martedì 29 ottobre 2013

Nel silenzio della “comunità internazionale” la colonizzazione della Palestina continua



E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
E la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
Senza lasciarci nulla se non queste rocce,
E lo Stato prenderà anche queste, Come si mormora?


Mahmoud Darwish

Nei fatti:

  • Il governo israeliano sta attuando piani - più o meno dichiarati - di trasferimento di popolazione palestinese: i beduini del Neghev, i pastori e contadini delle colline a sud di Hebron e della Valle del Giordano, gli abitanti dei dintorni di Gerusalemme… per insediare nuove colonie ebraiche.
  •  Il Muro dell'Apartheid, i posti di blocco, le strade riservate ai coloni continuano a frammentare la presenza palestinese nei Territori Occupati
  •  La demolizione delle case dei palestinesi, lo sradicamento degli alberi, gli arresti arbitrari (anche di bambini) sono fatti quotidiani.
  •  La Striscia di Gaza continua a vivere assediata dall’esercito di Israele, che controlla lo spazio aereo, le acque territoriali e tutto il confine della Striscia
  • Circa 4 milioni di palestinesi continuano a vivere da ormai 60 anni in più di 50 Campi Profughi disseminati in tutto il medio-oriente. 

Di fronte a tutto questo il Governo italiano cosa fa? 

  • Ignorando l’occupazione, collabora! L'Italia infatti è il quarto partner commerciale di Israele. 
  •  L’Italia è diventata la porta d’ingresso principale per lo smistamento delle merci israeliane nella Comunità Europea. Molte di queste merci sono prodotte in territorio palestinese, nelle colonie, considerate illegali dalla stessa Comunità Europea. 
  •  A inizio ottobre l’attuale Ministro italiano del turismo è andato a visitare e incoraggiare la colonia illegale israeliana nel centro della città palestinese di Hebron. 
  •  Nel 2012 Finmeccanica ha concluso un contratto per vendere ad Israele 30 aerei da guerra M346. 
  • Operazioni militari congiunte Italia - Israele si svolgono abitualmente nel deserto del Neghev e in Sardegna. 

Noi non vogliamo essere complici!

Non vogliamo che il nostro paese collabori con il governo di Israele, 
che occupa illegalmente le terre palestinesi. 
Siamo solidali con la resistenza e la lotta nonviolenta della popolazione palestinese. 


martedì 22 ottobre 2013

Le Tragedie di Lampedusa

 

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Articolo 10 della Costituzione della Repubblica Italiana  

 

Il diritto di spostarsi liberamente da un paese all'altro deve essere riconosciuto come diritto umano universale, tanto più per chi fugge da guerre, persecuzioni, condizioni invivibili.

Agire per l'attuazione di questo diritto è compito di ciascuna e ciascuno di noi, ma ancora di più è responsabilità delle istituzioni che dovrebbero garantirlo. Lo hanno sottolineato i vescovi siciliani affermando che la gente di Lampedusa ha mostrato al mondo “il valore e l'efficacia dei gesti semplici e significativi del quotidiano: la vicinanza, il soccorso, il pianto, la collera, la pazienza. E nello stesso tempo ha dimostrato l'inutilità controproducente di talune risposte istituzionali che non hanno contribuito a risolvere il problema, ma anzi hanno moltiplicato il numero delle vittime”. 


Infatti nella legislazione italiana sono presenti norme particolarmente escludenti e repressive, come la legge Bossi-Fini. La sindaca di Lampedusa, Giusi Nicolini, è molto netta su questo punto: 


“Va abrogato immediatamente il reato di immigrazione clandestina. Non c'è tempo da perdere. Per farlo non c'è bisogno di tavoli e commissioni. Ci sono già campagne avviate da tempo e discussioni approfondite. Quello che è successo è la prova ignominiosa e più evidente dell'assurdità di questa legge. Non è ammissibile che i naufraghi superstiti debbano essere incriminati e vengano trattati da criminali. L'abolizione di questo reato è un gesto dovuto. Il minimo che può fare il nostro paese”. 
Qualcosa è possibile fare. Vi invitiamo a leggere, diffondere, sottoscrivere e sostenere l'Appello per l’apertura di un canale umanitario fino all’Europa per il diritto d’asilo europeo, rivolto ai Ministri della Repubblica, ai presidenti delle Camere, alle istituzioni europee, alle organizzazioni internazionali, di cui riportiamo alcuni brani. 

