giovedì 4 novembre 2010

Siamo in Guerra?



Questa è la domanda che è stata posta in Parlamento dopo le ultime uccisioni di militari italiani in Afghanistan. E dire che dal 2003 in poi si è parlato di “missione di pace”; in realtà la missione è sempre stata sotto comando militare, in particolare della NATO e le logiche con cui è stata portata avanti sono sempre state logiche di guerra: e se ne vedono gli effetti.





Disegno da un 12enne Afgano



Un dato molto significativo è come è cresciuto negli anni l’impegno italiano in termini di uomini e di spesa: dal contingente di 1000 militari nel 2003 si arriva a 3900 nel 2010, con una previsione di 4500 per il 2011, mentre i costi sono passati da 100 milioni di euro nel 2003 a 675 milioni di euro nel 2010. Tra il 2003 e oggi hanno ruotato nel teatro delle operazioni 90.000 uomini con turni di avvicendamento passati da quattro a sei mesi, mentre dall’inizio della missione il costo complessivo è stato di 3 miliardi e 100 milioni di euro

Per farci un’idea di cosa accadrebbe se rovesciassimo la logica, come scrive il coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, “la spesa militare è uno svantaggio… Disarmo e pace non sono solo giusti per chi ci crede, ma anche convenienti: in dieci anni le spese militari mondiali sono cresciute del 50%, da 1000 a 1500 miliardi e l’industria bellica ha avuto una flessione dei posti di lavoro”, mentre quegli stessi soldi investiti nella società permetterebbero “un raddoppio dei posti di lavoro e la crescita di 1,5 volte per lo sviluppo economico in generale”.

Oltre ai costi esorbitanti, sappiamo che nell’informazione corrente è stata nascosta la realtà di quanto stava accadendo, e chi, come Emergency, faceva conoscere la verità, è stato esposto a censure, critiche e attacchi. Adesso cominciano a uscire documenti, tenuti finora segreti, sulle decine di migliaia di vittime civili e sulle responsabilità delle truppe dei vari paesi, italiani inclusi.

Per anni, hanno detto che lo scopo della missione era riportare in Afghanistan la democrazia e la pace e promuovere i diritti delle donne. Soltanto attraverso le relazioni dirette con associazioni di donne afgane abbiamo potuto seguire nel tempo la situazione con cui si confrontavano e conoscere la capacità di resistenza attiva e non armata della popolazione e il coraggio delle donne che permette loro di dire apertamente che vogliono la fine di ogni azione di guerra, dell’occupazione militare e del potere dei signori della guerra e dell’oppio, ormai chiaramente sostenuti dagli Stati Uniti.

Queste donne sono punto di riferimento per intere popolazioni per la capacità che hanno dimostrato di sapere interpretare il loro dolore e cogliere le loro necessità: di qui la fondazione e la gestione diretta di associazioni per le donne, per l’istruzione di bambine e bambini, che già clandestinamente era portata avanti sotto il regime dei talebani e l’impegno politico e umanitario irto di difficoltà e gravi rischi.

Con i combattimenti in corso le donne vengono espropriate della possibilità di esprimersi, insieme ai bambini sono il bersaglio del massacro dei civili, ma sono consapevoli della sua inutilità e crudeltà.

Dobbiamo sostenere le donne afgane e la società civile e chiedere fermamente la fine dell’occupazione dell’Afghanistan e il ritiro delle truppe italiane e di ogni paese.

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