giovedì 26 dicembre 2013

Magari fossi una candela in mezzo al buio

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
 


Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
 

Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.


Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.


Mahmoud Darwish

lunedì 23 dicembre 2013

Il Silenzio è il nostro più grande nemico

 


Rappresento una nazione che dopo 12 anni di guerra è ancora in mano a un governo fascista ed è vittima dell’occupazione delle forze della Nato. Oltre a condannare la brutalità di questa guerra, vorrei parlarvi delle conseguenze dal punto di vista dei diritti umani: della violenza patita, del saccheggio e della trasformazione subiti dal nostro Stato, diventato mafioso.
Malalai Joya 

 
 




A Milano, ospite del CISDA Onlus (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) lo scorso 11 dicembre, Malalai Joya ha incontrato all’Urban Center di Milano cittadini e autorità ed è stata subito evidente la sua vera priorità, una denuncia dell'occupazione militare del suo paese e il sostegno dato dai paesi occidentali al governo afghano - un governo fascista dominato dai signori della guerra che ha presieduto un peggioramento delle condizioni delle donne.

Mostra foto ‘spietate’ e ricorda le decine di migliaia di civili – uomini, donne e bambini – uccisi. Snocciola dati sull’Afghanistan, “al 175esimo posto nell’indice di sviluppo, ma ai primi posti per corruzione e nella top ten dei Paesi più sottosviluppati: 20 milioni su 27 di afghani vivono sotto la soglia di povertà, il 60% dei bambini è malnutrito e il sistema dell’istruzione pubblica è il sesto per corruzione nel mondo. Intanto il Paese è diventato il più grande centro di produzione di oppio mondiale, “più pericoloso di Al Quaida – denuncia -, perché distrugge la vita delle persone, con due milioni di tossicodipendenti, in maggioranza donne e bambini. E non è raro venire a sapere di donne offerte in matrimonio in cambio di oppio”.

Proprio le donne, sono tra le vittime principali del “disastro” dell’Afghanistan, “uno dei luoghi più sanguinosi al mondo per loro – denuncia Malalai -. Si parla di diritti, ma non esiste nemmeno quello alla vita: l’80% subisce violenze, il 57% dei matrimoni coinvolge ragazze minori di 16 anni, i matrimoni forzati e gli attacchi con acido stanno aumentando, mentre decine di donne ogni mese si suicidano per la disperazione delle violenze”. E, intanto, il Ministero della Giustizia sta pensando di reintrodurre la lapidazione in caso di adulterio. Tra le molte storie, Malalai racconta quella della sedicenne Shakila, “violentata e uccisa. Gli uomini coinvolti siedono in Parlamento, da dove stanno cercando di manipolare il processo e i referti attraverso la corruzione, ma la battaglia condotta insieme ad alcuni avvocati molto coraggiosi ci ha permesso di impedire che il violentatore si ricandidasse alle prossime elezioni”.


 


E se l’Afghanistan è uno dei peggiori Paesi al mondo in cui essere donna, la situazione si aggrava se si è anche giornaliste. “Come gli uomini, non hanno mani libere sui media, controllati dai proprietari che sono i signori della guerra”, racconta, citando su tutte Zakia Zaki uccisa nella sua casa proprio per la sua insistente denuncia dei ‘warlord’.
 
Io viaggio in nome del mio Paese e delle donne del mio Paese, ma vedo che in molti luoghi nel mondo non esiste una vera democrazia, per quanto riguarda i diritti delle donne – aggiunge -. E’ molto triste sapere che qui in Italia, dall’inizio dell’anno, 128 donne sono morte per violenze domestiche, è una grande tragedia e noi donne afghane la comprendiamo bene, perché abbiamo perso le nostre sorelle, le nostre madri, le persone più care. Ecco perché noi donne dovremmo essere unite, abbiamo gli stessi nemici, le stesse responsabilità da portare avanti. Dovremmo dire la verità, essere coraggiose insieme, essere più attive, lavorare nelle organizzazione per i diritti delle donne, scrivere dei diritti delle donne, essere più unite le une con le altre e sono sicura che un giorno saremo vittoriose. 