L’Europa, capace di proiettare la sua sovranità fin all’interno del continente africano per esternalizzare le frontiere, finanziare centri di detenzione, pattugliare e respingere, ha invece il dovere, a fronte di questa continua richiesta di aiuto, di far si che chi fugge dalla morte per raggiungere l’Europa, non trovi la morte nel suo cammino. 


Si tratta invece oggi di mettere al centro i diritti. Di mettere al bando la legge Bossi-Fini e aprire invece, a livello europeo, un canale umanitario affinché chi fugge dalla guerra possa chiedere asilo alle istituzioni europee senza doversi imbarcare alimentando il traffico di esseri umani e il bollettino dei naufragi. 


Trovate l'Appello col testo completo a questo link: http://www.meltingpot.org/Appello-per-l-apertura-di-un-canale-umanitario-per-il.html#.Uk2EDhAv6JQ

venerdì 18 ottobre 2013

Proterajmo Rat Iz Istorije: Fuori la Guerra dalla Storia

Questo mese, le Donne in Nero di Bergamo hanno organizzato una serie di riunioni di due delle Donne in Nero del ex-Jugoslavia, Stasa Zajovic e Rada Zarkovic.

Stasa è una delle fondatrici delle Donne in Nero di Belgrado. Ha pubblicato molti testi che riguardano la resistenza delle donne, la lotta pacifista, il femminismo e l’antimilitarismo non soltanto in Serbia.

Rada è Bosniaca di Mostar che durante la guerra ha dovuto lasciare la sua città ed è stata profuga a Belgrado. Qui ha conosciuto le Donne in Nero e si è subito impegnata diventando un'attivista molto amata. Ha lavorato molto con le profughe realizzando il bellissimo libro “Mi ricordo!”. È stata anche animatrice dei "Laboratori itineranti di pace" attraverso la Serbia. Dal 2000 è tornata in Bosnia dove, a Bratunac, ha dato vita alla cooperativa "Insieme" per la coltivazione e commercializzazione di piccoli frutti. Vive a Sarajevo, ma viaggia moltissimo perché ormai la sua cooperativa è un simbolo vivo di pace.

Il 13 Ottobre a Milano, hanno participato a un dibattito pubblico sul tema della pace in tempo della crisi economica globale. Qui riportiamo un sunto del dibattito.

Femminismo e Antimilitarismo

E' importante riuscire a connettere il militarismo con la vita delle donne, con la quotidianità. Noi, ad esempio, - dice Stasa - quando abbiamo fatto la Campagna per l'obiezione di coscienza abbiamo visto che la maggioranza di chi firmava erano donne di oltre 50 anni, perchè sono quelle che si rendono conto di più delle conseguenze del militarismo sulle loro vite di donne e madri di maschi. Hanno contattato anche donne di destra che si sono avvicinate perché anche loro hanno pagato. 


Il militarismo istituzionale è quello più facile da individuare, bisogna svelare il militarismo sociale e culturale, non è una questione di divisa, è una struttura culturale; abbiamo fatto tanti seminari su questo, con i giovani non è facile ma neanche con alcune donne. 
Ci sono alcune femministe che non vedono il male neoliberista, ma non c'è solo il conflitto fra i sessi, c'è altro, il conflitto di classe, “etnico”; c'è un sistema neoliberista che lavora contro tutti ed è molto pericoloso. Le donne che non vedono questo, tradiscono le femministe di base, si omologano alla logica della 1325, mentre noi siamo disobbedienti dappertutto. 

La Risoluzione 1325 era stata una conquista delle donne, ma ora è uno strumento militarizzato, gestito dai generali della NATO. 

