giovedì 24 febbraio 2011

No al TAV Coloniale


Le Donne in Nero aderiscono alla campagna internazionale contro la costruzione di un treno ad alta velocità che collegherà Gerusalemme e Tel Aviv in cui è coinvolta un'azienda italiana, Pizzarotti.

Un rapporto diffuso dalla Coalizione di Donne per la Pace in Israele attraverso il loro progetto di ricerca Who profits?, dimostra come il percorso del treno entra nei territori occupati, comportando ulteriori perdite di terra per le comunita palestinesi che non potranno nemmeno utilizzarlo. La costruzione in cui Pizzarotti prende parte è illegale, dal momento che il diritto internazionale vieta all’occupante di utilizzare le risorse dell’occupato esclusivamente a beneficio dei propri cittadini.

La scelta di costruire nei territori occupati non era neanche necessario per realizzare il progretto. Come dice Dalit Baum, recercatrice della Coalizione di Donne per la Pace:

è significativo, anche se non stupefacente, scoprire che per i pianificatori israeliani è più facile sottrarre terra ai palestinesi e incorrere nel rischio di essere perseguiti per la violazione del diritto internazionale, piuttosto che confrontarsi con le esigenze di cittadini israeliani che potrebbero lamentare l’eccessiva vicinanza della ferrovia alle loro case o la svalutazione delle proprietà immobiliari o il peggioramento della qualità dell’aria e della vista dalle loro finestre. Sembra che i confini internazionalmente riconosciuti di Israele siano totalmente insignificanti agli occhi degli ingenieri israeliani, che quindi possono attraversarli appena questo risulti conveniente o più facile per i loro progetti.



Da Amisnet.org un'intervista con
Jamal Jumma’, Stop the Wall
Abu Fares, comitato popolare di Beit Surik
Abu Shadi, comitato popolare di Beit Iksa
Dalit Baum, Who Profits from the Occupation
Hagit Ofran, Peace Now
Massimo Rossi, Vento di terra





Appello Pizzarotti

venerdì 18 febbraio 2011

Allarme Donne Afghane: Il Governo di Kabul Impone il suo Controllo Sulle Case Rifugio

Il Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA) denuncia la legge promossa dal Consiglio dei Ministri dell’Afghanistan nel gennaio 2011 secondo la quale entro 45 giorni dalla sua entrata in vigore le case rifugio per donne maltrattate passeranno dalla gestione delle ONG afghane al controllo del Ministero degli Affari Femminili afghano (MoWA).

Il Decreto accoglie così una precedente decisione della Corte Suprema Afghana – l’organismo legislativo più oscurantista del paese – che ha dichiarato reato l’allontanamento delle donne da casa per rifugiarsi nei centri di accoglienza per donne maltrattate gestiti dalle Ong.

La decisione della Corte Suprema Afghana già limitava la possibilità delle donne vittime di violenza di appellarsi agli organismi giudiziari.
La legge prevede inoltre la chiusura di alcuni rifugi, l’accompagnamento delle donne da parte di un mahram (parente maschio o marito), l’insegnamento della religione islamica e l’obbligo per le donne accolte di sottoporsi a costanti “esami medici” per il monitoraggio della loro attività sessuale. Il governo afferma che la gestione da parte del MoWA garantirà una migliore gestione dei fondi e una migliore scelta dello staff interno.

Riteniamo che questa misura sia stata presa solo per compiacere i fondamentalisti e i Taliban, con cui si sono avviate delle trattative; così, i rifugi sono stati accusati di essere case di prostituzione e si è scelto di tenerli sotto controllo.

Questo avrà conseguenze disastrose per le donne vittime di violenza:
  • Nessun parente di sesso maschile, men che meno il marito, accompagnerà mai una donna maltrattata in un rifugio: nella maggior parte dei casi sono essi stessi gli artefici delle violenze dalle quali le donne vorrebbero fuggire.
  • Lo stupro in Afghanistan è motivo di vergogna e ripudio per la donna. Se l’esame medico provasse che la donna è stata violentata, una volta sotto il controllo governativo la vittima sarebbe condannata invece che accolta.
  • Se la donna fugge da un matrimonio forzato, una volta arrivata al rifugio sarebbe denunciata dal governo stesso, poiché allontanarsi da casa è considerato reato.
  • Le ragazze rimandate a casa vivrebbero nella vergogna e nell’emarginazione, se non direttamente giustiziate, come dimostrano i vari casi di lapidazione avvenuti in diverse parti del paese negli ultimi mesi.
  • Nel caso la famiglia chiedesse il ritorno a casa della donna per qualsivoglia motivo, compreso un matrimonio forzato, lo staff del rifugio non potrebbe rifiutarsi. Come se non bastasse, molte delle donne provenienti da case rifugio, verranno accusate di adulterio all’interno della loro comunità.
  • L’Afghanistan è uno dei paesi più corrotti al mondo: non ci sarà più alcuna garanzia sul controllo dei fondi eventualmente stanziati dalle agenzie internazionali a favore delle donne vittime di violenza.

