domenica 31 maggio 2015

A suon di bombe

Nel 1978, appena eletto alla Presidenza della Repubblica, Sandro Pertini nel suo primo discorso chiamò a scelte di pace: “Svuotiamo gli arsenali, riempiamo i granai”, fu il suo appello. Invece l’Italia non solo continua ad armarsi, ma vende sempre più armi. 

Secondo i dati riportati dalla rivista dei missionari comboniani “Nigrizia”, nel 2014 l'esportazione italiana di armamenti è stata di 1 miliardo e 879 milioni di euro, con un incremento del 34% rispetto al 2013. Non solo, ma ci pare gravissimo che un terzo del totale sia finito nei paesi del Nordafrica e del Medioriente, dove così vengono alimentati focolai di guerra o guerre già in corso. Come altri paesi della parte ricca del mondo, l'Italia concorre non a nutrire il pianeta, ma a seminarlo di bombe.

Tra i troppi sprechi di una politica che esalta il primato delle armi, continua a indignarci che la Festa della Repubblica sia celebrata con una parata militare, per di più molto costosa. In tempi di crisi e di tagli a scuola, sanità, servizi, solo per il 2014 è stato speso 1 milione e mezzo di euro. Il 2 giugno dovrebbe essere l'occasione in cui si ricordano i fondamenti della nostra Costituzione, nata dalla Resistenza, che all'art. 11 afferma: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Da venticinque anni l'Italia, come componente della NATO, è coinvolta attivamente in azioni armate per cui sono state inventate le finzioni più varie: “missioni di pace”, “interventi umanitari”… Ma comunque le si chiami, sono aggressioni che devastano e uccidono.

Con questa stessa logica, che noi consideriamo inaccettabile, si sta organizzando un piano dell'Unione Europea per bombardare e distruggere i barconi degli scafisti prima che salpino dalle coste libiche: e sarà l'Italia ad avere il comando dell'operazione. Tutto questo senza avere affrontato i motivi profondi per cui cresce sempre più il numero di coloro che fuggono dai loro paesi – guerre, fame, carestie, persecuzioni e violenze di ogni genere – e senza avere garantito alcuna sicurezza a chi sta cercando di sopravvivere. Ci saranno così ancora più morti e verranno chiamati “danni collaterali”: ma è un’ipocrisia vergognosa, perché “questi ‘danni’ sono perdite previste e deliberate”: come scrive il generale Fabio Mini su “Repubblica”, 14 maggio 2015).

E noi invece che cosa vogliamo?
• Una giusta, umana accoglienza dei migranti
• il rifiuto di fare guerre, mascherate o no
• smettere di produrre, vendere e comprare armamenti
• … e di conseguenza, una celebrazione della Repubblica che sia davvero una festa disarmata, delle cittadine e dei cittadini.




sabato 23 maggio 2015

Nessun controllo sulla legislazione anti-democratica della coalizione di Netanyahu

La coalizione delle donne per la pace è stata un partito ad una petizione contro la legge israeliana antiboicottaggio, lavorando congiuntamente con Adalah e l'Associazione per i Diritti Civili in Israele. Mercoledì 15 aprile la sentenza dell'alta Corte israeliana ha lasciato la legislazione più o meno intatta. L'unica eccezione era di squalificare un elemento, che ha permesso a chiunque di citare in giudizio per boicottaggio relativi danni "senza prove".

Il disegno di legge anti-boicottaggio è uno di una miriade di legislazione razzista e anti-democratica volta a mettere a tacere l'opposizione e limitare i diritti della minoranza palestinese. La coalizione delle donne per la pace vuole affermare ancora una volta che il boicottaggio è uno strumento universalmente riconosciuto, legittimo e nonviolento nelle lotte per il cambiamento sociale e politico. La Corte israeliana non ha tutelato il diritto dei cittadini alla critica delle politiche del governo.

Non saremo dissuase dal esporre e portare alla discussione pubblica gli interessi economici che guida l'occupazione. Noi cContinueremo a resistere all'occupazione utilizzando tutti i mezzi legittimi e non violenti.

Con l'assenza di controlli legali sulla persecuzione politica in Israele, i commenti scioccanti di Netanyahu nel giorno delle elezioni, esprimendo il razzismo e l'intolleranza del dissenso, saranno senza dubbio scritti nella legge nel prossimo Knesset. La decisione dell'alta Corte non è riuscito a identificare questo grave pericolo. Dà una luce verde alla normativa anti-democratica come il disegno di legge di nazionalità che cerca di stabilire l'ebraicità di Israele nella legislazione; luce verde per istituire una pena di morte per i palestinesi accusati di terrorismo; luce verde per vietare organizzazioni si sinistra di ricevere donazioni.

