giovedì 30 giugno 2011
Freedom Riders del Mediterraneo
In questo momento nel Mediterraneo, centinaia di persone provenienti da oltre 20 paesi si preparano a salpare per Gaza nella Freedom Flotilla - Stay Human. Affrontano enormi ostacoli. Israele con la complicità dei governi europei e degli Stati Uniti tenta di fermare l'iniziativa con ogni mezzo - la pressione politica ed economica sul governo greco (da cui porti la maggior parte delle navi dovrebbero salpare), i sabotaggi, le accuse isteriche che i passeggeri stanno progettando di attaccare i soldati israeliani con armi chimiche, la circolazione di informazioni false volte a screditare i partecipanti, e l'accusa che la flottiglia è una "provocazione politica".
Per noi, sostenitrici della Flotiglia e dei viaggi precendenti, l'accusa finale è un po sconcertante: naturalmente si tratta di una provocazione politica. Cosa c'è di sbagliato in questo? Qualsiasi atto pubblico di dissenso politico contro lo status quo è una provocazione politica - un tentativo di attirare l'attenzione su un problema, di provocare la discussione e, si spera, il cambiamento.
La provocazione politica pacifica è una parte importante di ogni democrazia. Sappiamo che può anche provocare una reazione violenta da parte di chi non vuole vedere il cambiamento e coloro che prendono parte hanno accettato questo rischio. Non dovrebbero pero' essere tenuti ad accettare responsibita' per aver causato la violenza come Hilary Clinton insinua. La Signora Clinton dovrebbe vergognarsi di usare l'argomento troppo spesso usato contro le donne vittime della violenza maschile, che la vittima è responsabile di aver provocato un attacco violento
Alice Walker, la celebre scrittrice americana e partecipante al Freedom Flotilla sulla nave Usa "The Audacity of Hope" paragona la flottiglia al Freedom Riders nella lotta per i diritti civili e contro la segregazione negli Stati Uniti negli anni 60.
Freedom Riders erano attivisti che viaggiavono sugli autobus interstatali negli stati segregati degli Stati Uniti. Per le leggi federali la segregazione era gia' illegale, ma le leggi erano in gran parte ignorate in molti stati del sud. I Freedom Riders sfidarano questo status quo di segregazione viaggiando su varie forme di trasporto pubblico. I Freedom Riders, e le reazioni violente che provocarono, rafforzo' la credibilità del movimento americano per i diritti civili e richiamo' l'attenzione nazionale al violento disprezzo per la legge e la continuazione della segregazione nel sud degli Stati Uniti. I Freedom Riders sono stati arrestati per assembramento illegale, e violazioni di le leggi razzisti e altri presunti reati.
La Freedom Flotilla - Stay Human è un intervento umano - cosa ben diversa dagli interventi cosiddetti umanitari in cui i nostri governi affermano di difendere i diritti umani con bombe e missili. E' anche diverso da interventi umanitari in risposta ai disastri naturali. Gaza non è vittima di un disastro naturale. Gaza dipende dagli aiuti umanitari, perché privata del diritto alla libertà. Lo scopo finale della Freedom Flottilla è quello di porre fine agli interventi umanitari a Gaza, mettendo fine alla causa.
Come i Freedom Riders i partecipanti al Flottiglia libertà salpicano per Gaza per insistere sul fatto che i diritti umani devono essere universali - che si applicano anche a Gaza. Quando i diritti non vengono applicati ugualmente a tutti, diventano privilegi e privilegi possono essere tolti molto più facilmente.
La lotta contro la negazione sistematica dei diritti ai palestinesi è parte della nostra lotta contro le politiche che impongono scelte politiche ed economiche che trasformano i nostri diritti all'istruzione, all'assistenza sanitaria, al lavoro sicuro e dignitoso in un ambiente sicuro in privilegi che non sono più disposti a concederci.
venerdì 10 giugno 2011
Assassinata Ana Fabricia Córdoba, donna , compagna e appartenente alla Ruta Pacífica de las Mujeres
Insieme alle sorelle della Ruta Pacifica de las Mujeres:
Ana Fabricia aveva denunciato minacce contro la sua vita, ma non aveva ricevuto protezione.
Bogotá - Colombia. 8 giugno 2011. Con profondo dolore dobbiamo denunciare la morte della nostra amica e compagna, ANA FABRICIA CORDOBA CABRERA, avvenuta ieri nel comune nord orientale di Medellín.
Ana Fabricia aveva preso un bus verso le 10.30 del mattino, nel quartiere La Cruz, dove abitano varie famiglie sfollate; poco dopo Ana Fabricia fu intercettata da alcuni uomini in moto che le spararono uccidendola.
Lo stato fu negligente. Ana Fabricia aveva denunciato il rischio che incombeva sulla sua vita alle autorità giudiziarie e alla Polizia Nazionale; ed aveva anche denunciato il suo caso pubblicamente nel Comitato Metropolitano dei Diritti Umani dove aveva detto: “Mi ammazzeranno e nessuno fa niente”, questo accadde a Medellín in aprile di fronte ad autorità locali e nazionali; ma non fu sufficiente per ottenere la protezione richiesta.
