martedì 3 settembre 2013

Basta Guerra in Nome di un Popolo che non la Vuole




 Chi si chiede davvero dove sia il bene, ripensi a tutte le guerre degli ultimi anni: c’è stata una sola situazione in cui le armi non abbiano portato morte, distruzione e rovina delle culture?
Suor Marta del monastero di Azeir, Siria
 


Questa guerra è già assurda. Non c’è bisogno di aggiungere un’altra dose di follia”: da un piccolo villaggio maronita al confine col Libano, fra Homs e Tartous, Suor Marta e le suore trappiste del monastero di ‘Azeir si uniscono agli appelli di chi chiede di sospendere la possibilità di un intervento armato contro la Siria.

"Noi tutti qui sappiamo che l’attacco, per quanto lo definiscano ‘limitato’ e ‘ridotto’, non porterebbe che nuove sofferenze per la popolazione civile già duramente provata da oltre due anni di conflitto. Il negoziato e il dialogo sono l’unica via che potrà salvare questo paese dal baratro dell’odio e della violenza. In Siria, questo, è un fatto chiaro a tutti, mentre in Occidente c’è chi non vede alternativa alla guerra."

In Siria da otto anni, le monache italiane hanno deciso di rimanere al fianco della popolazione siriana nonostante l’insicurezza che ha investito il paese fin dai primi mesi del conflitto. “Non ci hanno torto un capello, la gente ci vuol bene e ci protegge. Ma oggi qui tutto è possibile” racconta la suora secondo cui i siriani, in queste settimane “soffrono del fatto che sia le parti in lotta che le potenze internazionali, commettano atti gravissimi in nome del popolo che invece rimane muto e non può esprimersi perché nessuno lo ascolta”.

Se potessero parlare “i siriani direbbero basta guerre e no a nuove violenze che hanno distrutto un paese meraviglioso, con una tradizione di accoglienza e convivenza radicata da millenni nella storia” dice ancora Suor Marta. Ai ‘potenti del mondo’ la religiosa chiede di levare le sanzioni internazionali imposte a Damasco definendole “un vero e proprio giogo che pesa quasi esclusivamente sui più poveri fra i poveri, facendo aumentare il costo della vita e dei generi alimentari”.

In una lettera aperta al mondo, le suore parlano del popolo siriano, la tensione, la paura, l'impotenza, in attesa dell'inizio dei bombardamenti. C'è un senso di disastro inevitabile. Speriamo (e facciamo) che non sia così.



Guardiamo la gente attorno a noi, i nostri operai che sono venuti a lavorare tutti come sospesi, attoniti: «Hanno deciso di attaccarci». 

Oggi siamo andate a Tartous… sentivamo la rabbia, l’impotenza, l’incapacità di formulare un senso a tutto questo: la gente cerca di lavorare, come può, di vivere normalmente. Vedi i contadini bagnare la loro campagna, i genitori comprare i quaderni per le scuole che stanno per iniziare, i bambini chiedere ignari un giocattolo o un gelato… vedi i poveri, tanti, che cercano di raggranellare qualche soldo, le strade piene dei rifugiati “interni” alla Siria, arrivati da tutte le parti nell’unica zona rimasta ancora relativamente vivibile… guardi la bellezza di queste colline, il sorriso della gente, lo sguardo buono di un ragazzo che sta per partire per militare, e ci regala le due o tre noccioline americane che ha in tasca, solo per “sentirsi insieme”… 
E pensi che domani hanno deciso di bombardarci… Così. Perché “è ora di fare qualcosa”, così si legge nelle dichiarazioni degli uomini importanti, che domani berranno il loro thé guardando alla televisione l’efficacia del loro intervento umanitario… Domani ci faranno respirare i gas tossici dei depositi colpiti, per punirci dei gas che già abbiamo respirato?
La gente qui è davanti alla televisione, con gli occhi e le orecchie tesi: «Si attende solo una parola di Obama»!!!! Una parola di Obama?? Il premio Nobel per la pace farà cadere su di noi la sua sentenza di guerra? Aldilà di ogni giustizia, di ogni buon senso, di ogni misericordia, di ogni umiltà, di ogni saggezza?

Il problema è che è diventato troppo facile contrabbandare la menzogna come nobiltà, gli interessi più spregiudicati come una ricerca di giustizia, il bisogno di protagonismo e di potere come “la responsabilità morale di non chiudere gli occhi”… E a dispetto di tutte le nostre globalizzazioni e fonti di informazioni, sembra che nulla sia verificabile, che un minimo di verità oggettiva non esista… Cioè, non la si vuole far esistere; perché invece una verità c’è, e gli uomini onesti potrebbero trovarla, cercandola davvero insieme, se non fosse loro impedito da coloro che hanno altri interessi.

C’è qualcosa che non va, ed è qualcosa di grave… perché la conseguenza è la vita di un popolo. È il sangue che riempie le nostre strade, i nostri occhi, il nostro cuore.

Ma ormai, a cosa servono ancora le parole? Una nazione distrutta, generazioni di giovani sterminate, bambini che crescono con le armi in mano, donne rimaste sole, spesso oggetto di vari tipi di violenza… distrutte le famiglie, le tradizioni, le case, gli edifici religiosi, i monumenti che raccontano e conservano la storia e quindi le radici di un popolo…

Domani, dunque (o domenica ? bontà loro…) altro sangue.

Nessun commento:

Posta un commento