giovedì 22 ottobre 2015

La guerra comincia qui

 
Anche le donne in nero con tante altre e altri si oppongono alle esercitazioni di TRIDENT JUNCTURE 2015 ed alle spinte verso un nuovo scontro mondiale

Siamo tutte e tutti colpiti dalla guerra. Alcuni di noi dalla violenza diretta all'interno dei paesi europei e alle frontiere della fortezza Europa; tutti noi come complici, anche se riluttanti, nella militarizzazione delle nostre società e nelle guerre lontane combattute nel nostro nome. Guerra e militarizzazione iniziano da qui: reclutamento, formazione, esercitazioni militari. Armi vengono prodotte, infrastruttura viene militarizzata, i media e il sistema educativo normalizzano la guerra e promuovono i valori militari che diventano una parte della vita quotidiana

Da anni noi donne in nero ci occupiamo di conflitti armati e guerre a partire dalla relazione con le donne dei luoghi dei conflitti, da tempo insieme a loro abbiamo individuato nella NATO una vocazione militare sempre più accentuata, che è passata da una strategia di difesa ad una di interventi militari, con l’intento di dominare aree sempre più vaste e il miraggio di vantaggi economici e finanziari per i paesi membri, fra i più ricchi del mondo.

La NATO è sempre più propensa alla guerra, in grado di entrare in azione in paesi a noi vicini e ovunque nel mondo.

Dal 3 ottobre fino al 6 novembre si svolgerà in Italia, Spagna e Portogallo la «Trident Juncture 2015» (TJ15), definita dallo U.S. Army Europe «la più grande esercitazione Nato dalla caduta del Muro di Berlino». Con 36 mila uomini, oltre 60 navi e 200 aerei da guerra di 33 paesi (28 Nato più 5 alleati), questa esercitazione servirà a testare la forza di rapido intervento - Nato Response Force (NRF) - (circa 40mila effettivi) e soprattutto il suo corpo d’élite (5mila effettivi), la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), enfaticamente soprannominata “Spearhead” (punta di lancia), in grado di essere schierata in meno di 48 ore per rispondere “alle sfide alla sicurezza sui nostri fianchi meridionale e orientale”. In altre parole ad intervenire rapidamente, portando la “guerra preventiva”, ovunque si ritengono minacciati gli interessi occidentali estendendo, quindi, l’azione della Nato ad ogni angolo del mondo.

Parteciperanno all’esercitazione, oltre ad alcune tra le maggiori organizzazioni internazionali e governative, anche varie associazioni cosiddette umanitarie e diverse ONG, a dimostrazione della funzione collaterale alle politiche interventiste delle grandi potenze che molte di esse svolgono. Soprattutto vi parteciperanno le industrie militari di 15 paesi pronte a fare altri profitti fornendo le nuove armi di cui la Nato avrà bisogno.

Si legittimano tante guerre in Medio Oriente e Africa con la lotta al terrorismo e al traffico di esseri umani. Le guerre, che devastano, sfruttano terre e popolazioni, sono le vere cause scatenanti dell’enorme afflusso di migranti.

L'Europa è così effettivamente minacciata militarmente da altri paesi tanto da giustificare spese militari crescenti in una situazione di gravissima crisi economica e sociale per cittadine e cittadini?

Interroghiamoci sui pericoli che questo progetto di rafforzamento militare rappresenta, non solo per un futuro di relazioni pacifiche fra i popoli, ma anche rispetto ad una autonomia economica e politica non solo dell'Europa.

Nel nostro paese le spese militari per la NATO sono crescenti a fronte di una grave riduzione delle spese per i beni e i servizi primari necessari, incidendo anzitutto sulla vita delle donne. In un paese di catastrofi, terremoti e allagamenti come l’Italia si continua con un progetto di militarizzazione.

Con le basi e le presenze militari aumentano lo sfruttamento sessuale e la violenza contro le donne. Ad esempio le guerre nei Balcani e in Africa hanno prodotto una enorme industria del sesso e traffico di donne. Corpi di donne sono considerati bottino di guerra e campi di battaglia. Sono donne la maggioranza delle vittime civili, le rifugiate e le sfollate che soffrono lutti inenarrabili. Migliaia sono prive di mezzi di sopravvivenza come in Afghanistan, in Iraq, in Siria, dove oltre allo spreco di risorse per guerre pretestuose con il perdurare di conflitti interni aumentano le divisione nelle popolazioni.