Ana Fabricia faceva parte della Ruta Pacífica de las Mujeres dal 2001, e del Gruppo di donne “aventureras gestoras de derechos” del quartiere la Cruz del Municipio di Medellín e fondatrice di Latepaz, organizzazione comunitaria che lavora per il miglioramento della qualità della vita delle e degli sfollati e delle vittime della violenza.
Ana Fabricia Córdoba arrivò come sfollata a Medellín nel 2001 dopo l’assassinio di uno dei suoi figli, presumibilmente ad opera del Bloque Bananero delle autodefensas di Urabá [paramilitari], nel Dipartimento di Antioquia; il 7 luglio 2010 il secondo dei suoi figli fu assassinato a Medellín. Ultimamente stava lavorando per la restituzione di terre nel Urabá Antioqueño e nel quartiere la Cruz da dove anche era stata spostata un’altra volta.
Di fronte a questo assassinio la Ruta Pacífica de las Mujeres denuncia:
- La negligenza dello Stato che non ha offerto protezione alla nostra compagna e alle altre donne che sono minacciate e perseguitate dai diversi gruppi armati.
- La mancanza di indagini sui fatti denunciati: lo Stato avrebbe dovuto agire di fronte alle denunce di Ana Fabricia.
Esigiamo:
- Protezione urgente per la famiglia di Ana Fabricia.
- Che le autorità competenti indaghino, chiariscano e giudichino i responsabili di questi fatti.
- La verità su volantini e minacce che circolano contro le organizzazioni di donne, tra cui la Ruta Pacifica e altre.
- Che si offrano alle donne forzatamente sfollate, alle loro famiglie e alle loro organizzazioni, le garanzie necessarie per la loro protezione, siano ristabiliti i loro diritti, senza che il fatto di esigerle si converta in ulteriori minacce contro la loro vita come sta accadendo.
giovedì 9 giugno 2011
Il Diritto al Ritorno
10 dicembre 1948 | Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese. Dichiarazione Universale Dei Diritti Umani: articolo 13 |
11 dicembre 1948 | ...permettere ai rifugiati che lo desiderino di ritornare nelle loro case il primo possibile e vivere in pace con i loro vicini, mentre a coloro che decidessero di non rientrare devono essere pagati indennizzi. Risoluzione 194 delle Nazione Unite |
22 novembre 1974 | ...ribadisce il diritto inalienabile dei palestinesi a tornare nelle case e proprietà da cui sono stati sfollati e sradicati, e chiede il loro ritorno. Risoluzione 3236 delle Nazione Unite |
15 maggio e 5 giugno 2011 | Profughi palestinesi rivendicando i diritti riconosciuti sono stati accolti con violenza delle forze israeliane. Tanti morti e feriti. |
Lo stesso 15 maggio, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano era in visita a Tel Aviv ricevendo il premio “Dan David” per il suo impegno per la democrazia. Accettando il premio, ha detto:
Signor Presidente Le manifestiamo la nostra più viva indignazione, il nostro dolore ed insieme la nostra grandissima preoccupazione per l’ennesimo eccidio che l’esercito israeliano (ad ora 23 morti ed oltre 300 feriti) ha ieri compiuto per espresso ordine del governo di Tel Aviv, sparando ad altezza d’uomo contro cittadini palestinesi che, disarmati, manifestavano dinnanzi alla linea di demarcazione con la Siria, fissata a seguito della guerra dei sei giorni del 1967 sulle alture del Golan, che da allora Israele considera arbitrariamente come linea di confine. Israele non può continuare ad invocare ragioni di sicurezza per infrangere sistematicamente il diritto internazionale, le risoluzioni dell’ONU, la Carta dei Diritti dell’Uomo, la Convenzione dei Diritti del Fanciullo, per disconoscere e conculcare i diritti del Popolo Palestinese. La sicurezza di Israele può essere solo frutto di una pace giusta che assicuri libertà e dignità anche ai palestinesi, cioè di un’azione politica che Israele invece rifiuta e in vari modi boicotta, perché intende espellere i palestinesi dalla loro terra ed instaurare, come esplicitamente dichiarato, uno stato ebraico. Come la democrazia sarebbe pienamente realizzabile in uno stato confessionale è per altro tutto da dimostrare. Neppure la comunità internazionale ed in essa l’Italia possono continuare ad ignorare i misfatti di Israele, che si configurano inequivocabilmente come crimini contro l’umanità e continuare ad accordare al governo israeliano un’impunità di fatto. Lei Signor Presidente è custode della nostra Costituzione che è certamente tra le migliori del mondo perché configura la democrazia non come semplice sistema elettorale ma come un metodo di giustizia e di rispetto verso ognuno, come un sistema che non esclude e schiaccia alcuno ma riconosce il diritto di tutti e di ciascuno. Proprio in ragione di questa concezione alta della democrazia sancita nella Carta Fondativi della Repubblica, l’Italia ha il dovere di intervenire con fermezza per richiamare il governo israeliano al rispetto del Diritto e sospingerlo ad accettare di collaborare con lealtà alla costruzione di una pace giusta. Noi confidiamo fortemente, Signor Presidente, che Ella voglia ispirare e sollecitare una siffatta azione da parte dell’Italia. E’ urgente intraprenderla senza indugi, Signor Presidente, perché entro fine mese, promossa da una coalizione internazionale, la Freedom Flotilla 2 farà rotta verso Gaza. Sarebbe inaccettabile che l’inerzia di stati che si fanno vanto della propria democrazie non impedisse al governo israeliano di compiere un ennesimo eccidio. |
mercoledì 8 giugno 2011
Colombia: Strategie di guerra si accentuano nel periodo preelettorale
Noi Donne continuiamo ad essere le più colpite dalle azioni degli attori armati.