Uomini e donne. dobbiamo parlare, il silenzio è il nostro più grande nemico.

venerdì 13 dicembre 2013

La Lotta contro il razzismo e l'apartheid: Mandela e Barghouti

La libertà, caro Madiba, prevarrà certo, un giorno, e tu hai meravigliosamente contribuito a fare di questa fede una certezza. Riposa in pace e che Dio benedica la tua anima invincibile.

Marwan Barghouti


Dalla dichiarazione di Robben Island, Sudafrica: Lancio della Campagna mondiale Per la liberazione di Marwan Barghouti e tutti i prigionieri palestinesi

Marwan Barghouti ha trascorso un totale di quasi due decenni della sua vita nelle carceri israeliane, tra cui gli ultimi 11 anni. È il prigioniero politico palestinese più importante e rinomato, un simbolo della missione del popolo palestinese per la libertà, una figura che unisce e un sostenitore della pace basata sul diritto internazionale.
Tenendo presente come gli sforzi internazionali portarono alla liberazione di Nelson Mandela e di tutti i prigionieri anti-apartheid, riteniamo che la responsabilità morale giuridica e politica della comunità internazionale di assistere il popolo palestinese nella realizzazione dei loro diritti deve contribuire a garantire la libertà di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri politici palestinesi.
Chiediamo, quindi, e ci impegnamo ad agire per la liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi. Fino al loro rilascio, i prigionieri palestinesi, come sancito dal diritto internazionale umanitario e le leggi in materia di diritti umani, devono beneficiare dei loro diritti e le campagne di arresti devono cessare.
Uno dei più importanti segni della disponibilità a fare la pace con il tuo avversario è la liberazione di tutti i suoi prigionieri politici, un potente segnale di riconoscimento dei diritti di un popolo e delle sue naturali rivendicazioni della propria libertà. E’ il segnale di inizio di una nuova era, in cui la libertà aprirà la strada per la pace. Occupazione e pace sono incompatibili. L’occupazione, in tutte le sue manifestazioni, deve terminare, in modo che la libertà e la dignità possano prevalere. La libertà deve prevalere perché il conflitto cessi e perché i popoli della regione possano vivere in pace e sicurezza.
Messaggio di Marwan Barghouti dopo la morte di Mandela.
Nel corso dei miei anni di lotta, ho avuto occasione a più riprese di pensare a te, caro Nelson Mandela. E soprattutto dopo il mio arresto nel 2002. Io penso ad un uomo che ha passato 27 anni in una cella di prigione, solamente per dimostrare che la libertà abitava in lui prima di diventare una realtà di cui avrebbe potuto gioire il suo popolo. Penso alla tua capacità di sfidare l’oppressione e l’apartheid, ma anche di sfidare l’odio e di preferire la giustizia alla vendetta.
Quante volte hai dubitato del risultato di quella lotta? Quante volte ti sei domandato se la giustizia avrebbe prevalso? Quante volte ti sei chiesto se il tuo nemico avrebbe mai potuto diventare un tuo partner? Alla fine, la tua volontà si è dimostrata incrollabile, facendo diventare il tuo nome uno dei più luminosi nomi della libertà. Tu sei molto di più che una fonte di ispirazione. Tu dovevi sapere, il giorno della tua liberazione dal carcere, che eri in procinto non solo di scrivere la storia, ma di contribuire al trionfo della luce sull’oscurantismo, pur restando umile.
Ed hai portato la promessa ben oltre le frontiere del tuo paese, questa promessa, che l’oppressione e l’ingiustizia saranno sconfitte. Così hai aperto la strada alla libertà e alla pace. Dalla mia cella, io ricordo la tua ricerca quotidiana e allora qualsiasi sacrificio mi diventa sopportabile alla sola idea che il popolo palestinese potrà riacquistare la sua libertà, la sua indipendenza e la sua terra, e che questa terra potrà infine gioire della pace.
Tu sei diventato un’icona e hai fatto sì che la tua causa fosse un faro e si imponesse sulla scena internazionale. Universalismo contro isolamento. Sei diventato un simbolo al quale tutti coloro che credono nei valori universali alla base della tua lotta hanno potuto collegarsi, mobilitarsi ed agire. L’unità ha forza di legge per un popolo oppresso. La tua minuscola cella, le ore di lavoro forzato, la solitudine e le tenebre non hanno potuto impedirti di vedere l’orizzonte, né di condividere la tua visione. Il tuo paese è diventato un faro e noi, Palestinesi, spieghiamo le vele per raggiungere la sua riva.
Tu hai detto: “noi sappiamo troppo bene che la nostra libertà non è completa senza quella dei Palestinesi”. E dalla mia cella io ti dico, la nostra libertà ci appare accessibile perché voi avete raggiunto la vostra. L’apartheid non ha prevalso in Sudafrica, e l’apartheid non può prevalere in Palestina. Noi abbiamo avuto il grande onore di accogliere in Palestina, qualche mese fa, il tuo amico e compagno di lotta Ahmed Kathrada, che dalla sua cella, dove ha preso forma una parte importante della storia universale, aveva lanciato la campagna internazionale in favore della libertà dei prigionieri palestinesi; mostrando con ciò che i legami fra le nostre lotte sono eterni.
La tua capacità di essere un simbolo di unificazione e un condottiero a partire dalla tua cella di prigioniero, tenendo nelle mani il futuro del tuo popolo mentre eri derubato del tuo stesso futuro, sono segni di un grande leader, eccezionale, e di una figura davvero storica.

