Il 25 novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e ancora una volta dobbiamo denunciare la violenza di genere: quella politica ed economica, legata ai conflitti armati, alle guerre del capitalismo globale; quella domestica, esercitata nell’ambito delle relazioni familiari e affettive, che in tutti i paesi è la prima causa di morte per le donne.
Nel 2012, in Italia, la violenza maschile sulle donne ha provocato più di un centinaio di vittime. E’ dunque ancora radicata, nel nostro paese, una mentalità patriarcale che autorizza gli uomini ad usare la forza per uccidere, le parole per ferire, la sessualità per offendere.
Dentro la crisi economica che estende la povertà e la precarietà sociale, le politiche di taglio della spesa pubblica e del welfare hanno tolto risorse alle case rifugio per le donne maltrattate, ai centri antiviolenza, che si sono trovati nell’impossibilità di garantire, nei diversi territori, il mantenimento di un servizio importante che stavano svolgendo.
Ma il contrasto alla violenza sulle donne non può essere demandato ai soli servizi sociali. Il problema non è quello di fornire tutele a un genere femminile pensato come debole. Va indagato invece l’universo maschile, generatore di tanta ferocia.
Sono uomini quelli che stuprano, picchiano, umiliano, uccidono. Non solo nella sessualità, ma anche nel rapporto di coppia, nel corteggiamento, nella gestione delle separazioni la violenza emerge quando la donna non corrisponde più, in forma complementare e speculare, al desiderio maschile inteso come unico motore della relazione.
In questo scenario, ad essere assente è la parola pubblica degli uomini. Il loro silenzio è tombale. Viene rotto solo da alcuni gruppi minoritari di maschi che in Italia hanno iniziato a sviluppare una riflessione sulla propria sessualità, sulla mascolinità e sugli stereotipi che l’accompagnano, sui rapporti con l’altro sesso.