Le donne giovani vanno e vengono, alcune vogliono fare carriera accademica, altre sono disperate. Anche noi abbiamo contatti e trattative continue: non sanno cosa fare, cerchiamo di contaminarle. La solidarietà tra donne è un condividere le conoscenze, generare conoscenza reciproca, imparare le une dalle altre. Molte donne accademiche stanno con noi perchè dicono che imparano. La solidarietà nasce se c'è una relazione reciproca, un rapporto simmetrico come quello che c’è tra di noi: se non c'è reciprocità, allora è carità. 




Tribunale dell'Aja

Il Tribunale Internazionale per i crimini di guerra in ex Jugoslavia dell'Aia è stato importante perché, se non ci fosse stato, nessuno sarebbe stato condannato. Un altro merito è quello di avere ottenuto il riconoscimento per la prima volta dello stupro come crimine di guerra, grazie alla pressione delle donne, per questo è importante l'internazionalismo delle donne.

Un grande errore invece dell'Aja è stato quello di avere lasciato morire Milosevic senza sentenza, sono morti entrambi, Milosevic e Tuđman, senza condanna per crimini di guerra – c’era il tempo per farlo. Questo obiettivo era importante per noi, faceva parte della nostra lotta contro l'impunità. Tutti devono essere condannati per i crimini commessi, Serbia, Croazia, ma anche Srati Uniti e la NATO; responsabilità non solo individuale, anche politica.

 A causa di questa non condanna, sono andati al potere in Serbia i politici che prima stavano con Milosevic e Seselj. Le sentenze successive poi hanno assolto in secondo grado i generali che sono stati liberati, non solo croati, come Gotovina, ma anche quelli di Kosovo e Serbia, 6 sentenze preoccupanti non solo per i Balcani, ma anche per tutto il mondo: hanno messo in libertà dei criminali, le prove c'erano ma è cambiata l'interpretazione.

Assistiamo ad una militarizzazione del diritto internazionale: d’ora in poi nessun esercito può essere condannato per crimini di guerra. E’ un cambiamento è stato molto grave perché vuol dire che non c'è nessuna responsabilità degli Stati. Possono essere condannati gli esecutori, i crimini individuali, ma non il livello di comando degli Stati. Questo è molto pericoloso perché falsifica la storia. La Serbia ha fatto una guerra di aggressione alla Bosnia, se nessuno viene condannato, chi ha fatto la guerra?

Noi sappiamo che la guerra in Bosnia non è stata una guerra civile, ma vi è stata un'aggressione, ma nessuno Stato viene condannato per questo. Ora si scarica tutto su Mladic e Karadzic, nessuna condanna per gli stati aggressori. La logica della realpolitik prevede che Serbia e Croazia non vengano condannate per poter entrare in Europa. Questo tocca non solo gli Stati balcanici ma tutto il mondo perché significa totale impunità per gli Stati.

Ma qual è il vero scopo delle guerre? Gli Stati usano la guerra per smontare lo stato sociale, ridistribuire le ricchezze, svuotare le istituzioni democratiche, poi usano la propaganda per manipolare e accreditare una versione accettabile. In realtà la struttura della guerra è collegata alla struttura globale neoliberista.

Tribunale delle Donne


Il Tribunale delle donne non vuole essere una copia del Tribunale dell'Aia. Cerchiamo modelli alternativi di giustizia. Vanno individuati nuovi crimini e vanno introdotti nel diritto internazionale. Bisogna creare spazio per testimonianze delle donne su crimini dimenticati, non riconosciuti. Le donne testimoni con cui lavoriamo hanno dato fiducia e depositato le loro testimonianze all'Aja, ma sono stanche di essere viste come vittime di guerra, dicono che per loro è importante denunciare, mostrare il continuum della violenza nel pre-guerra, nella guerra, nel post guerra e anche le condizioni economiche delle donne come conseguenza della guerra e della violenza.

C’è una connessione povertà – guerra: la struttura dei nuovi stati etnici rientra nel sistema neoliberista globalizzato. Per ora abbiamo 30 possibili testimoni. Le donne della ex Jugoslavia (7 stati) hanno piena autonomia di giudizio, non vogliono essere oggetto dei Tribunali, vogliono essere soggetti di una nuova giustizia alternativa.