Il governo Karzai, voluto e sostenuto attivamente dall’occupazione militare USA-NATO, non si distingue certo per il rispetto dei diritti umani:
  • nel marzo 2009 il governo Karzai ha firmato una legge intesa a colpire soprattutto le donne della comunità shiita: secondo questa legge, le donne non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con il marito e non possono recarsi a lavoro, dal medico o a scuola senza il suo permesso.
  • Nel marzo 2007, il governo Karzai aveva provveduto a garantire l’amnistia per tutti i crimini contro l’umanità commessi in Afghanistan negli ultimi vent’anni.
  • Nel gennaio 2007 il giornalista Parwez Kambashkh era stato condannato a morte da un tribunale di Balkh, dopo esser stato accusato di blasfemia a causa delle sue idee sulla parità dei diritti delle donne. Benché Parwez, a seguito delle pressioni internazionali, venne graziato, altre decine di giornalisti versano nelle medesime condizioni.
  • Nel luglio 2006, il governo Karzai ha reintrodotto il “Ministero per il Vizio e Virtù”, tristemente noto già sotto il regime Taleban.
  • Le organizzazioni afghane che si battono per i Diritti Umani denunciano inoltre le continue pressioni da parte del governo per legalizzare il sistema di “giustizia informale” (tribale) all’interno del quale è prevista la lapidazione delle donne.

E l’Italia?


Tra il 2001 e il 2011 il governo italiano ha investito centinaia di milioni di euro nel progetto di ricostruzione della giustizia afghana. Chiediamo al governo italiano e alle forze politiche che hanno sostenuto e ancora sostengono l’intervento militare in Afghanistan di spiegare in che modo sono stati investiti i fondi per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano, giacché negli ultimi anni sono state varate leggi che penalizzano pesantemente, anziché favorire, i diritti umani e i diritti delle donne afghane.

INFO CISDA: cell. 3336868938
COORDINAMENTO ITALIANO SOSTEGNO DONNE AFGHANE Onlus
BANCA POPOLARE ETICA – Agenzia Via Melzo, 34 – Milano
IBAN: IT64U0501801600000000113666 – SWIFT: CCRTIT2T84A



Lettera Aperta dalle donne dell'Afghanistan

martedì 15 febbraio 2011

Donna è volare


Il 13 febbraio a Piazza del Popolo, a Roma, c'erano così tante persone, donne e uomini, che non si riusciva più ad entrare, né ad uscire una volta entrati in piazza. I telefoni non funzionavano, era quindi impossibile arrivare agli appuntamenti prefissati, l'unica cosa che si poteva fare era rilassarsi, ascoltare e conversare con i vicini di piazza.

Gli interventi dal palco non erano particolarmente esaltanti, non si trattava di un comizio, non c'erano oratori e trascinatori di folle professionisti. Sono state fatte molte letture, a volte noiose come spesso sono le letture delle persone che non sanno impostare la voce e non hanno ritmo, e ci sono stati interventi molto discutibili... ma la piazza era pacifica e rilassata, fatta di persone che, in tutta semplicità e senza moralismi, affermavano la loro dignità, il loro diritto a vivere in un paese civile.


Ed era una piazza meravigliosa. C'era di tutto, convivevano tolleranti tutte le posizioni politiche e tutte le scelte di vita individuali, dalle suore alle sex workers, c'era l'atmosfera di quando a teatro lo spettacolo comico finisce, non ti è piaciuto, era tutto troppo eccessivo, sgauiato e farsesco, non ti faceva neanche più ridere anzi ti faceva un po' schifo, come quelle barzellette spinte da adolescenti brufolosi... poi finalmente finisce, puoi uscire senza disturbare tutta la fila e quando sei fuori all'aria fresca capisci che quello spettacolo aveva stancato e schifato un po' tutti... lo vedi scritto sulle loro facce sollevate.

Non c'era solo la piazza, alcune donne che non riuscivano più ad entrare hanno improvvisato un corteo selvaggio per le vie del centro che via via è diventato sempre più lungo gioioso e liberatorio e che è arrivato fin sotto ai palazzi del potere. Si sono molto divertite. Libere, indecorose, non disponibili a delegare e autodeterminate. “ E' bella chi si ribella” perché profuma di libertà.

C'erano anche le donne in nero di Roma nella piazza e nel corteo. Quelle che sono riuscite ad arrivare all'appuntamento hanno esposto lo striscione -Donna é volare- in ricordo di una cara amica. E' stato uno slogan profetico, dal 13 febbraio 2011 tutte le donne che hanno attraversato quella piazza e quel corteo sanno che non si torna più indietro. Ci abbiamo messo qualche anno, ma è chiaro a tutte che abbiamo spiccato il volo e che proprio non possiamo tornare indietro.

sabato 5 febbraio 2011

Solidarieta' con le lotte della societa' civile sull'altra sponda del Mediterraneo


Negli ultimi giorni siamo stati testimoni del grande corraggio della societa' civile egiziona, che isprirata dalla rivoluzione in Tunisia ha lottato - e continua a lottare - per liberarsi da una dittatura durata piu' di 30 anni.