Io saluto il combattente per la pace, il negoziatore di pace e il costruttore di pace che tu sei, mentre sei nello stesso tempo il leader militante e l’ispiratore di una resistenza pacifica, il combattente senza tregua e l’uomo di Stato.
Tu hai consacrato la vita a far risplendere l’idea che la libertà e la dignità, la giustizia e la riconciliazione, la pace e la coesistenza possono prevalere. Adesso sono tanti quelli che nei loro discorsi onorano la tua lotta. In Palestina noi promettiamo a noi stessi di proseguire questa ricerca dei nostri valori comuni e di onorare la tua lotta non solo a parole, ma consacrando le nostre vite allo stesso scopo.
La libertà, caro Madiba, prevarrà certo, un giorno, e tu hai meravigliosamente contribuito a fare di questa fede una certezza. Riposa in pace e che Dio benedica la tua anima invincibile.

Marwan Barghouti
Prigione Hadarim, cella 28

Il Vertice della Complicità

Lungi dal conformarsi alle regole generali del diritto internazionale […l’Unione
Europea] mantiene relazioni militari, commerciali, culturali e politiche con Israele, politiche che in pratica sostengono la politica israeliana di occupazione e colonizzazione nei confronti dei palestinesi, e di conseguenza delle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele ai danni della Palestina […così] si rende essa stessa colpevole di fatti internazionalmente illegittimi che coinvolgono la sua responsabilità internazionale. 
Tribunale Russell sulla Palestina: Dalle conclusioni adottate nella sessione finale tenutasi a Bruxelles il 16 e 17 marzo 2013
 

L'Italia è il quarto partner commerciale nel mondo di Israele, il secondo in Europa, col quale ha stretto numerosi accordi di cooperazione, commercio e ricerca in vari campi tra cui esportazioni di gas israeliano, produzione di energie rinnovabili, comparto aereospaziale, sicurezza informatica, Expo 2015 di Milano, agricoltura innovativa, ricerca biomedica e compravendita di sistemi di sorveglianza di produzione israeliana (usati nella costruzione del muro dell'Apartheid e destinati ad essere installati sulle coste delle grandi isole e del meridione italiano contro i migranti). 