Lo Stato-nazione è un crimine contro la popolazione civile. Al di là dell'ingresso o meno in Europa, gli Stati balcanici ora sono stati etnici dove la maggioranza ha benefici e potere. All’Aja non sono stati riconosciuti i crimini etnici: i cambiamenti forzati di identità, gli spostamenti forzati ecc. C’è un lavoro politico imponente da fare per definire nuovi crimini. Le donne di Srebrenica sono accanto alle madri serbe i cui figli sono stati ammazzati nelle basi militari dove era nascosto Mladic per averlo visto: il fatto di aver nascosto per 16 anni Mladic, è stato duramente pagato dalla popolazione serba.

Per quanto riguarda il luogo del Tribunale delle donne dobbiamo decidere: Sarajevo simbolo della sofferenza o Belgrado simbolo della responsabilità. Non c'è molto tempo, le testimoni vanno via, non sono rimaste in tante. Bisogna fare presto. Molte donne sono ancora mute, non osano parlare. Forse c'è un meccanismo di autodifesa, è troppo doloroso, si sceglie di non parlare. Costa molto loro mostrare l'intimità, le conseguenze sulla salute, sullo stato economico e sociale. Una donna ha detto: “Non voglio più testimoniare, non voglio rivoltare le ossa dei miei morti”.

Ci siamo anche chieste perché molte donne nostre attiviste si sottraggono alla testimonianza. Alcune hanno deciso di prendersi cura delle altre, non di loro stesse. Si deve anche considerare che sono morte molte nostre attiviste, alcuni figli sono diventati tossici. C'è stato un crollo anche nel movimento perché costa molta fatica e dolore, da anni assorbiamo il dolore degli altri. E’ un percorso impegnativo, un lavoro capillare, orizzontale, molto emozionante come femministe.

Molte donne sono nazionaliste, bisogna lavorare molto e con delicatezza. Noi pensiamo che le donne testimoni al Tribunale dovranno avere una formazione politica, facciamo circoli di discussione, queste donne partecipano, devono leggere, discutere testi e saggi. Per la formazione psicologica confidiamo su alcune attiviste che hanno un'esperienza terapeutica. In Serbia non è stato istituito neanche un Centro o una clinica per 700.000 reduci con sindrome post-traumatica, molti uomini sono diventati tossici, alcolizzati o pazzi, e questo lo pagano le donne senza contare che l'economia è in gran parte sulle loro spalle.


Per il Tribunale non abbiamo un modello da seguire, è da inventare e servono anche fondi per sostenerlo. Le Coordinatrici stanno lavorando da tempo. A differenza delle altre forme di Tribunale, vogliamo portare testimonianze, portare voci di verità su cosa fanno gli Stati, vogliamo andare oltre la giustizia ordinaria, vogliamo fare pressione sulla giustizia ordinaria perché c'è rimozione, nessuno vuole più parlare dei crimini di guerra.

E' una bella sfida.



Alternativa alla morte: amare, curare


Vogliamo partire dal nostro desiderio di libertà.

Ma ci domandiamo cosa voglia dire essere libere, come si possa cercare la strada per essere libere in un mondo strettamente interconnesso, in un mondo di guerra quale è il nostro.

C’è guerra dove vige la legge di dominio del più forte, dove non c’è riconoscimento dell’altro, anzi si guarda all’altro come nemico o come essere da schiavizzare, dove l’uso della violenza viene tollerato dalle istituzioni.

La guerra è la pratica patriarcale di affrontare i conflitti provocandone altri. La vediamo sia nell’ambito domestico, sia nel tessuto sociale delle nostre città, sia nelle relazioni fra i paesi.

Ci sentiamo responsabili della guerra che il nostro paese conduce in vari paesi del mondo, chiamandola sempre con altro nome, e che esso sostiene con la costruzione e/o commercializzazione di armi che sono strumenti di morte.

