mercoledì 9 maggio 2012

Non saremo mai liberi fino a quando non vengono liberati

Dal 17 aprile scorso oltre 2000 detenuti palestinesi, prigionieri politici, sono in sciopero della fame.
Dopo quasi 70 giorni di digiuno Bilal Diab (27 anni) di Jenin è entrato in coma, e anche Taher Halahla (33 anni) di Hebron versa in gravissime condizioni. E adesso la Corte Suprema israeliana ha respinto il loro ricorso, rifiutando di liberarli dalla detenzione amministrativa dove rimangono senza capi di accusa né processo, oggetto di prove segrete e di accuse segrete.

Insieme a loro, nelle carceri israeliane sono attualmente imprigionati 4700 palestinesi, tra cui donne e minori.

I prigionieri politici palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane chiedono:
  • Rispetto dei diritti garantiti ai detenuti dal Diritto Internazionale.
  • La sospensione del regime di detenzione amministrativa, uno stato di arresto a tempo indeterminato senza la formalizzazione dei capi di accusa e la possibilità di nominare un difensore, attualmente in vigore. Si tratta di una pratica condannata dalla Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, dalla IV Convenzione di Ginevra e dalla Convenzione Europea sui Diritti Umani. Ci sono 320 palestinesi attualmente detenuti in detenzione amministrativa, di cui 24 membri del Consiglio legislativo palestinese.

  • Il miglioramento delle condizioni di vita e l'accesso al materiale didattico; la fine delle umiliazioni inflitte a loro e alle loro famiglie, tra cui perquisizioni corporali, irruzioni notturne nelle celle e punizioni collettive 
Palestinesi sono processati in tribunali militari mentre i coloni israeliani sono soggetti al diritto civile israeliano. Il sistema di giustizia militare usa un standard di evidenza molto basso, compreso l'uso di prove segrete e di confessioni estorte sotto tortura. Processi militari sono condotte da tre ufficiali militari,che non sono necessariamente qualificati per essere giudici.
  
L'esercito israeliano si riserva il diritto di dichiarare illegale qualsiasi organizzazione palestinese e quindi membri di molti partiti politici, sindacati e organizzazioni di donne sono stati processati nei tribunali militari israeliani. I regolamenti militari che regolano molti aspetti della vita palestinese possono essere modificati in qualsiasi momento da un ordine emesso dal comandante militare israeliano della zona.
 

Per manifestare solidarietà con la lotta dei prigionieri politici palestinesi, come forma attiva di resistenza all’occupazione militare israeliana e denuncia della politica di apartheid del governo israeliano, la Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese entra oggi in sciopero della fame. Lo sciopero della fame è stato lanciato srotolando uno striscione davanti al Colosseo oggi a Roma, azione nel corso della quale sono stati distribuiti volantini informativi. 

Allo sciopero della fame hanno dato la propria adesione anche Moni Ovadia (attore, scrittore e regista), Luisa Morgantini (già Vice Presidente del Parlamento Europeo), Giovanni Franzoni (teologo, scrittore, animatore della Comunità Cristiana di Base S.Paolo di Roma) e il sen. Vincenzo Vita (Pd). Gli/le attivisti/e della Rete Romana saranno in presidio a via dei Fori Imperiali (nei pressi della fermata metro B Colosseo) da domenica 6 maggio a venerdì 11 maggio (h 10 -20). 


Agite ora- inviate lettere alle autorità israeliane per esprimere la vostra indignazione, chiedendo la piena attuazione delle richieste dei detenuti.

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