazionali - gli interessi, non il territorio. Quindi, gli interessi dei membri della NATO saranno difesi con la forza travolgente con un totale disprezzo per le genti dei paesi in cui si trovano questi "interessi".

Per l'Italia, questo non è solo una violazione morale, ma anche una violazione della Costituzione che "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli". Sicuramente attacchi armati contro i paesi in "difesa degli interessi" possono essere visti solo come l'aggressività predatoria.


E 'chiaro che la NATO sta diventando una sempre maggiore minaccia per la pace. La Nato non ci protegge dalle guerre. Le crea – costringendoci poi a parteciparvi. E' ora di ripensare la nostra adesione. Ecco la premessa del convegno "E' NATO per la guerra: come uscire dal patto Atlanico" che si e' svolto l'11 Ottobre a Roma.  Al convegno hanno annalizato i gravi rischi ai quali l'adesione alla NATO espone l'Italia per lanciare una campagna per l'uscita dell'Italia dal patto atlantico, anche a tappe e anche con l'impiego di strumenti legislativi. 




E' stato detto che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi. E la guerra è infatti la progressione logica delle politiche economiche predatorie perseguite dai governi dei paesi della NATO. Queste politiche, i cui effetti vediamo ora nel nostro paese, hanno avuto un effetto catastrofico in molti paesi africani - e molti hanno cercato una via di fuga che è molto più pericoloso di quanto sono stati i tentativi di attraversare il muro di Berlino. 

Tra il 1961 e il 1989, fra 100 e 150 sono morti cercando di attraversare il Muro di Berlino - una frazione dei 25.000 che dal 1990 sono morti nel Mediterraneo cercando rifugio in Europa. 


Questa aggressione economica e le guerre che sono le sue conseguenze non sono nel nostro interesse. Ci rifiutiamo di essere complici e ci impegniamo a lavorare per un'economia inclusiva e cooperativa che risponde alle esigenze di tutte le persone.