Il linguaggio delle “alleanze” e dei “blocchi” esprime una logica patriarcale orientata alla guerra.

Le installazioni militari della NATO nei nostri paesi danneggiano la vita quotidiana. Le donne rifiutano di essere confinate nel ruolo di vittime, ma hanno e possono, ancor più, avere un compito rilevante nella prevenzione dei conflitti, nella riconciliazione e nella costruzione della pace.


Fuori la guerra dalla storia!

mercoledì 14 ottobre 2015

Sempre più giorni della tragedia

 
Lampedusa 3 ottobre 2013 strage in mare con 366 morti e circa venti dispersi....... Quante altre stragi e quanti morti da allora ?

La morte incombe sulle nostre spiagge, mentre migliaia di famiglie fuggono dalle guerre in Medio Oriente, Asia e Africa, si ammassano nei nostri porti, nelle stazioni alla ricerca di sicurezza e libertà. Quali le cause? La principale è che fuggono dalle guerre provocate dalle potenze mondiali combattute “per procura”, fornendo armi a diverse organizzazioni e gruppi armati (è così che sono nate e cresciute Al Qaeda e ISIS).

 


Ma anche dalle guerre della Nato, che nata con il Trattato Atlantico del 1949 come alleanza difensiva contro i paesi del blocco sovietico avrebbe dovuto scomparire con il crollo dell'URSS nel 1990. Invece si è trasformata, ingrandita con sempre più paesi membri ed è passata, nel 1999, da alleanza militare difensiva a offensiva per "difendere gli interessi economici dei paesi membri ovunque minacciati”. In altre parole per il controllo delle fonti energetiche e delle materie prime in quei paesi. Quando non è la guerra o la fuga da paesi che calpestano i Diritti Umani, l'esodo è provocato dalla fame dalla sete dalla desertificazione dei territori per le politiche di rapina delle multinazionali.

Perché in nome della globalizzazione si chiedono e attuano leggi per la libera circolazione di prodotti e risorse, mentre si innalzano barriere e fili spinati per la circolazione delle persone ?

Che fuggano dalle guerre o dalla povertà i migranti sono tutti profughi

Le  armi producono guerre, non le fermano 

Anche se le chiamano Missioni di Pace sono sempre guerre e producono morti e distruzione, togliendo ogni possibilità futura di una vita e civiltà diverse.


Prima vendiamo le armi 
 l’Unione Europea esporta ufficialmente armi per circa 40 miliardi di Euro l’anno. L’Italia è al 4° posto in Europa fra gli esportatori, con 4,2 miliardi (senza contare i traffici illeciti.) I clienti principali sono i paesi del Medio Oriente (Arabia Saudita, Israele… ) e del nord Africa (Algeria, Libia, Egitto…)


Poi succedono le guerre 
La guerra sta sconvolgendo oggi moltissimi paesi del Medio Oriente (Iraq, Siria, Yemen, Palestina…), dell’Africa (Libia, Mali, Nigeria, Congo, Sudan, Somalia…), in Asia da decenni l’Afghanistan, in Europa Ucraina e Cecenia


Dopo ci sono i profughi 
I conflitti irrisolti e le guerre hanno prodotto ad oggi, oltre 4 milioni di profughi palestinesi, circa 200.000 saharawi accampati nel deserto algerino, 9 milioni di siriani tra sfollati e profughi, 2 milioni di iracheni sfollati. Il flusso di uomini e donne dall’Afghanistan e dall’inferno della Libia, le persone in fuga dalla Somalia, dall'Eritrea, dal Sudan e da altri paesi africani, da anni è continuo.

L’Europa nasce o muore nel Mediterraneo. Salvare vite umane, proteggere le persone, non i confini!

Si aprano subito corridoi umanitari e vie d’accesso legali al territorio europeo, unico modo realistico per evitare i viaggi della morte e combattere gli scafisti. L'Europa deve costruire una risposta di pace, di convivenza, di democrazia, di benessere sociale ed economico, ispirandosi al principio di solidarietà e abbandonando le politiche della sicurezza, dell'austerità, degli accordi commerciali neoliberisti. L'Europa deve investire sul lavoro dignitoso, sulla giustizia sociale, sulla democrazia e sulla sovranità dei popoli.

Si utilizzino per i finanziamenti a queste politiche le risorse destinate agli armamenti. Finanziamo la speranza di vita non la morte!