Ci riguarda quanto succede alle altre e agli altri e, in particolare, ci riguarda come donne perché quello che vediamo in azione nelle guerre attuali più che nel passato non sono solo gli interessi geopolitici delle varie potenze internazionali, ma una spinta distruttiva che si perpetua.

Quali gli effetti? le donne zittite sotto un dominio maschile violento, il loro corpo considerato bottino di guerra, vita civile impossibile e sempre precaria.

 Il desiderio di libertà è da coniugare con il senso di responsabilità. Vogliamo darci la prospettiva di produrre cambiamento. Il cambiamento è una necessità, perché, se vince la logica della guerra – sia essa militare o economica o sociale o individuale indotta dalla guerra fra sessi –, la distruzione e la morte si impongono sulla vita.

La strada che noi vediamo percorribile è quella di curare le relazioni, come premessa per la cura del mondo, è quella di “smilitarizzare le menti”, come hanno iniziato a dire le Donne in Nero di Belgrado nel pieno delle guerre balcaniche. Questo percorso ci aiuta a considerare che i nostri diritti da conquistare o da consolidare non devono finire per calpestare i diritti delle altre e degli altri.

 Negli anni abbiamo intessuto relazioni tra noi e con donne che vivono esperienze di guerra e violenza, offrendo sostegno e trovando arricchimento e conoscenza. Abbiamo denunciato, protestato contro le guerre, il militarismo nelle nostre vite, la produzione e il commercio delle armi.

Sentiamo che la nostra libertà passa per questa via. Ma ci sentiamo sconfortate quando ci vediamo sole mentre è solamente nelle relazioni intessute con altre donne che respiriamo un’altra aria e ci sentiamo fiduciose.

 Per noi Paestum è apprendere dalle pratiche di altre donne nuove indicazioni, è la possibilità che esperienze diverse si parlino e si intreccino in un percorso per realizzare condizioni di vita libere, migliori per noi qui e per tutte le altre donne.

Manu Carlon, Elisabetta Donini, Giuliana Ortolan, Barberina Piacenza (Donne in Nero) 

giovedì 10 ottobre 2013

Nessun essere umano è illegale

Allora, se questi morti sono soltanto nostri, allora io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato. Come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza 
Giusi Nicolini, Sindaca di Lampedusa


In fuga da guerre, conflitti etnici, violenze generalizzate, 500 profughi: uomini donne, bambini, eritrei e siriani, affrontano il mare, ammassati in una barca in mano a scafisti:I trafficanti di vite umane. Dalla sponda sud del Mediterraneo sono diretti verso il primo approdo europeo: l’isola di Lampedusa. 

Il 3 ottobre 2013 una “carretta del Mare” con 500 persone a bordo, affonda. Tanti morti annegati nei fondali di Lampedusa. I 150 sopravvissuti sono indagati per il crimine di sbarchi clandestini. 

Ennesima tragedia, la più grave per numero di morti in mare, un mare trasformatosi in un cimitero, un cimitero chiamato Mediterraneo. E' una tragedia annunciata, una strage che con grande ipocrisia la chiamano emergenza, - emergenza che dura da oltre venti anni. Sono ormai quasi 20mila le vittime del Mediterraneo, della Fortezza Europa, della logica securitaria che sta dietro la legge Bossi-Fini. 

La legge, voluta da politici e governanti, decreta il reato di “Immigrazione clandestina” con l’arresto di chi entra illegalmente e il reato di “Favoreggiamento di immigrazione clandestina” per chi si adopera per il soccorso in mare. I pescatori che soccorrono i naufraghi migranti vengono puniti con il sequestro dei pescherecci e l’arresto.

Per non parlare dei”Centri di Accoglienza “ dove vengono ammassati sine die, in condizioni disumane, i migranti in attesa di identificazione. 

Ma chi erano i 360 morti annegati ? chi sono i 150 superstiti indagati? 