Per esprimere la nostra ammirazione e solidarieta', usiamo le parole delle Donne in Nero di Siviglia.

Dalla società civile tunisina ed egiziana, onde enormi , tenaci, forti e decisi a volere giustizia sociale e libertà fanno della zona mediterranea una grande dama della rivoluzione dei diritti umani. Una rivoluzione della resistenza non-violenta attiva che rivela una tremenda realtà quotidiana il vivere sotto regimi sostenuti e supportati sia dalle autorità statunitensi che dai grandi dell'UE. Regimi che traducono le forme di neo-colonialismo, che perpetuano il disprezzo per la società civile, sia a favore degli interessi geo-strategici che socio-economici. Tutta una doppia morale, di cui il nostro mondo occidentale si serve come caratteristica del potere patriarcale. Cosi' la società civile egiziana, grazie al regime di Sadat e dopo di Mubarak vive da decenni come prigioniera politica sotto il controllo degli interessi espliciti dei sionisti nel quadro degli interessi occidentali.

Poi di colpo, il nostro universo occidentale scopre che nel mondo mediterraneo "dell'altra sponda" ci sono societa' vive, piene d'aspirazioni. Quasi sempre hanno prevalso le informazioni che favoriscono un'immagine di stagnazione e tradizionalismo reazionario, aggrappandosi a tutto quello che potrebbe alimentare l'islamofobia, la paura del "terrorismo" tra i nostri popoli, quasi non parlando di ribellioni riuscite nel corso degli anni, tacendo sulle violazioni sistematiche dei diritti umani.



Questo velo che ha coperto, cioè ha protetto, i regimi burattini della UE e degli USA, con misure che vanno dagli aiuti economici oltraggiosi a vendite di armi destinati alla repressione. Un velo sulle violazioni dei diritti umani che solo si solleva per alcuni paesi, quando i loro governi si trovano in conflitto con gli interessi dei paesi occidentali. Paesi, che poi l'Occidente non esita a minacciare e occupare, creando un disastro per la vita di milioni di donne e uomini (Iraq, Afghanistan), o istigando guerre civili (Rwanda e altri paesi africani come la Costa d'Avorio).

E mentre siamo consapevoli che questa politica fa parte della destra occidentale, la cui identità e' con la cultura della morte implicita nella difesa dell'economia capitalista e del liberalismo, ci scandalizza il fatto che fra settori cosidetti progressisti, si favorisce, in una maniera o nell'altra, la manutenzione di questi regimi corrotti e dittatoriali (un esempio fra i tanti: il partito di Mubarak come quello di Ali Ben fino ad oggi fanno parte dell'Internazionale socialista), in cui l'argomento di "male minore" e la lotta contro "gli islamisti radicali" contribuiscono a creare un "demonio" che facilita la militarizzazione del mondo e della nostra menti, rafforzando le strutture di potere patriarcale basate sulla violenza e sull'esclusione di tutte le società.

Dal nostro rifiuto profondo e radicale di qualsiasi regime che impedisce lo sviluppo libero della sovranità popolare e dei diritti delle donne, e anche dalla nostra convinzione che ogni forma di violenza - includendo ovviamente la disuguaglianza sociale ed economica, l'esclusione sessista, razzista e culturale-religioso - genera l'oppressione e la violenza in tutti i settori della società e in particolare verso noi, le donne esigono che:

Tutti i governi dell'UE devono decidere subito
  • Per una condanna esplicita di questi regimi e le loro violazioni dei diritti umani
  • Di fermare tutte le esportazioni di armi
  • Di manifestare tutto l'appoggio senza interferire con le iniziative della società civile per la loro rispettiva sovranità.

Esprimiamo la nostra solidarietà totale con:

Gran parte della popolazione civile da Tunisia, Egitto, Yemen, Giordania ... e con l'opposizione pacifista in Israele che si mobilitano per condannare i loro attuali regimi politici.


Popolazioni civili, donne e uomini, che potranno intraprendere in liberta' il passaggio alla realizzazione delle loro rivendicazioni di emancipazione politica, sociale e culturale.

Popoli che oggi nella loro rivoluzione per i diritti umani mostrano i molti aspetti inquietanti delle nostre democrazie, e ci chiedono di rafforzare i nostri legami e la solidarietà per cacciare dal mondo mediterraneo gli interessi che impediscono la convivenza interculturale, senza esclusione, a favore della pace, la giustizia sociale e l'emancipazione delle donne e degli uomini da tutti i tipi di oppressione.