Ratifichiamo la necessità di Accordi Umanitari nelle regioni
Bogotá, 25 maggio 2011. La Ruta Pacífica de las Mujeres lancia un appello urgente alle istituzioni dello Stato, alle organizzazioni dei Diritti Umani e alla comunità internazionale di fronte alle gravi violazioni al Diritto Internazionale Umanitario che si stanno verificando nei dipartimenti di Chocó e Cauca, dove la popolazione civile è stata presa in ostaggio e gli scontri tra attori armati eludono la responsabilità di distinguere tra civili e combattenti.
Per questo movimento di donne è urgente proteggere la popolazione che vive in questi dipartimenti, specialmente le donne e le bambine, poiché l’aumento della presenza e di azioni degli attori armati le espone ad alti rischi. Questa circostanza favorisce un clima di pericolo in periodo preelettorale, generando ancor più timore per l’attività pubblica delle donne e rafforza la loro esclusione storica dagli scenari politici e sociali.
In Chocó negli ultimi 15 giorni sono state sequestrate e successivamente liberate 220 persone; costante è la preoccupazione per la possibilità che continuino queste strategie di guerra che mettono a rischio le popolazioni afro e indigena che vivono in questa zona del paese.
Nel dipartimento del Cauca, l’attività degli attori armati si è accentuata in tre direzioni: la prima nel porre la popolazione civile in mezzo al fuoco incrociato, come si sta evidenziando negli scontri tra l’Esercito e le Farc, questo nel nord del dipartimento; la seconda nelle minacce di cui sono state oggetto 13 donne leader della regione attraverso volantini firmati dai gruppi emergenti dell’autodefensa [paramilitari] che operano nella regione, e infine è evidente il degrado delle pratiche di guerra e d’imposizione del terrore, esercitate dai gruppi paramilitari nel paese, e in particolare rispetto alle donne e al controllo sui loro corpi; di conseguenza l’aumento della presenza e delle azioni di questi gruppi nella regione pone in grave situazione di rischio eccezionale le donne e le bambine, che sono state vittime sistematiche della violenza sessuale esercitata da questi attori.
Le donne del Cauca e del Chocó ribadiscono che continuano ad essere coinvolte forzatamente nelle diverse manifestazioni del conflitto armato, senza che ci sia un’adeguata risposta statale - che non sia militarizzata - che permetta di proteggere i loro diritti.
E’ importante segnalare che la dinamica del conflitto armato in Colombia e il modo in cui si acuisce con particolare forza in alcune regioni, favorisce la continua escalation delle molteplici violenze contro le donne, in molti casi non denunciate per le carenze della struttura giudiziaria e delle garanzie di protezione per le loro vite.
Tutto ciò rafforza ulteriormente la posizione della Ruta Pacífica de las Mujeres sulla imperiosa necessità di un’uscita negoziata dal conflitto armato che permetta di gettare le basi per una pace duratura in Colombia.
giovedì 2 giugno 2011
Smilitarizziamo il 2 Giugno
di guerre,
di armi,
di parate militari
Per ribadire il nostro NO:
Per dire che vogliamo un 2 giugno DIVERSO In cui fare festa come cittadine e cittadini di:
- un paese diverso, accogliente, fondato sul rispetto, l’ascolto e il riconoscimento reciproco tra uomini e donne, tra native/i e migranti, tra “noi” e “gli altri”;
- un paese in cui i/le giovani possano avere un futuro e le persone anziane una vita dignitosa e serena;
- un paese in cui i beni comuni - aria, acqua, terra, energia, il patrimonio storico, artistico e culturale, l'ambiente naturale, il paesaggio - restino fuori dalla logica di mercato;
- un paese che sappia affrontare i conflitti, interni e internazionali, senza ricorrere all’uso della forza;
- un paese che investa non nelle armi e nella guerra, ma nella cultura, la scuola, la salute, l’occupazione.