L’Italia è un paese in guerra
Non si combatte sul nostro territorio, ma è in atto il meccanismo della guerra con tutto ciò che questo comporta: aumento delle spese militari, militarizzazione del territorio e delle menti.
Il coinvolgimento dell’Italia nell’intervento militare in Afghanistan inizia alla fine del 2001con l’adesione alla missione ISAF col carattere di “assistenza alla sicurezza” e l’invio di 350 militari.
Avrebbe dovuto durare “almeno 6 mesi” e costare “qualche decina di miliardi di lire”.
Invece sono passati quasi 10 anni.
La missione di “peacekeeping “ è diventata missione di guerra, dalla guida Onu si è passati a quella della Nato con un colpo di mano nel 2003, dall’armamento leggero a quello di assalto, da “regole d’ingaggio leggere” a regole sempre più pesanti, dai 350 militari iniziali ai 1000 del 2003 fino ai 3900 del 2010 e ai 4200 di oggi.
Dall’inizio della missione il costo complessivo è stato di 3 miliardi e 100 milioni di euro, e continua al costo di 65 milioni di euro al mese.
Il rifinanziamento dell’intervento militare avviene ormai ogni sei mesi in modo bipartisan, con qualche eccezione, in violazione dell’art. 11 della Costituzione, senza mai ridiscutere in Parlamento gli obiettivi raggiunti. E’ successo anche nel febbraio scorso.
Solo per la missione in Afghanistan per i primi sei mesi del 2011 sono stati stanziati 410 milioni di euro (2,26 milioni al giorno), mentre sempre più striminzito è il finanziamento per i progetti di ricostruzione e assistenza (appena 16 milioni nel semestre).
A fronte dei tagli feroci a scuola, cultura, ricerca, sanità, Enti Locali, ambiente, in Italia vediamo il settore degli armamenti e delle spese militari non subire mai alcuna riduzione, al contrario di quanto avviene in altri paesi europei.
Dal 2006 in Italia vi è stato un aumento delle spese militari del 28% e per il 2011 è previsto un ulteriore aumento dell’8,4%. A questo si aggiungono i fondi per il Ministero dello Sviluppo, impropriamente destinati ai nuovi sistemi d’arma, ai quali si sommano 1,5 miliardi di euro per le missioni militari all’estero.
La cifra totale raggiunge quindi i 24,3 miliardi di euro. Tra i progetti finanziati c’è anche l’acquisto di 131 cacciabombardieri F35 al costo di 16 miliardi di euro e quello di dieci fregate al costo di 5,6 miliardi di euro.
La guerra in Afghanistan rientra nel concetto strategico della NATO,definito nel summit di Lisbona il 20 novembre del 2010, che consiste nell’inglobare sempre più paesi e nell’intervenire laddove i loro interessi vengano “minacciati”, esercitando così una forma di dominio del mondo e una continua minaccia per la pace.
Noi Donne in Nero siamo sempre state contro la guerra, perciò anche contro l’intervento militare in Afghanistan.
Alla luce della situazione attuale, denunciamo il fallimento di tutti gli obiettivi dichiarati: lotta al terrorismo, portare la democrazia e sicurezza, liberare le donne afghane.
In realtà i talebani hanno ripreso il controllo dei due terzi del paese, Karzai è stato rieletto con i brogli, il conflitto si è esteso al Pakistan, i signori della guerra e dell’oppio comandano, la povertà colpisce ormai l’80% della popolazione, l’aumento della produzione di oppio è arrivato ormai al 93% di tutto quello prodotto nel mondo, dilaga la corruzione, la vita delle donne è peggiorata al punto che i suicidi sono aumentati a livelli senza precedenti (donne fra i 18 e i 35 anni si danno fuoco per sottrarsi alla violenza insopportabile del loro destino).
Il governo Karzai ha reintrodotto il “Ministero per i Vizi e le Virtù” e ha firmato una legge secondo la quale le donne sciite non possono rifiutare il rapporto sessuale con il marito, non possono andare a scuola, dal medico, al lavoro senza accompagnamento maschile.
Ora sta emanando una legge che mette sotto diretto controllo governativo le case-rifugio per donne maltrattate, finora gestite da ONG afghane. Per rivolgersi ai rifugi le donne dovranno essere accompagnate da un parente maschio e riconsegnate alle famiglie che le richiedano.
Se continuano ad avvenire scambi politici così gravi sul corpo e la vita delle donne è responsabilità anche dei “paesi liberatori” fra cui l’Italia, che fin dall’inizio aveva assunto l’impegno di ricostruire il sistema giudiziario afghano e, se questi sono i risultati, deve rendere conto dei milioni investiti.
Noi Donne in Nero in questi anni abbiamo intrecciato relazioni con Associazioni di donne afghane(RAWA, HAWCA, OPAWC) che sono state una fonte preziosa di testimonianze e ci hanno fatto conoscere la coraggiosa capacità di resistenza non armata delle donne e della popolazione afghana.
Queste donne e le variegate voci della società civile costituiscono la resistenza democratica e nonviolenta del popolo afghano e chiedono il nostro sostegno per ottenere la fine dell’occupazione militare, che significherebbe per loro come prima cosa la fine dei bombardamenti aerei, principali (anche se non unici) responsabili della morte di oltre 40.000 civili dall’inizio della guerra.
Clicca qui per leggere una traduzione dell'intervista.
Non c’è pace senza giustizia.
- Chiediamo che vengano processati i criminali e i signori della guerra presenti nel governo e nel paese.
- Chiediamo a tutti i soggetti del mondo femminista, pacifista e nonviolento di unirci e individuare insieme pratiche, strumenti e form di opposizione per ritirare tutte le truppe dall'Afghanistan.
- Non Lasciare che l'Afghanistan diventi l'ennesima grande base militare NATO.
- Sostenere le forze civili democratiche a partire dalle donne.
- Favorire la ricostruzione del paese, fuori dalle logiche militari.
I dati riportati nel presente appello sono tratti da organi di stampa e principalmente dai seguenti siti:
RAWA
Osservatorio Afghanistan
Associazione per la Pace
Sbilanciamoci
Peace Reporter
Rete Italiana per il Disarmo
Peace Link
Noi Donne in Nero siamo sempre state contro la guerra, perciò anche contro l’intervento militare in Afghanistan e perciò anche contro lo sbarco americano ad Anzio.
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