Tali disegni di legge sono già una parte delle trattative per la formazione di una coalizione. Uno prende di mira anche l'autorità dello stesso ramo legislativo proponendo di impedire l'intervenzione dell'alta Corte nelle decisioni del Knesset e del comitato elettorale centrale.

Alla luce della sentenza della Corte, chiediamo alla comunità internazionale di:

  • Condannare l'attacco contro la società civile israeliana e la libertà di espressione
  • Affermare che il divieto di qualsiasi richiesta di boicottaggio utilizzato come strumento nella lotta contro l'occupazione è anti-democratico.
  • Condannare l'impunità di Israele come una cosiddetta democrazia nonostante la sua apparente mancanza di rispetto dei diritti umani e fondamentali civili.

domenica 3 maggio 2015

Non c'è pace senza giustizia

 

“…c’è una continuità di ingiustizia e violenza che rende difficile distinguere tra le violenze subite durante le guerre e quelle del dopoguerra. Si tratta della continuazione della guerra con altri mezzi, perché viviamo in una pace falsa e fragile piena di ingiustizie, umiliazioni e di ogni tipo di discriminazione….”.

 

A 70 anni dalla Liberazione continuiamo ad essere convinte che non c’è pace solo perché alla fine di una guerra tacciono le armi: la pace deve essere costruita, giorno per giorno. Le guerre della ex-Jugoslavia, che sono state combattute così vicino a noi, ce lo ricordano drammaticamente. La verità di quanto è avvenuto spesso è stata occultata, non lasciando memoria di molti crimini che sono stati commessi in particolare contro le donne.

Il sistema legale istituzionale (nazionale e internazionale) non soddisfa la giustizia: le élite politiche investono uno sforzo enorme per sacrificare gli interessi della giustizia agli interessi politici e al mantenimento del potere. Questa consapevolezza ha guidato il lavoro di molte associazioni di tutti i paesi della ex-Jugoslavia che dal 2011 ha portato alla realizzazione del Tribunale per le Donne della ex-Jugoslavia. Il Tribunale non emette sentenze, ma formula condanne pubbliche e fa pressione sulle istituzioni nazionali e internazionali.

Le nostre amiche dei Balcani ci ricordano che “…c’è una continuità di ingiustizia e violenza che rende difficile distinguere tra le violenze subite durante le guerre e quelle del dopoguerra. Si tratta della continuazione della guerra con altri mezzi, perché viviamo in una pace falsa e fragile piena di ingiustizie, umiliazioni e di ogni tipo di discriminazione….”.

Questo progetto “vuole essere uno spazio per testimoniare e per le voci delle donne, per l'autonomia delle donne, attraverso la loro partecipazione attiva alla costruzione della giustizia e della pace, al fine di creare nuovi paradigmi di giustizia. L'evento finale con testimonianze pubbliche si terrà a Sarajevo/Bosnia Erzegovina dal 7 al 10 maggio 2015” http://www.zenskisud.org/en/index.html


Durante questi quattro anni (2011-2015), le associazioni coinvolte sono state impegnate in intense attività per preparare il Tribunale delle Donne e creare un modello femminista di pace, giustizia e responsabilità. Queste attività comprendevano la creazione di una rete di donne solidali: testimoni, attiviste, terapiste, esperte e artiste provenienti da tutti gli stati della ex-Jugoslavia.

Il Tribunale delle Donne intende creare nuove politiche di conoscenza di quanto è avvenuto, riconsiderare le relazioni tra teoria e pratica/esperienza, costruire solidarietà e fiducia reciproca, storia alternativa delle donne e memoria storica collettiva. Le donne possono così trasformare il dolore che hanno vissuto in un'altra forma di resistenza.

Le donne in questo modo diventano soggetti di una ricostruzione della memoria che restituisca loro la dignità, non confinandole nel ruolo di vittime mute.

Tribunale delle Donne, Sarajevo, 7-10 di maggio 2015 

Uno spazio per le voci delle donne e per le loro testimonianze delle ingiustizie sperimentate durante la guerra e durante la pace;
Uno spazio per le testimonianze di donne della violenza, nella sfera privata e nella sfera pubblica;

Uno spazio per le testimonianze della resistenza organizzata delle donne.