Il 2 dicembre si è tenuto il Vertice intergovernativo tra Italia e Israele, quarto incontro bilaterale di una serie iniziata nel 2010 per rafforzare le relazioni in campo militare, economico e culturale. Dodici accordi sono stati firmati. Fra gli accordi c'è un memorandum sull'acqua tra l'Acea e Mekorot, la compagnia israeliana che porta avanti il furto delle risorsi idriche palestinesi. 


La cooperazione militare in corso tra i due paesi riguarda la compravendita di armi, di sistemi d'arma, di sistemi di controllo e comunicazione, l'addestramento e la formazione di personale militare, e le esercitazioni congiunte: due si sono svolte a fine 2011 in Sardegna (nome in codice Vega) e nel deserto del Negev (Desert Dusk); l'ultima, (Blue Flag), si è svolta alla fine del scorso novembre vicino a Eilat nel sud di Israele. Quest'ultima esercitazione è considerata particolarmente importante da Israele per rafforzare la cooperazione con la NATO, avviata con un accordo del dicembre 2008.

Come esempio di quanto la cooperazione scientifica abbia a che fare col militare, citiamo la 4ª “Conferenza Annuale sulla Cyber Warfare - Protezione Cibernetica delle Infrastrutture Nazionali” che si è tenuta a Roma il 19 giugno 2013 presso l'Università la Sapienza. Spesso le collaborazioni tra università italiane e israeliane si risolvono in un sostegno reciproco alla ricerca in campo bellico o della sicurezza, tenuto conto che le istituzioni accademiche israeliane contribuiscono a sviluppare strumenti per il controllo dei Territori Palestinesi occupati.

Il governo italiano è quindi complice: mantiene e rafforza le sue relazioni con il governo israeliano, non tiene per niente in conto i diritti e le ragioni del popolo palestinese, e lo fa malgrado le stragi impunite come l'operazione “Piombo fuso” del 2008-2009. Così come vengono lasciate impunite le minacce alla possibilità di sopravvivenza delle donne e degli uomini palestinesi, sottoposte/i al continuo rischio di uccisione, di cattura e detenzione, di demolizione delle case, di ulteriore sottrazione di territori per espandere le colonie, di perdita delle risorse come l’acqua e gli ulivi, di trasferimento forzato, di espulsione.

Infatti, proprio nei giorni precedenti al vertice, migliaia hanno protestato in Palestina, Israele, e in molti altri paesi (anche Italia) contro Piano Prawer. Secondo il piano, le comunità beduine che vivono nel deserto del Negev (che sono cittadini israeliani) sarebbero stati forzatamente trasferiti e le loro terre sarebbero state espropriate. In preparazione per il piano, lo stato israeliano ha creato severi requisiti per il riconoscimento di villaggi beduini e per consentire la costruzione. In base a questi requisiti 35 villaggi, con alcune 70.000 persone, non vengono riconosciuti da Israele. Il fornitore di acqua israeliano israeliana non fornisce connessioni dirette per coloro che vivono in questi villaggi. Le famiglie che vivono in queste zone devono pagare per i loro tubi di acqua o di avere l'acqua consegnata in autocisterne. Essi pagano tariffe molto più elevate rispetto ebrei israeliani che vivono nelle vicinanze. Anche se il piano è stato poi sospeso, i requisiti per il riconoscimento rimangono e così fanno le difficoltà delle comunità beduine per ottenere i loro diritti fondamentali come cittadini.

Questo è un caso palese di discriminazione razziale e di pulizia etnica, ma sembra di significare poco al nostro governo. Occorre mettere fine all'impunità di Israele che continua a operare come uno Stato al di sopra di ogni legge, in violazione del diritto internazionale, dei diritti umani, delle Risoluzioni ONU.


Collaborare vuol dire diventare complice e corresponsabile dei crimini di Israele e perciò essere a propria volta colpevole. 
Non è questa la politica che noi crediamo giusta, come cittadine italiane la rifiutiamo e ancora una volta diciamo 
NON IN NOSTRO NOME