Erano e sono profughi, cioè soggetti giuridici tutelati dal Convenzione di Ginevra sui Rifugiati, sottoscritto dall’Italia sin dal 1954, la quale si è impegnata al rispetto degli articoli del Trattato con il Decreto-Legge n.30 del dicembre 1989.
  • Art.33: divieto di espulsione e di respingimento:” Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere-in nessun modo- un rifugiato verso le frontiere del luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate..”.
  • Art.31: Rifugiati in situazione irregolare nel Paese d’accoglienza: “Gli Stati contraenti non applicheranno sanzioni penali, per l’ingresso o soggiorno irregolare, a quei rifugiati provenienti dai Paesi in cui la loro vita o la loro libertà era minacciata..”
I 150 superstiti dell’ultima tragedia nel mare di Lampedusa sono rifugiati eritrei e siriani, pertanto si configurano giuridicamente come Richiedenti Asilo

Come tali devono essere trattati 

E oltre le convenzioni e configurazioni giuridiche, sono essere umani, e 



Come tali devono essere trattati. 

Occorre una riflessione di ampio respiro, per costruire politiche per e non contro i migranti, a partire dall' immediata abolizione delle leggi securitarie come la Bossi Fini. 


Occorre una immediata inversione di tendenza così da infrangere il colpevole muro di silenzio che aleggia sulla questione immigrazione. Ma soprattutto occorre in questo momento affrontare l’urgenza del picco di sbarchi nell’unico modo possibile: l’apertura di uncorridoio umanitario per accogliere i profughi, salvare le loro vite e ridare loro la dignità di esseri umani.

Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente.
Giusi Nicolini, Sindaca di Lampedusa, Novembre 2012

Ma il Silenzio ha Continuato

mercoledì 9 ottobre 2013

Nessuna Guerra E' Umanitaria


Il popolo siriano sta soffrendo da più di due anni in una guerra civile che - secondo le Nazioni Unite – ha già causato centomila morti e milioni di sfollati. La situazione è drammatica e richiederebbe davvero un intervento internazionale umanitario forte.


Ma il ricorso alle armi non è la risposta! 
Nessuna guerra è umanitaria

Se guardiamo la Libia, l’Afghanistan, l’Iraq … è ormai chiaro che le guerre non risolvono i conflitti ma li esasperano

Siamo corresponsabili

Il nostro paese - che in teoria “ripudia la guerra” (art. 11 della Costituzione)
  • di fatto negli ultimi 22 anni ha partecipato attivamente ad almeno 5 guerre
  • quest’anno ha destinato almeno 5,4 miliardi all’acquisto di armi sempre più micidiali: cacciabombardieri, missili, portaerei …
  • è tra i primi dieci paesi al mondo nella produzione e commercio delle armi, grazie alla multinazionale Finmeccanica, controllata dal Governo italiano che ne è l’azionista di maggioranza. l
  • ’anno passato il governo ha autorizzato contratti di vendita di armi per 2,7 miliardi di euro. Abbiamo fornito aerei, elicotteri, navi, blindati, bombe, missili, siluri, fucili, munizioni, armi chimiche antisommossa…
  • Nonostante i limiti previsti dalla legge 185 del 1990 abbiamo rifornito anche paesi in guerra o responsabili di gravi violazioni dei diritti umani (Algeria, India, Ciad, Israele, Turchia, Pakistan, Libia, Libano, Cina, Colombia…)


Non si ripudia la guerra producendo e vendendo armi

E alla Siria?
  • Fino al 2011 le forniture militari italiane al regime siriano sono state di gran lunga superiori a tutte quelle degli altri Paesi europei.
  • Ora l’Italia fa parte del gruppo intergovernativo degli «Amici della Siria» che, lo scorso giugno a Doha, si è apertamente impegnato a fornire armi ai “ribelli”.


Chiediamo invece
  • il blocco di tutti i rifornimenti di armi a tutte le parti in lotta
  • l’impegno con l’UE e con l’ONU per una soluzione negoziale e non armata del conflitto siriano
  • sostegno concreto ai civili vittime della dittatura prima e del conflitto ora, e a quanti, in Siria, senza armi, pagano con il carcere e con la vita la pace che verrà


MOBILITIAMOCI 
tutti e tutte contro le guerre, contro l’industria delle armi che le alimenta contro il militarismo che crea consenso alla logica della guerra.